• No results found

Una frontiera spostata

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Share "Una frontiera spostata"

Copied!
43
0
0

Bezig met laden.... (Bekijk nu de volledige tekst)

Hele tekst

(1)

Una frontiera spostata

L’esodo degli italiani nella Trilogia istriana di Fulvio Tomizza

Pieter de Weerd

6116663

Relatore: dr. L.N. Pennings Correlatore: dr. R.M. de Rooij Universiteit van Amsterdam Facoltà di Scienze Umane

Tesi di laurea in Lingua e Cultura italiana agosto 2018

(2)

2

INDICE

Introduzione ... 3

1. Letteratura di frontiera e di esilio ... 5

2. Fulvio Tomizza ... 10

2.1La vita ... 10

2.2Le opere ... 13

2.3 La Trilogia istriana... 15

3 Materada ... 16

3.1 Trama e contesto storico... 16

3.2Plurilinguismo ... 19

3.3 Terra e paesaggio ... 21

3.4 La frontiera...25

3.5 L’esilio ... 23

4 La ragazza di Petrovia ... 25

4.1Trama e contesto storico ... 25

4.2 Plurilinguismo ... 26

4.3Terra e paesaggio... 28

4.4La frontiera ... 30

5 Il bosco di acacie ... 32

5.1 Trama e contesto storico... 32

5.2Plurilinguismo ... 33 5.3 Terra e paesaggio ... 33 5.4La nostalgia ... 35 5.5La frontiera ... 36 Conclusione ... 39 Bibliografia ... 42

(3)

3

Introduzione

Come attestato dalla storia, molti conflitti armati finiscono con lo spostamento dei confini nazionali e con il conseguente sradicamento degli abitanti delle zone colpite da tali spostamenti. L’Italia, dopo la seconda guerra mondiale, ha conosciuto l’esodo di numerosi connazionali dalle terre passate all’allora Jugoslavia. I paesi che avevano perso la guerra furono costretti a concedere parti del loro territorio ai vincitori e per l’Italia specie le correzioni della frontiera dell’est costringevano molti italiani a lasciare le loro terre native per trasferirsi dall’altra parte del confine. A questi italiani toccava la sorte drammatica di una vita da profughi.

Personalmente, sono rimasto colpito dalle notizie nei media sulle sofferenze subite nelle aree abbandonate dai profughi e sulla loro problematica accoglienza in Italia, ricordandomi di aver sentito alla radio, negli anni Cinquanta del secolo scorso, le notizie sulle trattative di Londra sulla “questione” di Trieste, senza conoscerne i problemi e il contesto storico. Le lezioni seguite nell’autunno del 2016 sulla letteratura italiana di confine e specie quella del Nord orientale, su autori come Svevo, Saba, Slapater, Stuparich, Pasolini e Virgilio Giotti, hanno ridestato il mio interesse per la letteratura di questa regione; a rafforzare questo interesse ha contribuito anche la lettura del romanzo Non Luogo a Procedere di Claudio Magris, uscito nel 2015.1

Come sappiamo, i grandi scrittori di Trieste hanno scritto della società multietnica e multiculturale nella loro città e degli abitanti arrivati durante molti secoli da tutti gli angoli d’Europa. Questa convivenza multiforme, che per secoli aveva contrassegnato la regione e la sua cultura, a partire dal primo Novecento ha subito duri colpi dall’espansione del nazionalismo, che anche a Trieste aveva messo radici nei vari gruppi etnici che la popolavano. D’altra parte ci sono stati molti scrittori che hanno dimostrato che, specie a Trieste, la convivenza multietnica è sempre stata proficua per la città e la regione circostante. Fulvio Tomizza, essendo nato in campagna ma vissuto la maggior parte della sua vita a Trieste, era cresciuto in un ambiente in cui gli slavi e gli italiani vivevano gli uni accanto agli altri senza grandi problemi.

Fulvio Tomizza è stato uno degli scrittori che nelle loro opere hanno dato espressione alle conseguenze drammatiche di un’ideologia favorevole allo Stato monoetnico, che legittima la pressione esercitata sulle minoranze affinché si adattino alla maggioranza, rendendo la vita difficile a tutti quelli che non possono o vogliono adattarsi, anche con uso di violenza e di

(4)

4

soppressione. Tomizza si è sentito costretto ad abbandonare la sua terra natia, nonostante la sua discendenza parzialmente slava. Nella prima fase della sua carriera di scrittore si è interessato alle storie delle persone che, come lui, sono state colpite dagli eventi di violenza durante gli ultimi anni della seconda guerra mondiale e i primi anni del dopoguerra.

Grazie alla riscoperta, dopo la morte dell’autore, delle sue opere da parte del pubblico italiano e in misura minore da quello straniero, e grazie anche all’impegno di vari studiosi negli ultimi dieci anni, molti dei suoi libri sono stati ristampati. Il rinnovato interesse da parte degli storici e del pubblico per l’esodo degli italiani dalla Jugoslavia dopo la guerra, ha fatto nascere numerosi articoli e documentari televisivi, come è stato ricordato dal presidente della Repubblica Giorgio Napoletano nel 2011, in un incontro con i presidenti della Croazia e della Slovenia diretto a commemorare i torti del passato e ad aprire le vie ad un futuro più armonioso.2

La presente tesi vuole indagare se e fino a che punto Fulvio Tomizza possa essere considerato uno scrittore di letteratura di frontiera e come la sua condizione di esule abbia influenzato le opere della prima fase della sua carriera e più in particolare i tre romanzi della

Trilogia istriana. Prima di analizzare la problematica dell’esilio in ognuno dei romanzi della Trilogia tomizziana, prenderò in considerazione il concetto di “frontiera”, che costituisce un

tema fondamentale nell’opera di scrittori in tutto il mondo.

(5)

5

1. Letteratura di frontiera e di esilio

La nozione di frontiera ha un’importanza fondamentale in molte letterature. La gente di frontiera si vede confrontata con vari problemi collegati alla loro posizione nel mondo. Claudio Magris e Angelo Ara hanno definito nel seguente modo la frontiera e il suo effetto sulla gente:

La frontiera è una striscia che divide e collega, un taglio aspro come una ferita che stenta a rimarginarsi, una zona di nessuno, un territorio misto, i cui abitanti sentono spesso di non appartenere veramente ad alcuna patria ben definita o almeno di non appartenere con quella ovvia certezza con la quale ci si identifica, di solito, con il proprio paese.3

Secondo questa descrizione ogni persona che vive in una zona di frontiera può avere difficoltà a stabilire una sua propria identità. Nel capitolo introduttivo del suo studio su Danubio di Claudio Magris, Natalie Dupré esamina vari aspetti della frontiera.4 Al primo posto la Dupré vede la frontiera come la linea di demarcazione fra un “sistema” e la sua area circondante. Il confine territoriale fra uno stato e i paesi vicini è soltanto una delle possibili forme della frontiera, mentre in molti casi anche lo spartiacque fra città e campagna può funzionare come tale. Una frontiera implica anche delle distinzioni sul piano linguistico, culturale, sociologico, religioso, ecc. Per Magris, come pure per Tomizza, l’aspetto geografico prende un posto primario, dato che tutti e due gli scrittori hanno trascorso la maggior parte della loro vita nella città di frontiera Trieste.

