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Leonardo Sciascia e la politica. Riflessioni sulla maturazione politica di uno scrittore impegnato, dagli esordi giornalistici degli anni Quaranta ai romanzi gialli degli anni Sessanta

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Leonardo Sciascia e la politica

Riflessioni sulla maturazione politica di uno scrittore impegnato, dagli esordi giornalistici degli anni Quaranta ai romanzi gialli degli anni Sessanta

Sergio Stefano Troiano

Dr. M. B. Urban (relatrice)

Università di Amsterdam

Numero di matricola: 10109358

Facoltà di Scienze Umane

Master Literary Studies: Literature and Culture – Italian

Amsterdam, 30 giugno 2016

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2 Considero il potere, non già alcunché di diabolico, ma di ottuso e avversario della vera libertà dell’uomo. Sono tuttavia indotto a lottare perché, all’interno del potere, si abbiano ricambi, possibilità di «alternative», novità, una migliore organizzazione della giustizia, una libertà sempre più ampia, ragion per cui mi impegno quando c’è una battaglia da combattere.

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3 Indice

Introduzione, p. 4

Capitolo I. Gli anni Quaranta, p. 10

1.1 Gli esordi: la collaborazione al quindicinale fascista «di guardia!» nei primi anni Quaranta, p. 10

1.2 La collaborazione con la stampa democristiana, p. 13

Capitolo II. Gli anni Cinquanta, p. 21

2.1 Da Favole della dittatura, opera antifascista e antistalinista, a Le parrocchie di Regalpetra: oltre la letteratura documentaria, p. 21

2.2 Da Gli zii di Sicilia: La morte di Stalin e L’Antimonio, percorsi di autocoscienza politica, p. 32

Capitolo III. Gli anni Sessanta, p. 39

3.1 Il giorno della civetta: il giallo, la mafia e la politica, p. 39

3.2 A ciascuno il suo: il giallo e il centrosinistra, p. 49

Conclusioni, p. 62

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4 Introduzione

In una lettera di Sciascia ad Antonio Motta, datata Palermo 24 giugno 1976, leggiamo:

Faccio il consigliere comunale a riparazione di quel che non faccio come scrittore. Come scrittore, vedo tutta l'Italia diventata "questione meridionale". Il Contesto e Todo modo ne sono una

rappresentazione: fantastica, magari fantapolitica, nel momento in cui questi libri sono venuti fuori (oltre che nel "modo" in cui sono scritti); ma, purtroppo, in questi ultimi tempi, la realtà vi si è adeguata […] Si capisce che mi considero uno scrittore politico. In effetti, non c'è scrittore che non lo sia. Ma lo si è in due modi: o si offre la propria "irresponsabilità" al potere o la propria

"responsabilità" a tutti. Io ho preferito questo secondo modo.1

Dalle parole di Sciascia emerge chiaramente l’idea di una letteratura interpretata come manifestazione performativa di coscienza politica, come assunzione di responsabilità nei confronti della società civile, come ‘buona azione’.2 Scrivere, per Sciascia risponde a ‘un principio etico fondamentale’,3 un principio cui lo scrittore si attiene sin dalla sua prima importante uscita pubblica, Le parrocchie di Regalpetra: nella Prefazione al lavoro di scavo critico nella storia e nella realtà del paese natio, l’autore auspica ‘di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione’.4 Dopo le prove anticipatrici degli anni Cinquanta, è a partire dagli anni Sessanta che Sciascia, primo tra gli scrittori italiani, irrompe nel panorama letterario italiano con temi scottanti e sino a quel momento ignorati, quali l’intreccio tra mafia e politica, gli interessi occulti del Potere, il corporativismo della magistratura.

I temi dell’impegno politico costituiscono un filo rosso di tutta la produzione

sciasciana (narrativa, saggistica e giornalistica), che innerva sia i romanzi di grande successo, come Il contesto o Todo modo,5 sia i racconti brevi, le piccole storie ignorate dalla grande Storia, gli ‘essempli’,6 metafore e sineddochi di verità universali. In Morte dell’inquisitore ad esempio, il libro la cui elaborazione ha più di ogni altro appassionato Sciascia,7 lo scrittore racalmutese descrive ‘una della più atroci e allucinanti scene che l’intolleranza umana abbia

1 A. Motta, Giorni felici con Leonardo Sciascia, Bellinzona, Casagrande, 2004, p. 15.

2 L. Sciascia, D. Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa, Milano, Sperling & Kupfer, 1981, p. 40. 3 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, intervista a M. Padovani, Milano, Mondadori, 1979, p. 174. 4 L. Sciascia, Prefazione all’edizione del 1956, in Idem, Le parrocchie di Regalpetra, Bari, Laterza, 1956, in

Idem, Opere 1956-1971, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 1987, p. 10.

5 Per i riferimenti bibliografici dei libri menzionati, dai quali non è tratta alcuna citazione, cfr. la raccolta delle

Opere di Bompiani riportata in Bibliografia.

6 L. Sciascia, D. Lajolo, Conversazione in una stanza chiusa, cit., p. 55.

7 L. Sciascia, Morte dell’inquisitore, Bari, Laterza, 1964, in Idem, Opere 1956-1971, a cura di C. Ambroise,

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5 mai rappresentato’,8 metafora della reazione persecutoria che il Potere mette in atto di fronte alle eresie; discorso, questo, ripreso e sviluppato in molte altre opere del corpus sciasciano, come ad esempio nel racconto Dalle parti degli infedeli, dove la logica dell’inquisizione cattolica viene assimilata a quella stalinista,9 e, analogamente, ne La morte di Stalin,10 dove si stabilisce una simmetria tra il fideismo religioso, da una parte, e la statolatria appaiata al culto della personalità, dall’altra. Il dualismo tra la Chiesa e il referente politico di questa, la

Democrazia cristiana, contrapposta all’avversario politico incarnato dal Partito comunista, diviene dunque un topos letterario costante in tutta la poetica sciasciana.

La dimensione ideale e ideologica di Sciascia non si esaurisce tuttavia nella penna, ma si concreta anche nell’esperienza diretta dell’agone politico, prima sui banchi del Consiglio Comunale di Palermo (1975-1977) al fianco, come indipendente, del Partito comunista, poi in Parlamento con il Partito radicale (1979-1983).11 L’esperienza attiva della politica non ha forse ricevuto sufficiente attenzione da parte della critica, con l’eccezione di un saggio del 2009 a firma di Emanuele Macaluso, storico esponente di primo piano del Pci e amico di vecchia data dello scrittore. Secondo Macaluso, alla forte passione civile non corrisponde in Sciascia un sentimento di appartenenza politica ad un partito specifico. Nella tesi del dirigente comunista, Sciascia si rivela un politico atipico e scomodo, non organico, sempre polemico nei confronti dell’intero sistema partitocratico, pronto a smascherare le dietrologie

ideologiche di qualsiasi colore. D’altro canto, invece – è lo stesso Macaluso a ricordarlo – Sciascia, da antifascista, antidemocristiano, cresciuto a stretto contatto con gli ambienti della sinistra, dichiara:

A chi mi conosce personalmente o attraverso quello che scrivo, appare chiaro che non potevo trovarmi altrove - dice nel discorso che annuncia la candidatura al Consiglio comunale di Palermo, ma rivela la consapevolezza che molti possano non aspettarsela -. Il fatto che io abbia avuto spesso degli attacchi più da sinistra che da destra, da certi luoghi del Pci più che da altri partiti, dimostra che io sono più vicino al Pci che a qualsiasi altro partito.12

8 Ibidem, p. 685

9 Cfr. L. Sciascia, Dalla parte degli infedeli, Torino, Einaudi, 1979, in Idem, Opere 1971-1983, a cura di C.

Ambroise, Milano, Bompiani, 1989, pp. 847-894, cfr. p. 863.

10 L. Sciascia, La morte di Stalin, in Idem, Gli zii di Sicilia, Torino, Einaudi, 1958, in Idem, Opere 1971-1983,

cit., pp. 223-255.

11 Per i riferimenti alla biografia di Leonardo Sciascia, cfr. M. Collura, Il maestro di Regalpetra. Vita di

Leonardo Sciascia, Milano, Longanesi, 1996.

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6 La vicinanza alle idee del Pci, più che di qualsiasi altro partito, è del resto

implicitamente confermata dallo scrittore nel rievocare il milieu sociale di provenienza della propria famiglia:

Scrivo a macchina da quando me lo sono potuto permettere, nel 1947. Lavoravo all’ammasso del grano. Ho poi fatto un concorso nel 1948, per la scuola. Senza soluzione di continuità, nello stesso paese, Racalmuto, prima ho visto i padri, poi i figli. E’ stata molto importante l’esperienza

all’ammasso del grano perché mi ha fatto conoscere il mondo contadino. Mio padre era contabile nella zolfatara, mio nonno era stato caruso, poi è andato a scuola da un prete ed era riuscito a divenire intermediario fra i gestori e una specie di finanziatore, lo sborsante. Qualche parente era andato ai carabinieri e nella pubblica sicurezza: la fuga possibile era l’arruolamento. Lo zolfataro era come se reagisse all’antica condizione del contadino da cui usciva.13

Nel tracciare un profilo dello Sciascia politico, emerge dunque una sorta di scollamento: da una parte, la biografia famigliare, la storia personale, i libri, i saggi, gli assidui interventi sui giornali, risultano iscrivibili all’interno di una parabola di matrice progressista, quando non comunista; dall’altra, sottesa a tutta la produzione sciasciana, si delinea una costante tensione morale, difficilmente riconducibile entro le coordinate di una ideologia partitica. Di fatto, la militanza di Sciascia tra le fila del Pci è quella di un

intellettuale non organico, che molte battaglie ha combattuto al fianco del partito, ma che non ha neppure risparmiato critiche se in disaccordo con le posizioni ufficiali, come nel caso dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia, nel 1968.14 Diversamente da molti altri intellettuali e artisti politicamente schierati a sinistra, le posizioni del racalmutese nei

confronti del Pci si sviluppano nel quadro di una dialettica costante, talora di critica tagliente, quale ad esempio si prospetta ne Il Contesto, dove la trama, ai limiti del surreale, delinea in filigrana – e in modo tutt’altro che gratificante – i contorni del partito comunista. E le contrapposizioni diventano insanabili dopo l’esperienza vissuta da Sciascia al Consiglio comunale di Palermo, inizialmente intrapresa come ‘una civica missione’,15 ma dopo pochi mesi terminata con una rottura definitiva con il partito di Berlinguer. Dall’osservatorio palermitano Sciascia sembra riportare una cocente delusione16 nei confronti del partito di opposizione per antonomasia, supposto avversario della sperequazione sociale e, nelle aspettative dello scrittore, propugnatore di rinnovamento morale. Constatata la svolta del Pci palermitano, attuata dal segretario regionale Achille Occhetto – e approvata da Botteghe

13 Citazione riportata in N. Perrone, La profezia di Sciascia. Una conversazione e quattro lettere, Milano,

Archinto, 2015, p. 65.

14 Cfr. L. Sciascia, La Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D., Torino, Einaudi, 1969, in

Idem, Opere 1956-1971, pp. 889-958.

15 N. Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e PCI dal 1958 al 1991, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 113. 16 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 107.

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7 Oscure –, nella direzione di un accordo con il nemico storico, la Dc di Ciancimino, Sciascia si dimette dalla funzione di consigliere, registrando che il Pci si è ridotto a ‘specchio della Democrazia cristiana […] scambiando […] per sinistra ciò che è di destra e per destra ciò che è di sinistra’,17 e amaramente concludendo: ‘La verità è che i consigli comunali sono, ormai, vuoti simulacri, feticci della democrazia formale. E bisogna starci un po’ dentro per rendersi conto come la nostra democrazia sia più formale che sostanziale’.18

Le considerazioni espresse dallo Sciascia “ufficiale”, negli articoli impegnati, nel ruolo di consigliere comunale e poi di parlamentare,19 consonano con gli apologhi del Potere creati nelle sue pagine letterarie, sia nei pamphlet indagatori delle cronache del passato, sia nei romanzi polizieschi ambientati nel presente, dove i metodi dell’indagine storica e i meccanismi del genere giallo sono intrisi di coscienza civile e politica. Mafia, terrorismo, politica, servizi segreti, gestione del Potere, amministrazione della Giustizia, pentitismo, garantismo, sono tutti temi che connotano il corpus sciasciano, dagli esordi sino agli ultimi lavori. In particolare, nell’opera di Sciascia aleggiano rimandi costanti, talvolta diretti ed espliciti, talaltra letterariamente trasfigurati, ai partiti dell’arco costituzionale, con particolare rilievo per le due maggiori formazioni politiche che si sono contrapposte nella Prima

Repubblica, la Democrazia cristiana e il Partito Comunista. Se verso la principale forza di governo l’atteggiamento di Sciascia è di aperta polemica, riguardo al Pci, nelle cui fila, lo si è ricordato, ha militato, egli ha invece sempre avuto un rapporto controverso e problematico.

Nel mettere il dito nella piaga delle questioni di cogente rilevanza politica, tra le più spinose e delicate del secondo Novecento italiano – il rapporto Stato-mafia, il terrorismo, i problemi della giustizia e della democrazia –, Sciascia raggiunge livelli drammatici di tensione narrativa negli anni Settanta, che si aprono con Il contesto, parodia dietro cui si cela ‘la cronaca di una desertificazione ideologica e ideale’;20 una desertificazione senza argini, cui segue Todo modo, nelle parole di Pier Paolo Pasolini ‘una sottile metafora degli ultimi

trent’anni di potere democristiano, fascista e mafioso’,21 una metafora poi traghettata ne L’affaire Moro, ove Sciascia porta alle estreme conseguenze il processo intentato alla classe

17 Ibidem, p. 109.

18 N. Perrone, La profezia di Sciascia cit., p. 24.

19 Cfr. A. Camilleri, Un onorevole siciliano. Le interpellanze parlamentari di Leonardo Sciascia, Milano,

Bompiani, 2009.

20 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit. p. 71.

21 P.P. Pasolini, Il buono e il cattivo nell’universo di Sciascia, in «Il Tempo», 24 gennaio 1975, in P.P. Pasolini,

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8 politica dirigente italiana. Se Todo modo costituisce un esplicito j’accuse rivolto ai cattolici, ne Il contesto e ne L’affaire Moro l’autore, pur essendo apertamente di sinistra, si rapporta polemicamente ai comunisti, cui viene rimproverato il progressivo snaturamento di forza di opposizione, a favore di un transito politico sempre più compromissorio. Se le ragioni dell’astio nei confronti della Dc risultano evidenti, ma nell’opinione di chi scrive non

scontate, ancora meno scontate lo sono quelle riguardo al Pci. Nei confronti di un intellettuale che conferisce all’engagement un ruolo centrale nella sua opera di scrittore, giornalista e polemista, non ci si chiederà in questa sede quali siano le posizioni politiche, né tantomeno le scelte elettorali di Sciascia, ché del resto sul suo essere comunista o meno, conservatore o progressista i pareri non sono unanimi;22 si pone qui piuttosto la domanda di come sia

maturata la coscienza politica di Sciascia, quando e secondo quali modalità si siano sviluppate le ragioni di un impegno i cui esiti possono apparire desultori. Ci si chiede, in altri termini, come l’evoluzione della personalità politica dello scrittore venga tradotta sul piano

dell’attività scrittoria, fiction e non fiction. A tale quesito si accompagna ineludibilmente una seconda questione, consentanea alla prima, in merito alla visione di Sciascia sui rapporti tra Democrazia cristiana e Partito comunista, il cui progressivo avvicinamento culmina, nella seconda metà degli anni Settanta, nel cosiddetto “compromesso storico”. Problematiche, queste, che si desiderano qui affrontare ricercando nelle opere narrative spore, indizi e riferimenti che aggancino la finzione letteraria alle vicende reali delle coeve cronache politiche.

Nel cercare di rispondere a tali quesiti, si farà riferimento in primo luogo alle fonti primarie, con ciò intendendo le opere narrative e saggistiche congedate da Sciascia, accanto alle quali, quando il discorso richiederà sostegni argomentativi, si farà ricorso a quanto sino a questo momento è stato elaborato dalla critica. La scelta di prediligere le fonti letterarie vuole rispondere all’idea, tutta sciasciana, di affidare alla letteratura, prima che ad altre discipline, le riflessioni di ambito etico e gnoseologico attinenti alle problematiche del reale. Sciascia, infatti, utilizza gli strumenti del romanzo poliziesco e del pamphlet storico per decifrare eventi rilevanti da un punto di vista socio-politico, e considera la letteratura come

22 Riguardo alle due letture contrapposte di Sciascia politico le opinioni della critica sono contrastanti. A titolo di

esempio, per un’interpretazione in chiave comunista cfr. E. Macaluso, Leonardo Sciascia e i comunisti, cit.; e, in chiave antitetica, si vedano le opinioni di Andrea Camilleri in A. Cazzullo, Se vince il Polo non avrei l’età per

l’esilio, in «Corriere della Sera», 13 giugno 2006; cfr. anche V. Vecellio, Sciascia a Radio Radicale, in

«Todomodo», I, 2011, pp. 161-166, e J. Francese, Leonardo Sciascia e la funzione sociale degli intellettuali, Firenze, Firenze University Press, 2012.