Analizzando le caratteristiche della frontiera nella letteratura, Dupré distingue due modalità nella dinamica fra sistemi, cioè la “chiusura sistemica”, che favorisce il conflitto, e l’“apertura sistemica”, che cerca dei modi in cui i sistemi possano esistere l’uno accanto all’altro con la possibile conseguenza che tutti e due subiscano una sua influenza positiva. Come germanista Claudio Magris ha giocato un ruolo importante nel riscoprire dei valori andati perduti con la fine della monarchia asburgica. Dupré definisce in modo diverso la posizione di Tomizza, affermando nel paragrafo sulla questione dell’identità:

3 Ara, Angelo, and Claudio Magris. Trieste. Un'identità di frontiera. Torino: Einaudi, 2015, p.192.

4 Dupré, Natalie. Per un’epica del quotidiano. La frontiera in Danubio di Claudio Magris. Firenze: Franco Cesati

(6)

6

Risulta infatti difficile accostare Magris a certi altri scrittori “triestini”, come ad esempio Fulvio Tomizza, per cui la storia drammatica della sua terra d’origine e il tanto desiderato quanto impossibile ritorno a un’epoca d’oro hanno finito per costituire la radice e la ragione della sua vocazione letteraria.5

Dupré qui sembra suggerire che Tomizza sia più preoccupato dei suoi problemi personali che interessato nelle questioni principali della problematica vissuta dai suoi personaggi. Si dovrebbe però tenere in considerazione che Tomizza è stato colpito in modo diretto dall’espulsione dalla sua terra natale mentre Magris, benché anche lui originario di Venezia-Giulia, ha potuto prendere la posizione dell’osservatore, mantenendo una certa distanza dalle situazioni descritte. Laddove Magris in varie opere si è approfondito nelle caratteristiche dei vari territori di frontiera che ha vissuto o visitato, Tomizza nelle sue opere non si è mai del tutto liberato dalla sua regione d’origine, cioè la parte dell’Istria in cui è nato. Di tutti e due gli scrittori si potrebbe comunque dire che la maggior parte delle loro opere appartenga alla cosiddetta letteratura di frontiera.

La nozione di “letteratura di frontiera” è nata anzitutto nell’ambito della letteratura americana, in cui, nell’epoca della conquista dell’Ovest, la frontiera si spostava sempre più in direzione occidentale e la letteratura rappresentava soprattutto i contatti difficili con gli abitanti d’origine del continente. Nel secondo Ottocento gli studiosi americani si sono resi conto dell’importanza di questa letteratura, come risulta ad esempio dalla “Frontier Thesis” (o “Turner Thesis”) postulata da Frederick Jackson Turner.6

Dopo la conquista di tutto il continente da est a ovest, la tematica della frontiera si è spostata nel Novecento alla problematica degli immigranti ispanofoni.

Nell’ambito italiano non solo la letteratura di Venezia-Giulia, ma anche quella di varie altre regioni conosce la problematica della frontiera; si pensi al Piemonte orientale o alla Liguria rappresentata nell’opera di Francesco Biamonti. La problematica si presenta però in modo più ampio nelle regioni dell’Alto Adige, a cui Claudio Magris dedica la parte di Microcosmi intitolata Anholz,7 e della Venezia-Giulia, descritta anche – come ricorda Dupré – nell’opera di Scipio Slapater, che ci era nato e cresciuto.

5

Ivi, p. 33.

6 Come noto, Turner ha presentato la sua tesi in un documento intitolato “The significance of the Frontier in

American History”, all’American Historical Association nel 1893 a Chicago, nel 1893.

(7)

7

È interessante rilevare, come Dupré osserva nel primo capitolo del suo studio, intitolato “Preliminari. Frontiera e dintorni”, che secondo Magris scrivere letteratura significa sempre oltrepassare un confine, per cui quindi ogni scrittore sarebbe un “uomo di frontiera”:

Ogni espressione letteraria, ogni forma è una soglia, una zona sul limitare di innumerevoli elementi, tensioni e movimenti diversi, uno spostamento dei confini semantici e delle strutture sintattiche, un continuo smontaggio e rimontaggio del mondo, delle sue cornici e delle sue immagini, come in un teatro di posa in cui incessantemente si riassestino le scene e le prospettive della realtà.8

Approfondendo il concetto di frontiera, Dupré analizza anche aspetti che sono legati alle condizioni psichiche di quelli che vivono in una zona di frontiera. Queste persone possono “soffrire” della sensazione di non appartenere veramente a una delle culture divise dalla frontiera presso la quale vivono. Esserci nati spesso significa che la psiche personale è formata da influenze di ambedue queste culture e, in più, di una specifica cultura locale o regionale. Scipio Slapater era ben consapevole della contrapposizione tra città e campagna, che per lui rappresentava una vera frontiera.

Le incertezze identitarie delle persone di frontiera possono portare a vari problemi, come afferma Dupré:

A fare dell’incertezza una forma mentis è lo stesso senso di separazione. Se nel caso dell'esiliato l'insicurezza ha le sue radici in una forma di perdita, si può dire che in generale è legata a una mancanza – e quindi a un intimo desiderio – di unione, insieme alla difficoltà, o persino all'impossibilità, di proiettare e realizzare quest’unità nella complessità tipica di un contesto di frontiera. L’incertezza si fa forma mentis dal momento in cui finisce per determinare le modalità del rapporto dell'Io con il mondo, e il suo posizionarsi all'interno del discorso politico e socio-culturale. L’attività auto-organizzativa dell’Io può infatti farsi vettore di un forte senso d’incertezza che porta il dubbio, l’interrogazione, l‘ipotesi, la perplessità a prevalere nel rapporto epistemico e/o etico che l’Io instaura con la realtà. Questo stesso rapporto comporta inoltre delle specifiche modalità di porsi di fronte al tempo, come l'attesa, la speranza, l’angoscia o la nostalgia. Alla base di ciascuna di queste modalità sta un riferimento (più o meno problematico) a un momento situato nel passato o nel futuro; è chiaro che queste modalità sono

8 Dupré, Natalie. Per un’epica del quotidiano. La frontiera in Danubio di Claudio Magris, cit., p.32 (citazione presa

(8)

8

intimamente legate alla tensione creata dal desiderio del ritorno. Permane tuttavia la frontiera a separare il desiderio dalla sua (impossibile) realizzazione: la frontiera è anche barriera, non-soluzione.9

Gli eventi storici degli anni Cinquanta del secolo scorso hanno fatto sì che le culture ad ambedue i lati del confine italiano-jugoslavo avevano molte difficoltà a mantenere contatti fra loro. Per gli abitanti espulsi dai territori italiani prima della seconda guerra mondiale, l’esilio moltiplicava le incertezze d’identità. Lo scrittore Diego Zandel, di una famiglia proveniente da Fiume, è nato in un Campo Profughi e ha passato la sua infanzia in vari campi nei pressi di Roma. Zandel è uno dei numerosi autori che hanno scritto le loro opere più importanti in esilio; si potrebbe dire che la lunga lista di tali scrittori cominci con Dante Alighieri.

Nel suo saggio La mia frontiera, Diego Zandel definisce la letteratura di frontiera e il proprio sentimento di esule:

Perciò dai luoghi di frontiera – non solo nazionale o linguistica, ma anche etnica, sociale, religiosa, culturale – è spesso nata una notevole letteratura, espressione di quella crisi e di quella ricerca dell’identità che segnano oggi il destino di ognuno e certo non soltanto di chi nasce o vive nelle terre di confine.10

I sentimenti più evidenti che caratterizzano questo tipo di scrittura sono la voglia di ritornare alla terra abbandonata e l’impossibilità del ritorno, l’incapacità di radicarsi in modo soddisfacente nel nuovo ambiente e l’incolpazione di quelli ritenuti responsabili del forzato abbandono della terra nativa, spesso accompagnata da un desiderio di punizione.

Parlando dell’esilio e basandosi sulle opere di Enzo Bettiza, scrittore esule di Spalato, Chiara Marasco descrive come segue i sentimenti sublimati:

L’esilio rappresenta per ogni individuo un’esperienza di rottura: l’addio a un mondo che lo ha escluso e l’ingresso in una realtà che, pur essendo anche geograficamente tanto vicina a quella di provenienza, è un altrove che respinge, che umilia, che non accetta lo straniero, l’altro; di conseguenza l’esilio diventa esclusione, confine della vita, assenza, la sensazione di sentirsi perennemente “dall’altra parte”.11

9 Dupré, Natalie. Per un’epica del quotidiano. La frontiera in Danubio di Claudio Magris, cit., pp. 41-42. 10

Zandel, Diego. “La mia frontiera”, in Già troppe volte esuli. Letteratura di frontiera e di esilio, tomo II, a.c.d. Novella di Nunzio e Francesco Ragni. Perugia: Università di Studi di Perugia, 2014. pp. 8-9.

11 Marasco, Chiara. “Alla periferia del mondo: il vicino e l’altrove. Le cicatrici della memoria nella letteratura

(9)

9

Nei capitoli seguenti vedremo che nella Trilogia istriana sono presenti varie caratteristiche sia della letteratura di frontiera che di quella d’esilio.