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9 verità’,23 come ‘la più assoluta forma che la verità possa assumere’;24 in linea con

l’impostazione epistemologica sciasciana, allora, si desidera guardare alle fonti letterarie come sede privilegiata del pensiero del Maestro. Muovendo da tale presupposto, si cercherà di stabilire un filo rosso all’interno dell’opera sciasciana, che costituisca una sorta di scrittura nella scrittura, un viatico metastorico al pensiero politico dello scrittore. In particolare, il presente lavoro mira a estrapolare i momenti più salienti di riflessione politica, circoscrivendo l’arco temporale dagli inizi dell’attività scrittoria, nei primi anni Quaranta, alla frizione con il Partito comunista determinata dalla pubblicazione de Il contesto, preludio alla successiva e definitiva rottura con la militanza al fianco dei Radicali. Segnatamente, l’attenzione si concentrerà sulle prove giornalistiche di esordio nelle colonne del quindicinale fascista «di guardia!» e, a guerra finita, su quelle nella stampa democristiana, per passare poi alle prime prove letterarie degli anni Cinquanta, Favole della dittatura, Le parrocchie di Regalpetra e Gli zii di Sicilia, concludendo infine con i grandi successi degli anni Sessanta, Il giorno della civetta e A ciascuno il suo.

23 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 87.

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10 Capitolo I. Gli anni Quaranta

1.1 Gli esordi: la collaborazione al quindicinale fascista «di guardia!» nei primi anni Quaranta

La scrittura di Leonardo Sciascia, pluriforme, ibrida, eterogenea, lungi dal porsi in un rapporto di mimesi rispetto al reale, vi si informa piuttosto come interpretazione letteraria, indagine trasfigurata, atta a ‘individuare l’ordine delle somiglianze, restituire una forma alle coincidenze’.25 Partendo allora dalla trasposizione narrativa del reale (fatto di cronaca o evento storico), inglobando dati autobiografici e stralci documentari, le pagine sciasciane testimoniano delle dinamiche politiche e socio-culturali di quasi quarant’anni di vita nazionale: un’opera strutturalmente pluridiscorsiva, amplificata da forme di scrittura

differenti, che spaziano dall’articolo di giornale alla favola di ispirazione classica, dalla poesia al saggio, dal pamphlet al diario, dall’inchiesta storica al racconto breve, sino al romanzo poliziesco, riveduto, come oltre si cercherà di mostrare, alla luce di una profonda

decostruzione del genere. Il corpus sciasciano costituisce così un intricato insieme di rimandi intertestuali e intratestuali, e di prestiti vicendevoli tra scritti giornalistici, saggistica e prosa finzionale,26 un insieme cementato da una costante correlazione della materia narrativa alla visione politica e alla tensione etica insite nella poetica di Sciascia. Sarà lo stesso scrittore, scrivendo a proposito de Le parrocchie di Regalpetra, a riconoscere l’unitarietà e la continuità della sua opera:

È stato detto che nelle Parrocchie di Regalpetra sono contenuti tutti i temi che ho poi, in altri libri, variamente svolto. E l’ho detto anch’io. In questo senso, quel critico che dalle Parrocchie cavò il giudizio che io fossi uno di quegli autori che scrivono un solo libro e poi tacciono (e se non tacciono peggio per loro) aveva ragione (ma aveva torto, e sbagliava di grosso, nel non vedere che c’era nel libro un certo retroterra culturale che, anche in mancanza d’altro, sarebbe bastato a farmi scrivere altri libri). Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di una continua sconfitta della ragione e di coloro che nella sconfitta furono personalmente travolti e annientati.27

Tratteggiata tale linea unificante all’interno della produzione sciasciana, posto lo stretto connubio tra saggistica e narrativa, per il quale si è parlato di ‘saggismo narrativo’,28 e

25 M. Belpoliti, Settanta, Torino, Einaudi, 2001, p. 18.

26 Sulla poliedricità della scrittura Sciasciana e sul rapporto di dare-avere tra scrittura saggistica e narrativa in

Sciascia, cfr. R. Palumbo Mosca, L'invenzione del vero. Romanzi ibridi e discorso etico nell'Italia

contemporanea, Roma, Gaffi, 2014.

27 L. Sciascia, Prefazione all’edizione del 1967, in Idem, Le parrocchie di Regalpetra, cit., pp. 4-5. 28 G. Traina, Leonardo Sciascia, Milano, Mondadori 1999, p. 169.

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11 volendo far rientrare sotto la categoria “saggismo” gli interventi giornalistici, si ritiene in questa sede imprescindibile ripercorrere le prime tappe del percorso scrittorio intrapreso dal Nostro, a partire dalla nutrita pubblicistica dei primi anni Quaranta. Si tratta della genesi biografica della scrittura sciasciana – a lungo ignorata dalla critica e solo di recente riportata alla luce dagli studi di Ivan Pupo –, che risale alla collaborazione dello scrittore con il quindicinale fascista «di guardia!», pubblicato a Caltanissetta.29 Dallo spoglio d’archivio, Pupo giunge a una risistemazione della bibliografia critica di Sciascia, con l’accorpamento di undici articoli redatti per la rivista nissena, firmati in due casi per esteso con nome e

cognome, in due casi con l’iniziale del nome e il cognome per esteso, mentre risultano sette occorrenze di iniziali del nome e cognome. Tuttavia, la proposta di assegnare tutti gli undici articoli alla mano dello scrittore, come è stato messo in rilievo, non è esente da un problema di autorialità, in quanto la firma siglata “L. S.” potrebbe ricondurre ad altri estensori con le stesse iniziali, e inoltre viene segnalato un caso in cui si debba intendere “S. Sciascia” in luogo di “L. Sciascia”.30 In aggiunta, in direzione di un ridimensionamento della

collaborazione dello scrittore alla testata di regime, deporrebbe la testimonianza di Stefano Villardo, amico di gioventù di Sciascia: ‘ricordo perfettamente il giornale del Partito […], «di guardia», al quale Nanà collaborò un paio di volte: […] due brevi e asciutti articoletti che chiarivano bene il suo pensiero, anche se ancora non c’è la mano esperta del grande scrittore’.31

Al di là dell’entità degli scritti comparsi sul foglio propagandistico, premono in particolare in questa sede, interessata all’ermeneutica della cultura politica sciasciana, le ragioni del coinvolgimento dello scrittore con un organo di propaganda fascista. Un

coinvolgimento, peraltro, riconosciuto in prima persona dall’autore stesso in un articolo del 6 dicembre 1951 su «Sicilia del Popolo», in polemica risposta ad un intervento della rivista «Il Meridiano d’Italia», che lo accusava di avere avuto aderenze con il passato regime:

‘Segnaliamo agli ex [fascisti] che ne avessero voglia il quindicinale «Di guardia» […]; troveranno degli articoli che potremmo oggi ripubblicare senza arrossire. Ma […] i fascisti non capirebbero ancora: come non capirono allora e gli articoli e le conferenze’.32 Questo

29 Cfr. I. Pupo, In Un mare di ritagli. Su Sciascia raro e disperso, Acireale-Roma, Bonanno Editore, 2011. 30 Per la messa in discussione dell’attribuzione degli undici articoli a Sciascia, e per l’aggiunta di un altro

articolo di Sciascia apparso su «di guardia!» sfuggito al computo di Pupo, cfr. E. Fantini, Per una «cultura

pretesto»: sulla partecipazione di Sciascia a «di guardia!», in «Todomodo», IV, 2014, pp. 207-221.

31 S. Vilardo, A scuola con Leonardo Sciascia. Conversazione con Antonio Motta, Palermo, Sellerio, 2012. 32 L. Sciascia, L’intelligenza degli ex, in «Sicilia del popolo», 6 dicembre 1951, p. 5, citato in I. Pupo, In Un

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12 passo allude al doppiogiochismo messo in atto da quanti, avversi al regime, sono costretti a venirne a patti e a operare all’interno di strutture fasciste, come nel caso del sodale di Sciascia degli anni nisseni, Gino Cortese,33 affiliato al clandestino partito comunista: ‘L’amico Gino Cortese […] riteneva, e noi con lui […], che occorreva giocare “doppio”: e non c’era convegno, conferenza o collaborazione a giornali fascisti che noi eravamo in diritto di rifiutare. I fascisti erano stupidi; e ne profittavamo’.34 Nelle Parrocchie ritorna la medesima questione:

C. ed io siamo stati nei Guf fino alla fine, ad approfittare di conferenze e convegni per dire quel che pensavamo; e forse tanta gente ci avrà guardato con sospetto. […] I convegni del Guf erano un divertimento particolare. Il gioco era apparentemente rischioso, in realtà estremamente facile e

comodo. C. aveva poi il gusto della beffa. Era capace di citare in un convegno un discorso di Dimitrov dicendo che era di Bottai, far dire a Mussolini cose che aveva detto Stalin e a Starace frasi dell’ultimo discorso di Roosevelt. Andava bene. Ci beccavamo dei premi, persino. Il federale era fiero della gioventù studiosa che forgiava i nuovi destini della patria immortale.35

Alla luce del ricordo di Sciascia sul dissenso dissimulato al regime, corroborato dalla testimonianza di Emanuele Macaluso, secondo il quale ‘il Centro interno del Pci aveva dato a tutti i militanti la direttiva di operare nelle strutture politiche e sindacali fasciste’,36 possiamo in effetti leggere, sotto la superfice apologetica, una malcelata critica al fascismo; è il caso, ad esempio, dell’articolo Propaganda democratica, uscito su «di guardia!» il 18 dicembre 1941, che in apparenza si ricollega alla politica anglofoba indetta da Mussolini, e che, prendendo di mira lo stile tronfio e menzognero dei bollettini britannici, sembra voler mettere alla berlina la retorica del regime: ‘Mentre il Times si sbriciola come un castello di cioccolatta [sic] sotto i colpi dei nostri bombardieri, si continua a fantasticare di successi, di supremazie e di vittorie […] di epilessie balcaniche, di americani in vista, di greci che buttano a mare gl’italiani e che mandano a picco i tedeschi. Gonfiano palloncini da fiera […]’.37 Similmente, in altri

interventi sulla medesima testata, si potrebbe leggere in controluce la dissacrazione della prosopopea della stampa fascista, laddove, ad esempio, gli strali lanciati contro gli ‘steccati di idiotismi’38 degli inglesi fanno pensare alla politica autarchica italiana, ed espressioni quali ‘una guerra, Dio mio, non si fa su due piedi, non si può parlar forte sentendosi in mano un

33 “Gino Cortese” corrisponde a “Luigi cortese”, partigiano durante la seconda guerra mondiale e dopo la

Liberazione esponente Pci siciliano: cfr. E. Macaluso, Leonardo Sciascia e i comunisti, cit., p. 16.

34 L. Sciascia, L’intelligenza degli ex, p. 18.

35 L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, cit., p. 44. 36 E. Macaluso, Leonardo Sciascia e i comunisti, cit., p. 17.

37 l. s., Propaganda democratica, in «di guardia!», 18 dicembre 1941, citato in I. Pupo, In Un mare di ritagli,

cit., p. 26.

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13 piumino da cipria’,39 riferite ai britannici, sembrano invece rinviare all’impreparazione e all’avventatezza dell’entrata italiana in guerra,40 mentre la citazione del ‘randello del vecchio, lepido Roosevelt’41 pare uscita dagli slogan di squadrismo fascista. Ancora, dietro gli attacchi alle mire espansionistiche inglesi è difficile non leggere, accanto all’avversione per il

colonialismo inglese, una provocatoria critica tra le righe all’imperialismo mussoliniano e alle leggi liberticide della dittatura:

Ora bisogna che gli inglesi capiscano che il loro controllo alle porte di casa nostra è già un

anacronismo. Bisogna che intendano che un popolo fiero e rinnovato [il popolo spagnolo] non può sentirsi sul viso la frustata di un nome […] Duri, rapaci, testardi gli inglesi non sentono che la loro onnipresenza è asfissia, che il loro stivale ha troppo pesato sulla vita dei popoli […] Sordamente si agita il loro imperialismo dissanguato, e dell’agonia non si accorgono. […] il mito di Gibilterra svanisce, domani gli spagnoli di Franco riconquisteranno la loro terra asservita da un cieco, barbaro, triste sistema.42

In nome della dissimulazione dell’allergia al regime, in nome del provincialismo dell’asfittica politica culturale fascista – tornerà in seguito Sciascia –, molti scrittori tra loro diversi, per citarne solo alcuni, da Soldati a Buzzati, da Moravia a Brancati a Vittorini,

coagulati attorno al settimanale «Omnibus», diretto da Leo Longanesi, decidono di ‘guardare altrove […] ad altri paesi, ad altre letterature’,43 veicolando, ‘come “parlando d’altro”, tanto amore alla libertà […] e in definitiva tanto antifascismo, quanto non riuscivano a trasmettere i foglietti clandestini e il clandestino proselitismo comunista, il solo attivo in quegli anni’.44 A quel gruppo di scrittori, al loro antifascismo sembra richiamarsi il giovane Sciascia,

collaboratore della rivista fascista «di guardia!».

1.2 La collaborazione con la stampa democristiana

L’acquisizione di una piena coscienza antifascista, nel giovane scrittore ancora implicita e inarticolata, arriva in seguito a un graduale processo di maturazione politica: è soltanto dopo la guerra di Spagna che il giudizio politico, inizialmente duplice e contrastato, diviso tra il

39 Ivi.

40 La bibliografia in merito è sterminata; cfr., ad esempio, P. Melograni, La Guerra degli italiani 1940-1945,

Roma, Istituto Luce, 2004.

41 L. S., 99 anni di affitto, cit., citato in I. Pupo, In Un mare di ritagli, cit., 24.

42 L. S., Gibilterra, in «di guardia!», 24 luglio 1940, citato in I. Pupo, In Un mare di ritagli, cit., p. 23. 43 L. Sciascia, L’Omnibus di Longanesi, in Idem, Fatti diversi di storia letteraria e civile, Palermo, Sellerio,

1989, in Idem, L. Sciascia, Opere 1984-1989, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 1990, pp. 626-641, cit. p.627.

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14 giovanile ‘entusiasmo per Mussolini’,45 e una vaga, naturale avversione nei confronti del fascismo, diviene qualcosa di più consapevole e motivato.46 Negli “anni del consenso”,47 ‘quando a scuola, a casa, nelle ricreazioni, nei giornali, non si respirava altro che fascismo’,48 Sciascia sviluppa un iniziale sentimento antifascista ‘più culturale che politico’,49 dopo che l’assassinio di García Lorca, e, insieme, l’aperto sostegno alla causa repubblicana spagnola da parte di personalità culturali di spicco – Ernest Hemingway, John Dos Passos e Charlie Chaplin,50 e con l’ammirato Gary Cooper schierato contro il franchismo,51 aprono gli occhi al giovane racalmutese. Gradualmente, le ragioni culturali che informano la coscienza politica dello scrittore in erba assumono una nuova consistenza ideologicamente orientata, in seguito ai contatti con attivisti della dissidenza isolana, avvenuti in una città, Caltanissetta, fervida di idee, ‘di innato non-conformismo’,52 dove ‘c’era una vivace vita intellettuale […] e un forte nucleo di antifascisti’.53 Macaluso ricorda gli anni a ridosso della guerra, in cui Sciascia viene introdotto nell’‘organizzazione clandestina del Pci, alla quale comunque non si volle iscrivere mai […]. Il filo che lo legò al Partito, comincia quindi a tesserlo in pieno fascismo. I suoi riferimenti nell’organizzazione erano Pompeo Colajanni, Gino Cortese, Calogero Boccaduri, Michele Calà’.54 Quest’ultimo, ‘bibliotecario della cellula comunista […] quando veniva a sapere che qualcuno cominciava a farsi domande sul fascismo, trovava la strada, la persona insospettabile, per fargli arrivare un libro più o meno proibito’,55 e così ‘Sciascia leggerà […] nella clandestinità Sulle orme di Marx di Rodolfo Mondolfo e il Compendio del Capitale di Carlo Cafiero’.56 Letture, del resto, che incontrano una strada spianata dalla formazione ricevuta da Sciascia all’istituto Magistrale, dove il preside Luigi Monaco e i professori di filosofia e di storia destano nell’allievo l’interesse per le materie letterarie, stimolandone il pensiero critico e introducendolo alle letterature angloamericana e francese – di quegli anni Sciascia ricorda, tra gli altri, i libri di Steinbeck, Dos Passos, Faulkner, Hemingway,

45 L. Sciascia, La guerra di Spagna: memoria e viaggio, «Epoca», 14 settembre 1984, in Idem, Ore di Spagna,

Marina di Patti, Pungitopo, 1988, p. 52, citato in I. Pupo, In un mare di ritagli, cit., p. 15.

46 Cfr. E. A. Albertoni et al. (a cura), La generazione degli anni difficili, Roma-Bari, Laterza, 1962, p. 259. 47 Cfr. R. De Felice, Mussolini il duce. Vol. I: Gli anni del consenso, 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974. 48 L. Sciascia, L’intelligenza degli ex, cit., citato in I. Pupo, In Un mare di ritagli, cit., p. 25.

49 J. Francese, Leonardo Sciascia, cit., p. 38. 50 Ivi.

51 Cfr. L. Sciascia, La guerra di Spagna, cit., p. 53, citato in I. Pupo, In un mare di ritagli, cit., p. 103. 52 L. Sciascia, Caltanissetta, in «L’Ora», 20 settembre 1957, citato in da I. Pupo, In Un mare di ritagli, cit., p.

17.