(10)

10

2. Fulvio Tomizza

2.1 La vita

Fulvio Tomizza nacque il 26 gennaio 1935 a Giurizzani (in croato Juricani), un paese nella parrocchia di Materada, nel comune di Umago (Umag), in Istria. Nel 2001 vivevano a Materada secondo il censo croato 129 abitanti, che nel 1948 furono 252.12

Il futuro scrittore discende da una famiglia che possedeva piccoli pezzi di terreno che faceva coltivare da braccianti slavi, esercitando inoltre varie attività commerciali. Sua madre, Margherita Frank Trento, era di origine slava e popolare mentre suo padre Ferdinando era il più ricco uomo del paese, la cui atmosfera viene descritta da Carmelo Aliberti in queste parole: “Materada è formata da poche case e lontano vaste distese di terra rossa sembrano riflettere il loro calore, sia nella vegetazione, che nelle costruzioni, dove il silenzio regna sovrano, che contribuiscono a creare un’atmosfera cupa.”13

Un avo della famiglia, possibilmente di origine slava, si era stabilito a Materada in fuga per l’invasione turca nella Dalmazia nel XVI secolo, ottenendo da Venezia pezzi di terreno in cambio per i servizi resi alla Serenissima. Un suo discendente, Torri Tomizza, “fece costruire la chiesa e, attorno ad essa, presto si aggregò una consistente comunità formata da gente, pastori e contadini, provenienti dall’entroterra, ancora assoggettato a sistemi austro-feudali.”14

Già prima che i Tomizza si stabilirono nella regione, dopo la caduta dell’impero romano, migranti slavi cominciarono a invadere le terre latinizzate dell’Istria e Dalmazia e fino alla crescita del nazionalismo gli slavi erano minoritari e normalmente occupavano posti subalterni, soprattutto nelle aree rurali. In Istria, e più specificamente nella regione d’origine di Fulvio Tomizza, i due grandi gruppi etnici del paese avevano vissuto per molti anni in pace tra loro; anche la prima gioventù del futuro scrittore si era svolta in modo sereno, nonostante l’aumento delle idee nazionalistiche, sia degli slavi che degli italiani. La repressione fascista fece nascere le prime tensioni fra le due etnie. Tomizza ne ha parlato in un’intervista su Radio Uno nel 1971:

Si trattò di una divisione e poi di una schermaglia di tipo famigliare, grosso modo tra parenti poveri (i simpatizzanti croati) e parenti ricchi (quelli iscritti alla lega nazionale). Ma quella prima incrinatura si

12 Censo del 2001, https://fr.wikipedia.org/wiki/Materada.

13 Aliberti, Carmelo. Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima. Foggia: Bastogi Editrice, 2001. p. 18. 14 Ivi, p. 19.

(11)

11

allargò e s’incupì anni dopo, accogliendo il seme della discriminazione fascista. Il paese si spaccò in due e si rivolse per la prima volta all’“esterno”.15

Dopo la scuola elementare e con la guerra già scoppiata, il giovane entra nel seminario della vicina Capodistria, dove riceve un’educazione classica e prosegue i suoi studi presso i salesiani a Gorizia. Finisce la sua educazione al liceo di Capodistria, come tutti i figli della borghesia italiana della regione. In questa scuola si sente uno straniero a causa della sua identità mista, essendo anche l’unico allievo di origine contadina.

Già durante gli ultimi anni della guerra le truppe di Tito avevano invaso grandi parti dell’Istria e di altre regioni dell’Italia orientale. Le persecuzioni di cui gli italiani furono vittime dopo le invasioni del 1943 e 1945 colpivano anche Trieste e dintorni. Dopo la partenza dei tedeschi, i titini entrarono a Trieste tenendola occupata per dodici giorni, dopodiché gli alleati occidentali li forzarono ad abbandonare la città. Dopo l’armistizio, gli jugoslavi ottennero il controllo sulla campagna circonstante, battezzata “zona B”, mentre la “ zona A” della città stessa veniva messa sotto il controllo degli anglo-americani. Materada era situata nella zona B, il che significava problemi drammatici per la famiglia Tomizza.

Dopo aver subito vari processi e carcerazioni con maltrattamenti, il padre di Fulvio, sua moglie e suo fratello abbandonano i loro possessi nella zona B e si trasferiscono a Trieste. Fulvio li visita quando può, aiutandoli nel lavoro, e alla fine dell’anno si stabilisce anche lui definitivamente nell’ex porto principale degli Asburgo. In questo periodo nasce la consapevolezza del suo problema di identità:

Amavo mio padre, che nel suo cuore aveva sempre agito per l’Italia, e soffrivo vederlo perseguito dagli slavi.

Andavo a Trieste col lasciapassare e là venivo considerato slavo perché provenivo dall’interno, tornavo a Materada, e qui venivo considerato italiano. Era lo sbandamento, era il dramma della frontiera vissuto fino al fondo.16

Il padre morì all’età di soli quarantasette anni. Nel secondo romanzo della tetralogia su Marko Markovich, L’albero dei sogni – un riferimento al sesto libro dell’Eneide di Virgilio – Fulvio Tomizza descrive la relazione complessa con suo padre che nel sogno vede ritornare alla vita: lui

15 Tomizza, Fulvio, L’Approdo (Radio Uno 24/1/1971) in Aliberti, Carmelo. Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima, cit., p. 20.

(12)

12

conservatore, il figlio come un giovane aperto alle novità. La relazione con il padre in senso generale è diventata uno dei temi importanti nell’opera dello scrittore istriano, il quale nella

Trilogia ci presenta dei vecchi profughi in uno stato mentale triste, che vivono in un mondo che

non esiste più. Anche il fratello del protagonista, menzionato soltanto nelle pagine biografiche di Carmelo Aliberti, gioca un ruolo importante sia in Materada, sia nella Ragazza di Petrovia. È interessante notare poi che il fratello del protagonista nella Città di Miriam è un prete, come pure il cugino della protagonista nella Ragazza di Petrovia.

Nel 1954, dopo il Memorandum di Londra in cui la zona B finisce definitivamente sotto l’amministrazione della Jugoslavia e tutta la famiglia si trasferisce a Trieste, Fulvio come già detto si riunisce con loro soltanto alla fine dell’anno. Per Fulvio Tomizza cominciano allora gli anni in cui va in cerca della sua identità. Attratto dall’idea di dare un impulso alla vita culturale slava, si iscrive all’università di Belgrado e frequenta l’Accademia di Arte Drammatica. Le conoscenze acquisite nell’ultima lo spingono a partecipare come co-registra alla produzione a Lubiana del film Attimi decisivi. È a Lubiana che Fulvio si mette alla stesura di quello che diventerà il suo primo romanzo. Finita la prima versione del manoscritto, lo sottopone al giudizio di Elio Vittorini.

A Trieste, Fulvio Tomizza comincia a lavorare per il giornale radio locale. Dopo aver elaborato i commenti di Vittorini, pubblica nel 1960 il suo primo romanzo Materada, fatto che significa l’inizio della sua carriera di scrittore. In questi anni iniziali è ancora spinto dalla passione per il teatro, che nel 1963 sfocia nel compimento del suo primo pezzo teatrale Vera

Verk 17, basato su una storia d’amore fatale che si svolge nella campagna carsica negli anni

Trenta del XX secolo.18 Il dramma è rappresentato prima a Trieste nel gennaio del 1963 e successivamente in Jugoslavia. Nel 1967 segue un secondo dramma, Storia di Bertoldo, basato sull’opera seicentesca di Giulio Cesare Croce.

Già nei primi anni Sessanta lo scrittore abbandona lo stile neorealistico del suo primo romanzo, il che comporta una svolta notevole nelle descrizioni dei pensieri dei protagonisti nel

17

Vera Verk è stato pubblicato nella rivista “Sipario” del luglio 1963. Soltanto nel 2006 fu pubblicato in volume (Vera Verk. Empoli: Ibiskos Editrice Risolo, 2006)

18 L’omonima protagonista che si è sposata giovanissima con un uomo molto più vecchio e anche invalido, inizia

un’avventura amorosa con suo cognato da cui nasce una figlia. Tutti pensano che sia la figlia del marito invalido. Dopo aver abbandonato il cognato comincia un’altra storia d’amore che finisce con il brutale assassinio dell’amante. Venti anno più tardi Vera si suicida in un tentativo di impedire il matrimonio di sua figlia con il figlio del cognato. Il dramma è stato scritto nello stile del verismo.

(13)

13

secondo romanzo della Trilogia. Nella Ragazza di Petrovia, che sarà pubblicato tre anni dopo l’uscita di Materada, lo scrittore, ancora impressionato delle esperienze della partenza forzata, dà un resoconto delle vicissitudini dei profughi dopo l’arrivo in Italia. Il cambiamento dello stile è ancora più chiaro nella tetralogia di carattere ancora più autobiografico scritta dopo la Trilogia

istriana, con il protagonista Stefano Markovich, di cui il primo romanzo, l’Albero dei sogni, esce

nel 1965. Il terzo romanzo della Trilogia, Il bosco di acacie, è stato pubblicato per la prima volta nel 1966; nel 1967 i suoi primi tre romanzi sono stati pubblicati insieme come una trilogia.

Si sposa con Laura, figlia dell’allora noto musicologo Vito Levi, fatto che gli dà l’ispirazione per il suo romanzo La città di Miriam del 1974, che è il terzo volume della sua tetralogia autobiografica. Laura Tomizza-Levi era presente al simposio dedicato all’opera di Fulvio Tomizza, tenuto a Lubiana nel settembre 2015.

Negli ultimi anni della sua vita Tomizza passava l’inverno a Trieste e l’estate nella campagna in cui era nato, in una casa comprata per nostalgia degli anni dell’infanzia, trascorsi lontano della guerra che allora flagellava altre parti della ex Jugoslavia. Sempre combattendo per una migliore comprensione fra le etnie che vivevano nelle terre una volta contestate, lo scrittore muore il 21 maggio 1999 ed è stato seppellito nella sua terra nativa Materada. La sua opera comprende più di trenta titoli, tra romanzi, novelle, racconti, saggi e drammi.

2.2 Le opere

I primi romanzi di Tomizza avevano per tema l’esodo degli italiani dall’Istria. Dopo i tre romanzi della Trilogia Istriana anche i romanzi successivi, con il protagonista Marco Markovich come l’alter ego dello scrittore, raccontano delle vicende dei profughi italiani cacciati dalla penisola, ormai sotto l’amministrazione jugoslava. Con La città di Miriam il focus si sposta sulla città di Trieste e sui suoi abitanti.

Nel romanzo La miglior vita, premiato con il Premio Strega nel 1977, Tomizza parla ancora dell’Istria perduta, ma questa volta da una prospettiva storica e attraverso gli occhi del sagrestano Martin Krusich, che vede nei sette pastori per cui ha lavorato la personificazione dei poteri e dei cambiamenti verificatisi in Istria nei primi decenni del ventesimo secolo.

Dopo essersi sviluppato da uno scrittore neoverista a uno psicologista negli anni Sessanta e Settanta, lo scrittore dirige la sua attenzione principalmente su temi storici che, oltre che con la

(14)

14

sua regione d’origine, hanno un legame con la fede. Il romanzo Il male viene dal Nord, sul vescovo cinquecentesco Vergerio, originario di Capodistria, che nutriva un forte interesse per il luteranismo, è uno dei più noti in questa serie di opere non collegate, di cui il romanzo Gli sposi

di via Rossetti vince il Premio Selezione Campiello nel 1986. Anche questi romanzi possono

essere considerati come espressioni della costante ricerca d’identità da parte dell’autore.

Ho già accennato all’interesse di Tomizza per il teatro: oltre ai due pezzi teatrali già menzionati, Tomizza ha scritto un terzo dramma, L’idealista, basato sul capolavoro del romanziere sloveno Ivan Cancar, Martin Kacur: biografia di un idealista, pubblicata nel 1906 e apparsa in traduzione italiana nel 1981. Il dramma di Tomizza è stato rappresentato nel 1976.

In quasi tutte le sue opere Fulvio Tomizza si dimostra un difensore della convivenza dei vari gruppi etnico-culturali che nel passato convivevano pacificamente gli uni con gli altri, una situazione difficile da continuare dopo l’ascesa dello Stato nazionale. Secondo Carmelo Aliberti i temi principali delle opere di Tomizza si possono sintetizzare come: lo sradicamento, le due culture, lo scrittore di frontiera, l’incomprensione-comprensione con il padre, la drammatica epifania finale, la donna, la presenza di Dio.19

Per questa ricerca sono d’interesse soprattutto i primi tre temi – lo sradicamento, le due culture, la frontiera – che costituiscono delle caratteristiche importanti della letteratura di frontiera e di esilio. Dopo la partenza dall’Istria lo scrittore vive fino alla sua morte a Trieste, dove il suo matrimonio con Laura Levi gli dà l’ispirazione per il romanzo La città di Miriam, in cui rompe per la prima volta con la tematica dell’esilio.

Fulvio Tomizza ha vinto un numero considerevole di premi durante la sua carriera di scrittore. Nel 1965 ha ricevuto il Premio Selezione Campiello per il primo romanzo della tetralogia, La quinta stagione. Il secondo romanzo dello stesso ciclo, L’albero dei sogni ha ottenuto il Premio Viareggio nel 1969. Il terzo romanzo della tetralogia La città di Miriam, pubblicato nel 1972, è stato premiato con il Premio Fiera letteraria. E l’alto valutato Premio Strega gli è stato assegnato per La miglior vita nel 1977. Il 1979 fu un altro anno di successo per l’autore, perché per la traduzione tedesca de La miglior vita gli venne assegnato il Premio dello Stato austriaco per la letteratura, un onore che prima era stato concesso a Václav Havel, Eugène Ionesco, Italo Calvino, Simone de Beauvoir e Friedrich Dürrenmatt e dopo il 1979 a Giorgo Manganelli e Milan Kundera, per menzionare i più importanti. Con il suo romanzo del 1986 Gli

(15)

15

sposi di via Rossetti Tomizza vince per la seconda volta il Premio Selezione Campiello. Infine,

nella riunione del Pen Club Internazionale a Lugano nel 1987 sul tema “La letteratura di frontiera”, a Tomizza furono assegnati il Premio Vilenica della Associazione di Scrittori Sloveni e il Premio Ascona della Svizzera italiana.

2.3 La Trilogia istriana

Cominciando la stesura del suo primo romanzo, Fulvio Tomizza probabilmente non aveva l’idea di scrivere una trilogia. Dopo il successo dei primi due romanzi l’editore Arnoldo Mondadori nel 1967 decise di combinare i due primi romanzi con il terzo, più breve, e di offrire al pubblico in questo modo una sinossi più o meno completa delle sofferenze di quelli che avevano dovuto lasciare le aree che prima della guerra erano state italiane. Fino ad oggi quella fu l’unica volta che i tre romanzi furono editi in un unico volume.

I paesi Materada e Petrovia sono situati in Croazia, vicino al confine con la Slovenia. Nella penisola istriana, dove il piccolo paese di Materada si trova sulla costa tra Buje e Umago, si distinguono tre paesaggi: l’Istria bianca al Nord-Est, chiamata così a causa del terreno calcareo, l’Istria gialla con il suo terreno di rocce argillose che si estende da Trieste fino a Quarnaro, e l’Istria rossa situata all’Ovest, dove la terra è colorata da sedimenti ferrosi. Il romanzo Il bosco di

acacie si svolge nella campagna costiera di Grado, dal cui litorale si vede la costa dell’Istria

perduta, dove sono situati Pirano (Piran) e Capodistria (Koper).

(16)

16

3 Materada

3.1 Trama e contesto storico

La fine della seconda guerra mondiale comportava delle conseguenze drammatiche per gli italiani in Istria e nelle città della costa di Dalmazia. Già durante l’occupazione tedesca i partigiani di Tito avevano preso il controllo di grandi parti della penisola esercitandovi un regime di terrore. Così gli jugoslavi erano riusciti a stabilire il loro potere in quasi tutto il territorio che dopo il crollo dell’Impero asburgico era appartenuto all’Italia, tranne nella città di Trieste e dintorni.