53 E. Macaluso, Leonardo Sciascia e i comunisti, cit., p. 15. 54 Ibidem, p. 16.

55 Ibidem, p. 15. 56 Ibidem, p. 16.

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15 Caldwell, Joyce, Mallarmé e dei Parnassiani57 –. Intellettualmente preparato al dissenso critico, lo scrittore stesso rammenta, nel 1938, il proprio ingresso nelle file del Partito comunista clandestino di Caltanissetta,58 e confessa: ‘se non avessi avuto quei barlumi di coscienza antifascista, faticosamente acquistati tra letture e incontri, tra libri proibiti e amicizie pericolose […] nel ’43 mi sarei trovato a mal partito’.59 Ne Le parrocchie di

Regalpetra Sciascia ricostruisce le tappe della propria maturazione antifascista, riconoscendo l’importanza delle “letture proibite” e delle “amicizie pericolose”, all’interno delle quali viene tributato un ruolo di particolare rilievo al già ricordato amico Gino Cortese:

[…] conobbi C., era di un anno più grande di me, frequentava il liceo. Io ero al magistrale […]. Era un ragazzo straordinariamente intelligente, pieno di trovate estrose ed argute. Conosceva ambienti di antifascisti. Mi fece dapprima dei discorsi vaghi, poi sempre più chiari e precisi. Cominciai a conoscere persone intelligenti. Già in me qualcosa accadeva, acquistavo un sentimento delle cose e degli uomini che sentivo non aveva niente a che fare col mondo del fascismo. Tranne un professore che mi aveva intelligentemente guidato nelle letture, mai avevo conosciuto persone di così limpidi pensieri. […] Con l’aiuto di C. mi trovai dunque dall’altra parte.60

Trovarsi “dall’altra parte” implica per Sciascia l’adesione a un antifascismo composito, nutrito da istanze comuniste, ma anche influenzato dall’ascendenza politico-letteraria esercitata da intellettuali di area liberale, come Vitaliano Brancati e Luca Pignato.61 A tale dualismo di fondo nella coscienza ideologica maturata da Sciascia corrisponde, a un più ampio livello politico territoriale, l’esistenza a Caltanissetta di un antifascismo bipolare, in cui ‘spiccavano due personalità […] molto forti: Pompeo Colajanni, […] avvocato, […] comunista fervente; e un altro avvocato, cattolico, Giuseppe Alessi, che poi diventerà il primo presidente della Regione siciliana e con il quale Leonardo ebbe un rapporto molto intenso’.62 Quest’ultimo, favorevole alla divisione tra sfera della politica e quella della fede,63 e, a guerra ancora in corso, fautore dell’assegnazione ai contadini delle terre incolte, viene ricordato da Sciascia in un’intervista degli anni Settanta, mai pubblicata, realizzata da Roberto Ciumi, direttore del «Giornale di Sicilia»:

57 Cfr. M. Collura, Il maestro di Regalpetra, p. 68, p. 90, pp. 101-103.

58 L. Sciascia, L’intelligenza degli ex, cit., citato in T. Gullo, Sciascia, La beffa dell'infiltrato, in «la Repubblica»,

24 aprile 2005, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/04/24/sciascia-la-beffa-dell-infiltrato.html (URL consultato in data 15 ottobre 2015).

59 A. Santini (a cura di), La mafia e la culture, in «L’Europeo», 28 giugno 1973, p. 42, citato in Pupo, In un mare

di ritagli, cit., p. 16.

60 L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Milano, Longanesi, 1996, pp. 42-43. 61 Cfr. M. Collura, Il maestro di Regalpetra, cit., p. 101.

62 E. Macaluso, Sciascia, il PCI e il potere: la coerenza di un intellettuale eretico, in P. Milone (a cura di),

L’enciclopedia di Leonardo Sciascia: caos, ordine e caos, Atti del 1° ciclo di incontri (Roma, gennaio-aprile 2006), Milano, La Vita Felice, 2007, pp. 89-99, cit. pp. 89-90.

63 D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia. Una ricerca in corso, in «Todomodo», IV, 2014, pp.

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16 Conobbi […] Giuseppe Alessi: sapevamo tutti che era un cattolico antifascista. Per un certo tempo frequentai il suo studio di avvocato, dove si ascoltava musica e andai alle conferenze che teneva al Palazzo Arcivescovile. Si trattava delle Lecturae Dantis, tenute con uno scopo diciamo politico. Alessi inseriva nei suoi commenti delle allusioni. Una volta fece una lettura del canto dantesco degli avari e dei prodighi e concluse che prodigalità e avarizia si assommavano nel tiranno. Era, in sostanza, un andare a caccia di barlumi di antifascismo […]64

Nell’immediato dopoguerra, tra questi due principali fautori dell’antifascismo nisseno, lo scrittore sembra piuttosto gravitare nell’orbita del ‘cattolico sturziano stimato da

Sciascia’,65 al cui giornale d’ispirazione democristiana «Sicilia del Popolo» contribuisce tra il 1947 e il 1951,66 per quanto tale collaborazione appaia a taluni strana,67 vista la posizione di costante polemica nei confronti della Dc espressa nei libri di Sciascia. L’attività di pubblicista per la testata siciliana, cui si aggiungono, negli stessi anni, quelle per il quotidiano nazionale «Il Popolo» e per la rivista pure di area democristiana «La Prova»,68 indicherebbero non solo una totale assenza di preconcetti ideologici da parte del racalmutese nel giudicare ‘con obiettività i comportamenti delle persone, dei partiti e delle istituzioni’,69 ma farebbe addirittura emergere ‘un ruolo da polemista politico-letterario di punta, schierato con la Democrazia cristiana sulle sue testate regionali e nazionali’.70 Si tratta di un’esperienza di cui lo stesso Sciascia non fa mistero – ne fa un fugace cenno nelle Parrocchie: ‘una volta scrissi per “Il Popolo” democristiano un articolo sui salinari’71 –, ma sulla quale non è più tornato, né la critica si è mai esercitata.72

Le prove di scrittura sciasciana per la stampa scudocrociata rappresentano dunque una malcerta fase biografica e bibliografica, in fieri rispetto alle acquisizioni della critica. Rispetto a questa materia ancora malleabile, tuttavia, e basandosi sulle fonti documentarie a

disposizione,73 emergono distintamente le ragioni ideologiche sottese alla pubblicistica dei

64 M. Collura, Il maestro di Regalpetra, p. 100. Cfr. anche L. Sciascia, Le Parrocchie, cit., p. 43. 65 E. Macaluso, Sciascia e i comunisti, cit., p. 30.

66 Cfr. D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia. Una ricerca in corso, cit., e Idem La prova

democristiana di Leonardo Sciascia. Repertorio bibliografico 1947-1951, in «Todomodo», IV, 2014, pp.

315-321.

67 E. Macaluso, Sciascia, il PCI e il potere, cit. p. 90.

68 Cfr. D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia. Una ricerca in corso, cit. 69 E. Macaluso, Sciascia, il PCI e il potere, cit. p. 90.

70 D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia. Una ricerca in corso, cit., p. 191. 71 L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, cit., p. 132.

72 A conoscenza di chi scrive, l’unica eccezione di studio sistematico è costituita dai citati articoli di Domenico

Scarpa (cfr. note 61 e 64).

73 Cfr. D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia, cit.; Giornali della Biblioteca Digitale della

Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/, (URL consultato in data 28 novembre 2015); Istituto Luigi Sturzo, http://digital.sturzo.it/periodici, (URL consultato in data 28 novembre

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17 secondi anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta, riassumibili nella presa di posizione dello scrittore rispetto a due temi politici centrali nel dibattito politico del periodo in questione: sul piano della politica internazionale domina la discussione sul modello di stato sovietico e sulla figura di Stalin, mentre sul versante della politica interna spiccano da un lato questioni

relative al welfare e alla redistribuzione del reddito a fronte di situazioni di forte sperequazione sociale, dall’altro la dura invettiva contro il neofascismo italiano e il

gattopardismo di molti ex fascisti, riciclatisi, dopo la caduta del regime, sotto altre bandiere politiche.