Il romanzo si svolge in un paese nella zona B, cioè nella campagna di Trieste che dopo le trattative a Parigi del 1948 era stata assegnata all’amministrazione jugoslava come soluzione transitoria. Nell’estate del 1955 le trattative sul futuro di Trieste e dintorni erano state concluse nell’autunno dell’anno precedente con il Memorandum di Londra. Le trattative si trascinavano per anni, tra i vincitori della seconda guerra mondiale, gli alleati occidentali degli Stati Uniti, Inghilterra e Francia e quelli orientali dell’Unione Sovietica e la Jugoslavia, e la perdente Italia che già era stata costretta a concedere Istria e Dalmazia alla nuova repubblica di Tito.

Nel primo capitolo lo scrittore ci dà un’idea di come gli abitanti della zona B, prima della conclusione del Memorandum di Londra, vivevano tra paura e speranza:

In verità erano tempi molto confusi, e la questione di Trieste quanto mai intricata: De Gasperi domandava tutta l’Istria fino al Quieto, i druži avevano appena cominciato a costruire, altro che lasciare la zona B!20

Il termine “druži” era usato dagli italiani in Istria per indicare in senso denigratorio gli slavi. Infatti, l’uso di parole della lingua dell’altro lato del confine è una delle caratteristiche della letteratura di frontiera. In questo romanzo se ne trovano parecchi esempi. Alcide De Gasperi era allora il primo ministro che difendeva gli interessi dell’Italia durante le negoziazioni a Londra e aveva combattuto per l’Istria e i suoi abitanti italiani.

L’ictus che colpisce lo zio del protagonista Franz (o Francesco) gli dà l’occasione di scoprire un documento che dovrebbe rappresentare il testamento del settantenne e in cui legge che lo zio lascia tutti i terreni della famiglia a suo figlio, un buono a nulla che abita in città e non

(17)

17

ha mai mostrato alcun interesse per il lavoro sui campi. Il defunto padre del protagonista aveva sempre condiviso tutto con suo fratello, ma non aveva messo niente su carta.

Il medico avvertito diagnostica che lo zio si rimetterà presto e così in effetti succede. Quando il protagonista si è recato all’osteria a parlare con i suoi compaesani della salute di suo zio, leggiamo il seguente brano sulla situazione politica del momento:

Veramente da noi qualcosa era cambiato in quegli ultimi tempi. L’intricata questione di Trieste, bene or male, era stata ormai risolta. Pochi mesi prima, nel novembre del ’54, i ministri avevano firmato il Memorandum di Londra, secondo il quale Trieste ritornava all’Italia, la zona B passava definitivamente alla Jugoslavia. La gente, alla quale non accomodava di restare, poteva prendersi le sue poche robe e andarsene in Italia: si poteva optare liberamente.21

Già negli anni precedenti sotto l’amministrazione comunista, gli italiani nella zona B vivevano nella paura di essere denunciati come nemici della rivoluzione. Durante le occupazioni precedenti i partigiani di Tito avevano usato molte crudeltà contro gli italiani e una denuncia, ad esempio da parte di un vicino, era sufficiente per essere condannato, torturato o anche ucciso.

Il protagonista e suo fratello vanno a una festa all’osteria di Gelmo. L’organizzazione delle feste era cambiata sotto il nuovo regime:

Concedere il ballo a tutta questa gioventù, pensavo, per le nuove autorità jugoslave era diventato un affar serio. Per un verso c’erano gli incassi, a Giurizzani sempre assai forti, per l’altro verso non si voleva più riconoscere le vecchie sagre di una volta, come le fiere di agosto e le altre feste della chiesa, giorni che di sicuro ci sarebbe stato doppio incasso. Allora gli Affari Interni di Buje concedevano il permesso solo le domeniche e per le nuove feste, come il Primo Maggio e il compleanno di Tito. E non lo concedevano per Pasqua e nei giorni di fiera; e la gioventù andava spersa per il paese e finiva da Gelmo a ubriacarsi, e le ragazze erano già a letto prima che suonasse l’avemaria.22

Entrato nell’osteria, il protagonista s’imbatte in un certo Milio con “il suo piccolo viso di uomo falso”, che era diventato il segretario locale del partito comunista e Franz si ricorda tutte le carognate che Milio aveva fatto e che lo avevano messo in grado di salire a quella posizione:

Quando le cose si mettevano male era capace di farsi avanti e dar loro ragione: e pensai [Franz] che, diventato quello che era, cioè segretario del partito e referente segreto e insomma la persona più fidata che loro [i comunisti] avevano a Materada, non aveva far di meglio che spingere Gioachin a denunciare Nando

21 Ivi, p. 33.

(18)

18

al tribunale di Buje, fargli buscare due anni di galera e la confisca dei beni, continuando però a salutare la moglie e i figli come se nulla fosse accaduto.23

Seguendo il consiglio di un conoscente, il protagonista si reca al tribunale di Buje sperando di trovare un supporto legale nel richiedere i suoi diritti sui terreni della famiglia. Al suo arrivo in tribunale c’è già una folla che aspetta l’arrivo dei magistrati:

Era quasi tutta gente che possedeva una facoltà o la aveva perduta, e per riaverla, taluni erano in causa con la cooperativa, altri con parenti o familiari che improvvisamente si erano voltati dall’altra parte. “Gente che soltanto sa correre per i tribunali”, dicevano alle conferenze quando parlavano della reazione “mentre i nostri lavoratori non hanno affatto bisogno di tribunali, perché la giustizia è dalla loro e loro sono la giustizia.”24

La libertà di espressione era stata ristretta con l’arrivo del nuovo regime, e a seconda della situazione si doveva essere prudenti:

Proprio davanti la sala dove era stata giudicata tanta gente solo per aver fiatato (Nando per aver detto che quando sarebbe venuta l’Italia lui avrebbe tagliato la testa ai comitati”) si parlava quel giorno con la massima libertà. Questo finché vennero gli impiegati.25

Il tentativo del protagonista di ottenere i suoi diritti tramite il tribunale fallisce e qualche giorno dopo egli parla con il segretario del partito che gli dice che potrebbe aiutarlo. Dopo un paio di giorni è invitato a una riunione e, dopo esserci arrivato, si realizza di trovarsi in un tribunale del popolo. Il segretario apre l’assemblea con un discorso in cui afferma che Franz è sempre stato dal lato giusto, ma che chiaramente è stato usato come uno schiavo. E aggiunge che Franz, a suo svantaggio, non si è mai espresso esplicitamente a favore della giusta causa. Il segretario finisce dicendo che l’Italia ha sempre soppresso la gente e continua a farlo ancora.

Dopo questo discorso del segretario a Franz viene presentato un documento con nove accuse contro suo zio. Franz si realizza subito che firmare il documento significherebbe la fine di suo zio, per cui rifiuta di firmare. Il pubblico gride: “Basta con gli sfruttatori del popolo! A morte la reazione”, dopodiché il segretario dice:

23 Ivi, p. 55.

24 Ivi, p. 66. 25 Ivi, p. 67.

(19)

19

Abbiamo studiato e discusso a lungo. C’è un solo caso, un’unica via di uscita. E tu devi aiutarci e, nello stesso tempo, aiutare te stesso. Tuo zio non vuole saperne di darti la terra. Non te la darà mai. E noi non possiamo togliergliela, perché le sue carte sono in regola, anche se tutto – lo sappiamo fin troppo bene – è stato fatto per mezzo dell’imbroglio. E adesso Franz, tu dovrai dimostrare questi imbrogli, dire pubblicamente tutta la verità: come tuo zio si è impossessato dell’eredità di tuo padre, come invano vi prometteva questo e quello e intanto tirava avanti e incassava tutto lui. Gli facevano gola i soldi per mandarli con una barca, o non so come, a Trieste.26

Nella seconda parte del romanzo lo scrittore mette in rilievo gli aspetti del nuovo regime che hanno spinto il protagonista e la maggioranza degli italofoni a lasciare la zona B. Negli esempi precedenti abbiamo già visto il potere limitato del sistema giudiziario e la minaccia all’integrità corporale di tutti quelli che erano considerati nemici del nuovo regime. In vari passaggi del romanzo lo scrittore esprime la sua diffidenza nei confronti del sistema del collettivo, il “kolchoz” (o la “skupčina” in croato). Un esempio ne è quando un certo Rozzan racconta com’è entrato nel collettivo e poi come stanno le cose in quel momento:

Ma un po’ alla volta siamo tornati ai tempi che c’era Ferluga a comandare sulle mie campagne e veniva a pesare l’uva, a calcolarmi la più piccola entrata. Peggio ancora. Prima almeno quel poco potevo dire che era mio, ma adesso, nella skupčina… [...] E ho messo dentro in quella skupčina, quindici ettari di terra, quattro manzi; ho dato la cantina, la casa, dove ognuno va e viene a piacimento. […]

La mia casa è diventata luogo di comunella. Qualunque foresto che viene a dar ordini, a parlarci, a contarcela, dove mangiare e dormire? Da Rozzan. Lì è posto per tutti. E alle spese chi ha mai pensato? Io lavoro e sgobbo come sempre, più di sempre.27

Da quanto si è visto risulta chiaramente che in Materada la storia e la situazione dell’epoca hanno un peso significativo sulla trama.

3.2 Plurilinguismo

Nel romanzo c’è un frequente uso di parole in croato, lingua del resto di cui l’autore bilingue aveva una perfetta padronanza. Il carattere multilingue della regione si rispecchia anche nel protagonista, che a volte è chiamato “Francesco” ma più spesso “Franz”: una traccia del regime austriaco che aveva governato l’Istria per due secoli, fino alla fine della prima guerra mondiale.

26 Ivi, p. 99.

(20)

20

I nomi topografici nel romanzo sono normalmente dati in italiano, come dettato dal regime fascista, con una sola eccezione: la località del controllo di confine, “Skofije”, è scritta in sloveno, mentre in italiano il nome è “Scoffie”. Là si trova ancora oggi la frontiera fra l’Italia e la Slovenia, il cui lato italiano si chiama “Rabuiese”.

Le espressioni slave (normalmente croate) diventano abbastanza numerose quando il protagonista si reca all’osteria “Da Gelmo” per raccontare cosa è successo a suo zio e quando la conversazione si sposta poi sulla situazione politica nella zona B:

Da Gelmo era il solito baccano. Sabadin giaceva steso sulla panca all’aperto e qualche ragazzo ignorante lo stuzzicava, gli dava ancora da bere, gli diceva che sua moglie lo tradiva con uno di Carsette, poi no, con Ciano il presidente della skupčina. Altri ragazzi portavano a riparo le loro biciclette […]. Dentro si beveva, si cantava, si giocava a carte e c’era un gran fumo. Gelmo correva da un tavolo all’altro, si dava gran da fare.

«Molim ljepo, drugui, izvolite!» (Prego tanto, compagni, favorite!)

Aveva imparato queste parole di croato e le usava con ogni persona foresta che era di passaggio a bersi il quarto […]. Ad ogni modo tutti lo avevano per uomo assai pauroso ma furbo come la volpe e di fine politica. E proprio grazie alla sua fine politica e a quelle parole in croato e all’essere sempre servizievole con tutti, aveva insieme a pochi altri, conservato l’intera proprietà senza fare un giorno di galera o subire lunghi interrogatori agli Affari Interne di Buje […].

Io gli diedi un’occhiata, ma senza nessuna intenzione (anche se lo slavo che ora parlava lui era una cosa e quello che parlavamo noi in famiglia era un’altra), ed egli cambiò discorso: «Allora, Franz mio, come va?» disse in italiano.28

Nel libro le parole in croato, come tutte le espressioni slave, sono messe in corsivo. Lo scrittore normalmente chiarisce il significato con una traduzione in italiano nel testo nei casi in cui si tratta di un’espressione, mentre per le singole parole usa una nota a piè di pagina, come nel caso della parola skupčina, di cui lo scrittore dà non solo una traduzione ma anche il significato, cioè “collettivo”. Nel romanzo ci sono sette parole croate tradotte in nota e tre espressioni spiegate nel testo. L’autore dà anche una spiegazione di termini italiani tipici della regione.

Del dialetto italiano della regione si trova nel romanzo un solo esempio. Quando Franz visita il vecchio barba Nin per un consiglio se sia meglio restare o partire, l’uomo anziano non gli dà una risposta diretta, ma vaga nei suoi ricordi di tempi migliori e in un certo momento comincia a cantare. Il discorso è un raro esempio del dialetto locale:

E si mise a canterellare “ no la me vol più ben” e poi aggiunse: «Però anche tu sei troppo vecchio, anche se hai solo la metà dei miei anni. Anche tu dovresti nascere adesso».

28 Ivi, pp. 30-31.

(21)

21

“La prego Dio che crepo e inveze stago ben.” Lo lasciai ridere e ancora filosofare.29

3.3

Terra e paesaggio

I romanzi regionali, e in genere anche quelli di frontiera, abbondano in descrizioni del paesaggio e del lavoro sui campi. Anche nella Trilogia ci sono ampie descrizioni del paesaggio, che nella letteratura di frontiera rappresentano la nostalgia della terra perduta. Un riferimento implicito a questa caratteristica si trova nel volume citato di Carmelo Aliberti, il quale paragona le opere di Tomizza con i romanzi di Ignazio Silone.30

In Materada questo aspetto si trova soprattutto nella parte centrale del romanzo. Nei capitoli 3, 4 e 5 lo scrittore dà una descrizione della vita a Materada e dei paesi nei dintorni. Nei capitoli 15 e 16 possiamo vedere cosa è rimasto della vita e delle tradizioni prima dell’occupazione jugoslava, dopo che la maggioranza degli italofoni è partita e anche Franz, suo fratello e le loro famiglie hanno deciso di partire. Nel breve capitolo 7 ci è data un’idea del lavoro sui campi. Negli altri capitoli l’accento è posto sul conflitto tra i fratelli e il loro zio. Negli ultimi capitoli la religione, un’altra caratteristica della letteratura regionale, prende un posto dominante.

Ci sono molti passaggi in cui lo scrittore esalta le buone qualità della terra, cosa che spiega perché gli abitanti e lo scrittore stesso sono tanto attaccati alla loro terra nativa. Questo è anche la ragione perché i fratelli Coslovich combattono per il diritto sull’eredità dei terreni che lavorano ogni giorno. Come quasi tutti gli abitanti di Materada, i fratelli lavoravano sui campi a cui si sentono attaccati:

Avevamo piantato i pomodori, le zucche, le bietole, i meloni. La terra ora si svegliava, oltre le graie che accompagnano ai due lati le nostre strade, e dava profumi di figlie e di erbe.

Da noi non ci sono grandi tenute in unico posto; i contadini hanno un campo qua e un altro là, cinto da siepi e da piante, che raramente misura più di un ettaro o al massimo due. E passando tra quegli appezzamenti tenuti a viti, a frumento, a granoturco o a foraggio fra le macchie di ulivi – per diritto e per traverso – mi veniva ora di ricordare le facce di tutti coloro, vivi e morti, che qua e là s’incontravano con la falce, l’aratro, o la botte nei giorni di vendemmia, anche nei lontani tempi prima della guerra, quando qui c’era miseria ma ognuno era sicuro di poter morire nel proprio letto.31

29 Ivi, p. 124.

30 Aliberto, Carmelo. Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima, cit., pp. 127-131. 31 Tomizza, Fulvio. Materada, cit., pp. 27-28.

(22)

22

Questo brano dimostra come la terra dominava i sentimenti e i ragionamenti degli abitanti di Materada e come si sentivano sradicati dovendo fuggire e lasciare la loro terra nativa. Questa infatti rappresenta simbolicamente la pena dell’addio alla fine del romanzo e la nostalgia che vedremo negli ultimi due romanzi della Trilogia.

La parola “terra” si trova dappertutto nel testo, ma soprattutto nella prima parte del romanzo, come risulta dal seguente diagramma:

Sull’asse orizzontale sono indicati i numeri di pagina del romanzo. Nei primi capitoli al lettore è presentata una descrizione della situazione a Materada e del conflitto dei fratelli Coslovich con il loro zio. La seconda parte tratta soprattutto le azioni del protagonista per ottenere i diritti sui terreni che lavora ogni giorno con suo fratello, e il loro lavoro, a cui si aggiungono descrizioni della coltivazione dei campi. Nella parte finale viene presa la decisione di partire e predominano i ricordi nostalgici dei tempi prima dell’invasione dei titini.