Non stupisce allora che Sciascia trovi spazio per una denuncia sociale e politica sulle pagine dei giornali patrocinati da Alessi, antifascista convinto dal 1919, tra i fondatori in Sicilia del Partito democratico cristiano nel settembre 1943, fautore del passaggio alla Repubblica, sostenitore dell’autonomia regionale, vicino alle idee progressiste di don Primo Mazzolari.74 Pur non amando l’esercizio del potere, Alessi risulta il primo degli eletti Dc alle prime elezioni dell’Assemblea Regionale del 1947, della quale viene nominato presidente di giunta, ruolo vissuto dal leader democristiano quale impegno di giustizia sociale, come dimostra la battaglia da lui intrapresa, prima ancora della fine della guerra, per assegnare le terre incolte ai contadini. Attinenze con questo modo di concepire la politica non mancano in Sciascia, la cui tagliente analisi sul disumano sfruttamento dei lavoratori delle saline trova spazio nell’articolo “Il sale sulle piaghe”, pubblicato il 15 settembre 1951 da «Il Popolo» e da «Sicilia del Popolo». L’autore offre al lettore borghese uno spaccato antropologico doloroso che rimanda a una situazione lavorativa ‘in condizioni incredibilmente penose […] e gli operai respirano per tutta la giornata sale e fumo. Quando escono fuori il vomito li assale […] e si pensi che molti lavoratori raggiungono a piedi il loro posto di lavoro […]: da un minimo di sei a un massimo di quattordici chilometri al giorno’.75 Ma l’articolista va ben oltre dal confezionare un’imparziale reportage documentaristico, trasformando la propria analisi in una vera e propria rivendicazione contrattuale:

Noi di fronte a fatti così disumani, quasi avvenissero in un’area isolata da ogni legge e da ogni norma cristiana e civile, ci sentiamo smarriti. […] non sappiamo se gli esercenti si mettono al di fuori delle norme contrattuali collettive […]. Il fatto è che quattrocento lire sono sufficienti a sfamare soltanto

2015). Presso il siti internet della Biblioteca Digitale della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e dell’Istituto

Luigi Sturzo è consultabile il quotidiano «Il Popolo», rispettivamente nelle annate 1924-2002, e 1944-1996.

74 Per un sintetico profilo biografico di Giuseppe Alessi, cfr. D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo

Sciascia, cit., pp. 189-192.

75 L. Sciascia, Il sale sulle piaghe, in «Il Popolo», 15 settembre 1951, p. 3,

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18 l’uomo che le guadagna. E la famiglia, spesso numerosa e carica di bambini e di donne? Con lo sciopero, inutile pensare a protestare: scioperare un giorno significa per il lavoratore non mangiare per un giorno; e la giornata è lunga quando i bambini chiedono pane. E poi il crumiraggio verrebbe organizzato in men che non si pensi; o i datori di lavoro attenderebbero impassibili, senza concedere un pollice di terreno alle istanze dell’operaio.76

Come si evince, lo scrittore si spinge a sostenere le rivendicazioni delle classi subalterne, con una vis antipadronale più consona a un bollettino sindacale che non a un foglio destinato a un pubblico di centro, moderato e borghese. E se in questioni interne la penna di Sciascia si dimostra tagliente, non meno incisivi risultano i suoi interventi in materia di politica internazionale. In un editoriale comparso sulla rivista «Vita Siciliana» del 22-24 febbraio 1945, che disegna i possibili scenari politici dell’Europa post-bellica, Sciascia ritiene ‘che la soluzione del problema europeo sia essenzialmente in senso comunista’,77 ma allo stesso tempo, avverte: ‘La Russia non ci può nemmeno essere da modello: la concretizzazione comunistica mediterranea sarà evidentemente diversa dalla slava o dalla germanica’.78 Ma è in articoli successivi che lo scrittore si smarca definitivamente dal modello stalinista, come chiaramente risulta dal pezzo occasionale, scritto a seguito della scomparsa di George Orwell, nel quale si rievoca il messaggio del novelliere inglese come critica contro ogni forma di totalitarismo: ‘crediamo che, nonostante la sua esperienza di uomo lo portasse ad una diretta avversione al comunismo, Orwell abbia voluto gridare all’uomo del suo tempo il pericolo della dittatura’.79 In un successivo articolo ospitato dalle colonne di «Sicilia del Popolo» e de «Il Popolo», al rinnovato slancio antitotalitario si sovrappone la polemica contro posizioni apologetiche dello stalinismo, perorate da intellettuali del calibro di Luigi Russo, fondatore della rivista «Belfagor» e direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, a proposito del quale l’estensore dell’articolo si chiede ‘dove le sue larvatiche istanze liberali andrebbero a cacciarsi se […] il Partito lo invitasse a rivedere il suo «Verga», a purgare il suo

«Machiavelli», […] questo in Russia è accaduto a Sciostakovic [sic] per la sua musica, a Varga per le sue conclusioni sull’economia capitalista, a Faedev [sic] per «La giovane

guardia»’.80 La conclusione del pezzo porta l’autore, commentando la descrizione di Russo di

76 Ivi.

77 D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia, cit., p. 182. 78 Ivi.

79 L. Sciascia, Molto prima del 1984 è morto George Orwell, in «La Prova. Quindicinale di critica politica», I, 1,

15 marzo 1950, p. 5, citato in D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia, cit., p. 183.

80 L. Sciascia, Angiolini e musi bui, in «Il Popolo», 25 agosto 1951, p. 3,

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19 un suo viaggio a Mosca, scritta per «Belfagor»,81 ad assimilare nella condanna il totalitarismo sovietico e quello nostrano di marca fascista:

Nega che ci sia la cortina, che ci sia la dittatura, che ci sia il lavoro forzato. Ammette solo una certa resistenza al «socialismo» in Cecoslovacchia: dove, dice, lo impressionano gli «angiolini» e i «musi bui» di alcuni che parlottavano a bassa voce. Che memoria labile, professore! Gli «angiolini»: una parola che usò il segretario PNF Carlo Scorza, che gli angiolini voleva spazzare. E tra gli spazzati degli angiolini poteva ben esserci (o ci inganniamo?) il professore Russo: il quale senza sforzo avrebbe potuto riconoscere in qualcuno dei musi bui di Praga il suo di dieci anni addietro.82

La posizione politica espressa dall’articolo appare d’altronde come la maturazione lineare di un intellettuale che ‘non aderì al Partito comunista […] ma […] ad un gruppo di antifascisti, essenzialmente costituito da comunisti’.83 Sciascia stesso, guardando

retrospettivamente a quegli anni, ripercorre un passaggio importante della propria maturazione politica, confermando lo sviluppo naturale del suo pensiero, più ancorato a uomini e princìpi che a un’ideologia specifica: ‘Nel 1943, allo sbarco degli americani in Sicilia, credevo di essere comunista […]. Ma non lo ero, e non lo sono mai stato. In effetti, più che del mito dell’Unione Sovietica, di Stalin e del comunismo, vivevo del mito

dell’America’.84 Dati tali presupposti, risulta evidente come le aderenze tra Sciascia e Alessi siano più di una: all’antistalinismo di Sciascia corrisponde l’anticomunismo di Alessi, per il quale nell’immediato dopoguerra la priorità è ‘fermare il comunismo a qualsiasi costo’;85 entrambi, si è visto, nutrono un profondo sentimento di riforme sociali in senso progressista; entrambi, non ultimo, provengono da un retroterra culturale saldamente antifascista. Le ragioni dell’antifascismo, in particolare, attraversano ricorrentemente la pubblicistica democristiana di Sciascia, e segnatamente con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative siciliane del 3 giugno 1951, in vista delle quali lo scrittore paventa il rischio di una pericolosa ventata di destra sulla vita politica regionale. In tal senso si esprime un corsivo polemico dalle colonne de «La Prova»:

Quanti imbecilli; la più gigantesca «mille e una notte» della stupidità. Nell’essere stupidi furono di un fasto orientale: il mondo forse non ha mai conosciuto un’era così totalmente votata alla stupidità, così fiera di essere stupida, così sprovvista del più elementare senso del ridicolo. Tragico è che gli italiani l’abbiano subita; e che qualcuno oggi l’abbia addirittura dimenticata.86

81 Cfr. D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia, cit., p. 199. 82 L. Sciascia, Angiolini e musi bui, cit., p. 3.

83 E. Macaluso, Sciascia, il PCI e il potere, cit., p. 89.

84 L. Sciascia, Sotto l’etichetta vedevo solo mafia, in «L’Europeo», 30 marzo 1981, p. 53, citato in I. Pupo, In Un

mare di ritagli, cit., p. 18.