3.4 La frontiera

Il romanzo si svolge interamente a Materada e nelle località vicine. La frontiera stessa viene menzionata soltanto due volte; la prima volta quando il protagonista, nel locale a cui è andato

0 2 4 6 8 10 12 14 16

(23)

23

con suo fratello dopo l’ictus dello zio, sente un avventore, il vecchio Sitar, fare questa domanda a un altro, chiamato Marco:

Credi che tutti questi resteranno ora che il blocco a Skofije lo chiuderanno per sempre? Ti pare che staranno qui ad aspettare le prossime elezioni, le nuove botte, con i diritti che avranno di là per quelle che hanno già prese?32

Il posto di frontiera è menzionato una seconda volta poco più tardi nello stesso locale, dopo un breve colloquio con un conoscente dal nome Milio, a cui Franz aveva chiesto del suo amore di gioventù:

E io già aspettavo la riposta di Milio. Ma lui si sentiva già con una gamba oltre il blocco di Skofije, in terra italiana, e non gli volle dar bada.33

3.5 L’esilio

Il romanzo ci fa vedere anche come i protagonisti arrivano alla conclusione che lasciare la terra nativa sia il minore dei mali tra cui scegliere nella loro situazione. Dal momento che era diventato chiaro che Franz e suo fratello non potevano pretendere diritti sui campi da loro coltivati e che nel sistema comunista sarebbero continuate le persecuzioni sia nell’Istria che nelle altre regioni conquistate dai titini nel 1943 e nel 1945, come pure che dopo la conclusione del Memorandum di Londra quasi tutti gli italofoni della zona B erano già partiti o si stavano preparando alla fuga, anche Franz deve prendere una decisione sul futuro di lui, di suo fratello e delle loro famiglie.

Le prime partenze avevano scioccato la comunità locale che spingeva molti alla fuga. Ma Franz e suo fratello sono ancora in dubbio:

Mio fratello a questo punto mi fermò. «Alto là» disse; «e noi cosa facciamo?»

E la sua domanda mi piombò addosso come un getto di grandine; tanto più che tutti gli altri in cucina alzarono lo sguardo su di me e mi interrogavano.

Io stetti zitto, scrollai le spalle, e ripresi a giocare con mia figlia che tenevo sulle ginocchia. Ma loro ne approfittarono, e mia moglie disse: «Tutti sono ormai decisi, e tu te ne stai lì con le mani in mano.

32 Ivi, p. 40.

(24)

24

Che cosa hai guadagnato in tutto questo tempo? Ti hanno forse dato la terra? O vuoi forse continuare a servire quel vecchio?».

E mia cognata non la lasciò finire, e incalzò: «Dicono che quelli che arrivano prima sono i più favoriti. Chi tardi arriva male alloggia, si dice».

E mio figlio, senza guardarmi: «Parte la migliore gioventù. Quelli che restano sono tutti sposati». E mio fratello: «Io la terra non la lascio. Ma aspettare di qua o di là non fa lo stesso?»

Scrollai di nuovo le spalle. «Mah» dissi. «Deciderete voi. Per me fa lo stesso. Fate come vi pare. Io me ne vado a Giurizzani.»34

Con quest’ultima frase Franz voleva dire che andrebbe al paese vicino per un consiglio del vecchio barba Nin che aveva visto tutti i cambiamenti di regime nel mezzo secolo passato. Ma prima che il protagonista possa fare la sua domanda, il vecchio gli dice di essere troppo vecchio e di essere nato nell’epoca sbagliata, dopodiché si perde in memorie di eventi storici sotto il dominio di regimi violenti del passato, a cui aveva saputo sopravvivere. Finalmente proferisce il suo consiglio:

E allora divenne serio e disse, per contentarmi: «Parti, Francesco. Tra i due mali scegli il minore. Fa anche tu come gli altri. Non tutti la indovinano a partire, a scegliere il loro male minore. Ci sono molti che hanno ragione, altri che approfittano della situazione. È naturale. Ma tu sei dei primi.»35

Il giorno seguente Franz si reca al comune per ottenere il permesso di partenza.

Carmelo Aliberti paragona i romanzi della Trilogia istriana con le opere di due altri scrittori di romanzi regionali, cioè Giovanni Verga con il suo Ciclo dei vinti e Ignazio Silone, l‘autore di, tra l’altro, Fontamara.36

Come nei romanzi di Verga, anche in Materada i personaggi sono vittime di una sorte che, per così dire, schiaccia i semplici abitanti di una regione lontana dal centro di potere. Anche nel romanzo di Tomizza il narratore osserva le cose da una certa distanza. Una grande differenza con il romanzo di Silone è che lo scrittore abruzzese vede una via d’uscita verso un futuro migliore per i contadini di Fontamara, mentre nel romanzo di Tomizza gli istriani sono condannati a vivere con il trauma della perdita delle loro radici per il resto della loro vita.

34 Ivi, p. 120.

35 Ivi, p. 125.

(25)

25

4 La ragazza di Petrovia

4.1 Trama e contesto storico

In questo romanzo lo scrittore fa vedere come i profughi arrivavano al Campo di raccolta e come le famiglie furono alloggiate in uno spazio molto ristretto; racconta anche come le autorità cercavano di provvedere ai bisogni più urgenti delle persone che avevano dovuto lasciare tutti loro possessi. La situazione storica è trattata soprattutto nella prima parte, in cui si parla dell’arrivo dei profughi nel Campo e della baracca a loro consegnata. Viene tracciato un quadro della vita nel Campo e dello spazio ristretto nelle baracche in cui non si poteva avere nessuna privacy. Alla fine delle vicende del protagonista maschile otteniamo anche un’immagine dell’attitudine della popolazione locale italiana nelle regioni in cui i profughi venivano sistemati. Benché non ci sia un riferimento diretto ai fatti storici, si potrebbe dedurre dalle vicissitudini dei protagonisti che le peripezie si svolgono nell’autunno del 1955 e quelle dell’ultima parte nei giorni prima di Natale.

Nella prima parte l’autore descrive l’arrivo dei profughi dalla zona B, le loro prime ore nella baracca e i tentativi di adattarsi alla vita nel Campo Profughi. Leggiamo come i membri della famiglia del protagonista Valdo Stepancich reagiscono alla loro nuova situazione e come ricevono consigli da quelli arrivati prima di loro. La seconda parte descrive la partenza della protagonista Giustina che sta sotto la pioggia e pensa alla sua solitudine. Tutte le sue amiche sono già partite e alcune si sono procurate un futuro tramite un matrimonio. Questa parte finisce con una visita alla sua compaesana Teresa.

Nella terza parte del romanzo le vicende di Valdo Stepancich e Giustina si alternano e si svolgono parzialmente a Trieste e parzialmente nel Campo Profughi. Valdo prova a trovare muratori per la costruzione di una scuola per bambini sloveni a poca distanza dal Campo. Nel Campo ci sono dei possibili collaboratori perché un certo numero di profughi ha seguito un corso per muratore. Nel frattempo Giustina è arrivata nel Campo, in uno stato mentale disturbato. Nel Campo trova alloggio nella baracca in cui vive la famiglia del suo ragazzo. Giustina scambia alcune parole con lui, ma non riesce a portare il discorso sulla sua condizione fisica.

Valdo trova un numero sufficiente di manovali e insieme riescono a costruire in poche ore un muro. Il giorno dopo Stepancich va in città a fare le spese per le feste e quando torna a casa con una borsa ben riempita, rimane coinvolto in un tafferuglio a causa di uno sfratto da una

(26)

26

casa che sarà demolita per la costruzione di un edificio moderno. Il protagonista è riconosciuto come un profugo del Campo, e mentre tenta di liberarsi dal tumulto perde la sua borsa. Sulla strada al Campo passa davanti al luogo dove si costruisce la scuola e vede che i suoi compagni stanno combattendo con un gruppo di uomini vestiti da festa. Questi risultano i più forti e parecchi profughi sono feriti a sangue. Dalle grida degli attaccanti appare che c’era uno sciopero e che la costruzione era considerata un lavoro illegittimo.