85 E. Macaluso, Leonardo Sciascia e i comunisti, cit., p. 69.

86 L. Sciascia, Vomitano la Patria, in «La Prova», II, 4, 10 maggio 1951, pp. 1-4, citato in D. Scarpa, La prova

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20 In effetti, i risultati elettorali vedono il concretarsi dei timori di Sciascia riguardo alle prefigurate intenzioni di voto alla destra, con il superamento della quota del 22%.87 ‘I fascisti qui prendono felicemente quota. È, per tutti, un grosso guaio’,88 sostiene lo scrittore alzando il tono della polemica negli articoli del periodo post-elettorale. Prendendo di mira un articolo apparso sul quotidiano «Il Tempo», in cui, a difesa di appartenenti al FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria) sottoposti a processo, si assimilano le istanze neofasciste al nazionalismo del leader persiano Mohammad Mossadeq, Sciascia replica al giornalista della testata romana che ‘soltanto l’emme di Mossadeq ha suggestivamente operato per la sua visione […] ma che il suo cuore pronuncia altro «caro nome»’.89 Conclude Sciascia: ‘Certo, se ci fosse M., questi giovani sarebbero littori della cultura; le bombe nelle sedi dei partiti non sarebbero esplose, e per l’ovvia ragione che non ci sarebbero state le sedi dei partiti’.90 E più ancora audaci si fanno i toni allorquando si affaccia sulla scena politica siciliana la possibilità di una

collaborazione istituzionale tra la Dc e la destra, come dimostra la preoccupata conclusione di un articolo comparso il 3 giugno sulla rivista «Il Ponte» di Piero Calamandrei, intitolato “Il fascismo risorge in Sicilia”: ‘Gli uomini di più limpido antifascismo che l’Assemblea Regionale accoglie, dovrebbero con la stessa drasticità dei monarchici dichiarare quello che pensano; e, per tutti, Giuseppe Alessi’.91 Nella realtà, e diversamente dalle aspettative di Sciascia, il nuovo governo regionale presieduto da Franco Restivo, del quale entrano a far parte i monarchici, si avvale dell’appoggio esterno dell’Msi. Si spezza così il legame tra Sciascia e la Democrazia cristiana siciliana, nato sotto gli auspici dell’antifascismo, del riformismo e della solidarietà sociale, ma naufragato a causa del compromesso democristiano con il neofascismo e, come lo scrittore mostrerà nelle sue opere successive, della collusione con i poteri mafiosi.

87 Ibidem, p. 198.

88 Lettera del 10 giugno 1951 di Leonardo Sciascia a Mario La Cava, in M. La Cava, L. Sciascia, Lettere dal

centro del mondo, 1951-1988, a cura di M. Curcio e L. Tassoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 7.

89 L. Sciascia, Daltonismo professionale di un medico condotto, in «Il Popolo», 24 ottobre 1951, p. 3,

http://digital.sturzo.it/periodici/Il%20Popolo/1951/10/19511024 (URL consultato in data 19 dicembre 2015)

90 Ivi.

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21 Capitolo II. Gli anni Cinquanta

2.1 Da Favole della dittatura, opera antifascista e antistalinista, a Le parrocchie di

Regalpetra: oltre la letteratura documentaria

Gli anni Cinquanta della bibliografia sciasciana si aprono con la pubblicazione di Favole della dittatura,92 la prima opera organica di narrativa licenziata dallo scrittore di Racalmuto. Il libro rappresenta un punto di passaggio significativo tra la pubblicistica del dopoguerra e la produzione letteraria successiva, uno snodo i cui rimandi interni incardinano

intertestualmente, da una parte, molti dei temi politici precedentemente elaborati in ambito giornalistico e, dall’altra, come si mostrerà oltre, momenti salienti dell’impegno etico-civile dell’opera del Nostro. La continuità delle Favole con la fase precedente deriva in primo luogo dalla genesi stessa con la quale gli apologhi vedono la luce: dei ventisette brevi racconti, sei vedono già la luce il 21 dicembre 1948 su «Sicilia del Popolo», e altri venti tra il 15 marzo 1950 e il 31 maggio 1951, sul quindicinale «La Prova».93 Dal punto di vista tematico, le Favole mettono in parola una riflessione allegorica di matrice politica, in cui ‘le allusioni al regime da poco deposto si risolvono in una profonda meditazione sul potere e sulla sua eterna logica’.94 Nel dispiegare questa “eterna logica”, appare evidente sin dall’incipit l’ascendenza esopea-fedriana:

Superior stabat lupus: e l'agnello lo vide nello specchio torbo dell'acqua. Lasciò di bere, e stette a

fissare tremante quella terribile immagine specchiata. «Questa volta non ho tempo da perdere», disse il lupo. «Ed ho contro di te un argomento ben più valido dell'antico: so quel che pensi di me, e non provarti a negarlo». E d'un balzo gli fu sopra a lacerarlo.95

La favola sciasciana, tuttavia, non si presenta come mera riscrittura della favola classica, che anzi si vede svuotata da qualsiasi finalità edificante di exemplum morale, stravolta dal ribaltamento ironico e dallo svilimento grottesco; a tal proposito, come è stato sostenuto, ‘non si sente un “nuovo” Fedro che […] ammaestri ed educhi. Né s’ingegni nell’ironia sapiente […] pur con il suo peso di satira e di condanna, di esaltazione virtuosa. […] tutto […] è avvolto nella consapevolezza di uno sguardo acuito, e come immobile,

92 L. Sciascia, Favole della dittatura, Roma, Bardi, 1950, in Idem, Opere 1984-1989, cit. pp. 957-967, e in Idem,

La Sicilia, Il suo cuore. Favole della dittatura, Milano, Adelphi, 2010 (1a ed. 1997); i successivi rimandi

bibliografici al libro si riferiscono all’edizione Adelphi.

93 Cfr. D. Scarpa, La prova democristiana di Leonardo Sciascia, cit., pp. 186-189, e Idem, La prova

democristiana di Leonardo Sciascia. Repertorio bibliografico 1947-1951, cit., pp. 318-320.

94 M. Onofri, Storia di Sciascia, Roma-Bari, Laterza 1994, p. 24. 95 L. Sciascia, Favole della dittatura, cit., p. 37.

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22 congiuntamente rassegnato e renitente’,96 in cui ‘la ragione non trionfa mai; la situazione, o meglio la condizione, umana è disumana’.97 Una condizione disumana, quella determinata dalla dittatura, che nella raccolta sciasciana diviene teatrino degli orrori, paradigma di

sopraffazione del più forte sul più debole, simbolo della violenza dello Stato sul cittadino; una condizione, nelle parole del primo recensore del libello, Pier Paolo Pasolini, nella quale la ‘dittatura e il servilismo […] echeggiano nel vuoto della pagina, come se fossero irreali, gioco ed esercizio di raffinato evocatore’.98 Scrive Pasolini:

L’elemento greve, tragico della dittatura ha grande parte in queste pagine così lievi, ma è trasposto tutto in rapidissimi sintagmi, in sorvolanti battute che però possono far rabbrividire […] Ma anche questi improvvisi bagliori, queste gocce di sangue rappreso, sono assorbiti nel contesto di questo linguaggio, così puro che il lettore si chiede se per caso il suo stesso contenuto, la dittatura, non sia stata una favola.99

Con i “rapidissimi sintagmi”, le “sorvolanti battute”, gli “improvvisi bagliori”, il poeta di Casarsa mette in luce un aspetto delle favole non solo significativo sul piano stilistico, ma anche evocativo del clima di dolore e di paura, respirato in un regime totalitario. Il richiamo alla tradizione favolistica classica con la relativa antropomorfizzazione degli animali, diviene nella raccolta sciasciana un pretesto per mettere in scena un microcosmo fatto di violenza e di orrore, una fenomenologia del supplizio costruita attraverso ‘corpi [...] lacerati’,100 evidenziata da un ‘lessico particolarmente sensibile allo strazio fisico, al martirio’.101 Lo sgomento verso la dittatura, verso l’annichilimento della ragione, la disumanizzazione degli uomini

simbolizzati dagli animali, processo à rebours della trama favolistica tradizionale, viene allora espresso da lessemi fortemente espressivi, ai limiti di una ‘classicità invocata fino al manierismo dello stile’,102 come mostrano, per fare solo alcuni esempi, le scelte verbali – ‘lacerare’, ‘affondare’, ‘sbranare’, ‘schiacciare’, ‘morire’ –, nominali – ‘unghie’, ‘denti’, ‘bastonate, ’paura’, ‘gelo’, ‘disgusto’, ‘strazio’, ‘morte’ –, e aggettivali – ‘stridula

incrinatura’, ‘odore torbido’, ‘atroce presenza’, corpi ‘straziati’, ‘succhiati’, ‘sbranati’. Ma la critica pasoliniana, oltre a richiamarsi a tale espressionismo, rimarca soprattutto la rapidità del discorso, l’asciuttezza del linguaggio, che in effetti si presenta al lettore sotto forma di un

96 G. Scalia, Il primo lemma di Leonardo Sciascia, in A. Motta (a cura di), Leonardo Sciascia: la verità, l’aspra

verità, Manduria, Lacaita, 1985, pp. 151-156, citazione pp. 152-153.

97 Ibidem, p. 153.

98 P.P. Pasolini, Dittatura in fiaba, «La Libertà d’Italia», 9 maggio 1951, in Idem, Dittatura in fiaba (1951), in

A. Motta (a cura di), Leonardo Sciascia. La verità, l’aspra verità, cit., pp. 269-271, citazione p. 270.

99 Ibidem, p. 271.

100 M. Onofri, Storia di Sciascia, cit., p. 26. 101 Ibidem, p. 27.

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23 eloquio frammentato, asimmetrico, sospeso, costringendo il lettore a colmare

inferenzialmente lo stile ermetico. L’unica chiave ermeneutica concessa dallo scrittore è riscontrabile solamente nel peritesto, a cominciare dal titolo, Favole della dittatura, unica sede in cui compare il termine “dittatura”, ignorato nel resto del libro. Ulteriori elementi interpretativi sono forniti dalle due epigrafi iniziali, la prima tratta da La fattoria degli di George Orwell, la seconda da Parliamo dell’elefante di Leo Longanesi: risulta chiaro, allora, come le parabole zoomorfe non parlino esclusivamente del recente passato italiano, del Ventennio mussoliniano, ma alludano anche alle ombre lunghe della dittatura staliniana. Sciascia condanna parimenti gli opposti totalitarismi, coerentemente con quanto già espresso nella propria scrittura giornalistica, nella quale, si è visto, fascismo e comunismo di stampo sovietico vengono equiparati. Così facendo, lo scrittore getta un ponte intertestuale tra le Favole e la sua produzione precedente e, allo stesso tempo, con quella futura: accanto alla carsica presenza dell’‘eterno fascismo italiano’,103 sino all’ultimo costante endogena

dell’opera sciasciana, alla dualità fascismo-comunismo staliniano si sostituirà quella Dc-Pci, massimamente esplicitata ne Il contesto e in Todo modo.

Come nelle Favole, anche nel libro successivo, Le parrocchie di Regalpetra (1956), Sciascia torna a ripercorrere questioni politiche indagate nella decade precedente, anticipando altresì i nodi tematici della produzione degli anni Sessanta e Settanta. Dal punto di vista del genere, si tratta di un’opera in linea con lo stile mistilineo dello scrittore di Racalmuto, ‘un libro complesso, pieno di ipotesi di lavoro e di “prove d’autore”, cimenti nelle forme di scrittura futura: il racconto, il diario, il pamphlet, l’inchiesta storica, l’inchiesta d’archivio, la stessa scrittura teatrale’.104 Un libro complesso in cui ‘la voce […] polemica è capace di modulare almeno quattro importanti tipologie di discorso: la storiografica, l’orale-aneddotica, la sociologica e quella della prosa d’arte di matrice rondesca’.105 Una quinta tipologia

discorsiva si affianca alle precedenti, quella della ‘denuncia politica e sociale che forse non ha eguali […] nella letteratura del tempo’.106 In effetti, il piglio documentario sotteso al testo non si limita a descrivere una realtà sociale amara fatta di miseria e di soprusi, bensì dà voce, nel registrare i fatti, a un io narrante che si fa parte attiva in un racconto dove lo sdegno prende forma di denuncia. In particolare nel capitolo intitolato Cronache scolastiche, nato come

103 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 70.

104 G. Traina, Una problematica modernità. Verità pubblica e scrittura a nascondere in Leonardo Sciascia,

Acireale-Roma, Bonanno, 2009, p. 18.

105 Ivi.

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24 estensione di un banale registro di classe trasformato in una vera e propria cronaca letteraria di un anno di scuola, la pagina narrativa si confronta con la realtà socio-politica alla quale si riferisce, l’esperienza autobiografica dello scrittore si confronta con la definizione del ruolo dell’intellettuale impegnato, e con la necessità da questi avvertita di doversi schierare: ‘Se io mi abituerò a questa quotidiana anatomia di miseria [….], a questo crudo rapporto umano; se comincerò a vederlo nella sua necessità e fatalità, come di un corpo che è così fatto e diverso non può essere, avrò perduto quel sentimento, speranza e altro, che credo sia la parte migliore di me’.107

Dato il presupposto dell’impegno come tassello irrinunciabile del fare letteratura, nelle Cronache, come nel resto delle Parrocchie, la presa d’atto delle disparità sociali assume lo status di consapevolezza politica della lotta di classe, espressa fuor di retorica, senza

compiacimenti pietistici né toni patetici, e anzi nel segno della sintesi stilistica, dell’icasticità delle immagini, della secchezza della rappresentazione: all’antiretorica sentenza della pagina di apertura – ‘Non amo la scuola; e mi disgustano coloro che, standone fuori, esaltano le gioie e i meriti di un simile lavoro’108 – seguono momenti che demistificano qualsivoglia approccio compassionevole alla materia, come nella descrizione degli alunni, ragazzi le cui madri chiedono al maestro ‘che li raddrizzi a botte, i loro figli’,109 ‘ragazzi che si annoiano, spezzano le lamette da barba per lungo, le piantano nel legno del banco […]; si scambiano oscenità; […] bestemmiano’,110 ragazzi che ‘colorano le vignette dei libri […] fino a strappare la pagina’,111 e, anziché seguire la lezione, ‘alla mensa pensano […] a prendere la ciotola di alluminio, fagioli brodosi con rari occhi di margarina […]’,112 ragazzi che ‘prestano servizio nelle ore libere […] presso famiglie agiate […] rubacchiano sulla spesa, […] diventano bugiardi, cattivi, di una cattiveria macchinosa e gratuita’.113 Il crudo realismo del linguaggio, funzionale alla restituzione di un quadro fenomenologico desolante, costituisce allora la cifra dell’engagement politico di Sciascia e del suo sentimento di partecipazione emotiva alle vicende narrate, del suo disagio di maestro di fronte alla classe di ripetenti affidatagli, alunni

107 L. Sciascia, Cronache scolastiche, in Idem, Le parrocchie di Regalpetra, cit., p. 112. 108 Ibidem, p. 93. 109 Ivi. 110 Ibidem, p. 94. 111 Ivi. 112 Ivi. 113 Ibidem, p. 101.

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25 che le valutazioni scolastiche vorrebbero relegare alle scuole differenziate, ‘poveri di una povertà stagnante e disperata, da secoli al banco degli asini, stralunati di fatica e di fame’:114 Io li incontro per strada i miei alunni, mentre gridando domandano chi ha uova da vendere, li vedo intorno alle fontane che litigano e bestemmiano aspettando il loro turno per riempire le grandi brocche di creta rossa, in giro per le botteghe. Poi li ritrovo dentro i banchi, chini sul libro o sul quaderno a fingere attenzione, a leggere come balbuzienti. E capisco benissimo che non abbiano voglia di apprendere niente […]. Prima di cominciare a spiegare una lezione debbo anzi superare un certo impaccio, il disagio di chi viene a trovarsi di fronte a persona contro cui ordiamo qualcosa, e quella non sa, e magari sta credendo in noi. Leggo loro una poesia, cerco in me le parole più chiare, ma basta che veramente li guardi, che veramente li veda come sono, nitidamente lontani come in fondo a un binocolo rovesciato, in fondo alla loro realtà di miseria e rancore, lontani come i loro arruffati pensieri, i piccoli desideri di irraggiungibili cose, e mi si rompe dentro l’eco luminosa della poesia. […] E sento indicibile disagio e pena a stare di fronte a loro col mio decente vestito, la mia carta stampata, le mie armoniose giornate.115

Insistita in molte pagine delle Parrocchie torna l’estetica della povertà, icasticamente rappresentata nei tratti di una situazione atavica, assoluta, quasi trascendente, come poetica programmatica e consapevole della narrativa sciasciana:

Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese che amo, e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione. La povera gente di questo paese ha una gran fede nella scrittura, dice - basta un colpo di penna – come dicesse – un colpo di spada – e crede che un colpo vibratile ed esatto della penna basti a ristabilire un diritto, a fugare l'ingiustizia e il sopruso. Paolo Luigi Couner, vignaiuolo della Turenna e membro della Legion d'onore, sapeva dare colpi di penna che erano come colpi di spada; mi piacerebbe avere il polso di Paolo Luigi per dare qualche buon colpo di penna: una "petizione alle due Camere" per i salinari di Regalpetra per i braccianti per i vecchi senza pensione per i bambini che vanno a servizio. Certo, un po' di fede nelle cose scritte ce l’ho anch'io come la povera gente di Regalpetra: e questa è la sola giustificazione che avanzo per queste pagine.116

Politicamente allineata al discorso in precedenza portato avanti in sede pubblicistica, la testimonianza di Sciascia nelle Cronache costituisce un incisivo attacco all’inefficienza di un sistema educativo che ratifica le disparità sociali invece di appianarle, che concepisce la scuola come parcheggio e non come opportunità di emancipazione, e che non risponde ai bisogni reali dei suoi destinatari, a partire da quelli primari – si pensi alla mensa, della quale si descrive il rancio ributtante, o alla carenza di libri di testo –. Nella medesima cifra stilistica delle Cronache, ogni altra pagina delle Parrocchie è pervasa da un fremito morale, da una riflessione inquieta ma lucida sulle differenze sociali che, ancora nell’Italia di metà anni Cinquanta, condannano il microcosmo di Regalpetra alla ‘continua sconfitta della ragione’.117

114 Ibidem, p. 104. 115 Ibidem, pp. 102-103.

116 L. Sciascia, Prefazione all’edizione del 1967, in Idem, Le parrocchie di Regalpetra, cit., pp. 9-10. 117 Cfr. nota 26.

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