Quando Giustina si alza, Stefania le dice che il suo permesso intanto è scaduto e che deve andare dai carabinieri. Le donne sentono il rumore della lotta alla scuola e corrono a vedere che cosa succede. Giustina ha l’illusione che gli uomini combattino per lei; si allontana dal tafferuglio e entra in un paese vicino al Campo. La strada assomiglia a quella di Petrovia e Giustina si immagina che la strada sia stata liberata fino ad Umago.

4.2 Plurilinguismo

Nella prima parte del romanzo tutti i dialoghi sono in italiano standard. Dall’inizio della seconda parte la ragazza pensa alla situazione nel paese e alle vicende che hanno portato alla condizione in cui si trova; pensa anche al momento con il suo ragazzo in cima alla collina fuori del paese e alla sua discesa da sola. Mentre sia le descrizioni dell’ambiente, sia le riflessioni della protagonista siano scritte in italiano, c’è un esempio della lingua regionale dei paesani quando lei ritorna a casa dopo la sua avventura:

E quando lo sentì allontanarsi e di fatto scendere la collina, immaginò che lui si stava chiedendo per tutto il tempo, fina al “laco” e alle prime case del paese, se veramente era valsa la pena di salirla.37

La parola “laco” può essere, stando a quanto riportato nel Treccani, un’espressione locale per un piccolo stagno poco fuori dell’abitazione, ma più probabile è la pronuncia settentrionale della parola dialettale “ lacco”, derivata dal greco λακκος che significa “cavità, fossa”.38

Dopo la descrizione dei suoi pensieri sugli eventi recenti, vediamo la protagonista vagare per il paese e finire nella casa di Teresa. Questa le chiede dei suoi piani e durante la

37 Tomizza, Fulvio. La ragazza di Petrovia , in Trilogia Istriana, cit., p. 223.

38 Cfr. anche p. 231: “del fatto che ha trascurato le bestie sole, per la strada possono prendersi a cornate, ferire un

(27)

27

conversazione delle due donne, Giustina pensa ai suoi giorni di lavoro in cui vedeva come i pescatori scaricavano le cassette con le sardine appena catturate per farle inscatolare:

“Freschetto, signurine?” canterellano questi passando le casse.39

Dopo la visita segue un altro flusso di pensieri di Giustina, con cui si conclude la seconda parte del romanzo.40

Nella terza parte Giustina, appena arrivata a Trieste, si ricorda una delle guardie della frontiera come “milizionèr”41

e un po’ prima pensa alla “zadruga”42 (cooperazione). All’inizio di questa parte il protagonista pensa al suo passato in Istria. Si ricorda come in paese fumava le sue “prime sigarette jugoslave, le ‘ibar’ e poi le ‘kozara’”,43

e come il suo compagno, il “piccolo Màrjan”, le “sussurrava rauco agitando le mani, come per suggellare il fine primo e ultimo di questi [...] ritrovi notturni Jedinstvo, brate, jedinstvo (Uguaglianza, fratello, uguaglianza)”.44 Valdo Stepancich ripete l’espressione croata quando cerca di convincere un amico a collaborare alla costruzione della scuola,45 facendo riferimento allo stesso Màrjan che vive nella baracca accanto. Il giorno dopo usa l’espressione un’altra volta, quando gli uomini festeggiano il completamento della costruzione di un muro della scuola per bambini sloveni.46

Un ultimo esempio del plurilinguismo nel romanzo si trova quando Giustina esce dal paese e, avvicinandosi al confine dello Stato, sente la voce della guardia di frontiera che grida “stòj, stòj”47

. Alla ragazza torna in mente la voce del suo capo reparto della fabbrica a Umago.

39Tomizza, Fulvio. La ragazza di Petrovia, cit., p. 245. 40 Ivi, pp. 239-251. 41 Ivi, p. 267. 42 Ivi, p. 270. 43 Ivi, p. 262. 44 Ivi, p. 262. 45 Ivi, p. 301. 46 Ivi, p. 343.

(28)

28

4.3 Terra e paesaggio

Ai profughi nel Campo restano soltanto le memorie del paesaggio di origine. Nella prima parte sono illustrative le osservazioni del vecchio padre che nei suoi pensieri si trova ancora nel paese recentemente lasciato:

Era proprio il sole ad informarlo [il vecchio padre] puntualmente sulle diverse ore della giornata e indicare a lui, che da cinque anni non si muoveva dalla sedia di vimini, l’esatto giro delle stagioni e i capricci (cui giocoforza anche lui doveva sottostare) di lei , sua moglie luna. Scosse il capo per chiederci: «I manzi sono già tornati dal pascolo? Le pecore chi le sorveglia?».

Rispose mio figlio.

«I manzi li ho anche abbeverati, nonno. Con le pecore è rimasto Fido.»

Ricordai con un tuffo al cuore, ciò che io stesso avevo fatto di Fido quella mattina stessa. Trascinatolo nel bosco di roverelle dietro la casa, lo avevo spinto nella fossa scavata di fresco e, mentre mi guardava meravigliato di quelle insolite maniere, serrati gli occhi, gli avevo menato sul cranio un colpo di zappa e in fretta lo avevo ricoperto di terra e poi avevo sepolto anche la zappa che non mi sarebbe più servita, graffiando la terra su di essa con le mani macchiate di sangue; e poi, a lavoro finito, avevo versato sul cespuglio di ginepri due lacrime […] e me ne ero tornato al camion già carico che mi aspettava davanti la casa.48

I profughi più giovani si sforzano ad adattarsi alla vita nel Campo. La terra abbandonata è presente nella seconda parte, quando Giustina si trova ancora in paese e prepara la sua visita al Campo. In questa parte lo scrittore ci riconduce a Petrovia, nella terra perduta della zona B. L’immagine tracciata del paese e dello stato d’animo della protagonista trasmette l’atmosfera di un addio senza speranza di ritorno:

Lei è ferma sotto la pioggia. […] Per il resto Petrovia non è che un corto budello di strada serpeggiante, lungo la quale da ambo i lati si raccolgono case, si ammucchiano orti, stalle, piante, concimaie.49

Le amiche di Giustina sono partite dopo aver trovato un compagno per la vita:

Rosalia era riuscita a fidanzarsi con Tini dopo aver avuto a che fare con Bruno; Anna si era fatta sposare da Bruno con il quale avevano a lungo parlato Rosalia e la stessa Dele; e tutti e quattro erano partiti felici e contenti lo stesso giorno, quasi divenuti una sola famiglia.50

E con ogni partenza di un compaesano, dopo aver detto addio, la protagonista deve ritornare a casa sua da sola:

48 Ivi, p. 186.

49 Ivi, p. 209. 50 Ivi, p. 216.

(29)

29

A ogni levata di fumo del camion lei si univa al coro lagrimoso della gente vestita da giorno di lavoro, ferma sulla strada a sventolare i fazzoletti, poi tornava a casa, e se le capitava di guardare in fondo a se stessa per provare a far ancora scorrere quelle lacrime, via via che attraverso gli orti e lungo le graie si avvicinava a casa, si sentiva dentro come stranamente aumentare; sentiva la sua vecchia casa che traspariva tra i grossi rami del mandorlo e il mandorlo stesso, il tiglio, il forno, i due gelsi fra i quali correva il fildiferro per asciugare il bucato, li sentiva come cose intimamente sue, divenute ancora più sue, che le davano una certa sicurezza della sua incolumità, se non proprio felicità, per i giorni futuri.51

Nella terza parte, quando il protagonista ritorna dalla città dopo averci fatto le spese per le feste, viene descritta l’atmosfera triste nella città:

La città sembrava svegliarsi solo allora, per cui avevo l’impressione di aver lavorato tutta la notte; e ciò mi consentiva di guardare la gente in faccia, di entrare nei negozi e chiedere senza mostrare prima il denaro, di rientrare infine in un bar e sedermi e lasciare alla signorina dieci lire di mancia, le ultime che mi erano rimaste.

Non aveva un aspetto allegro quel giorno la città. Eravamo ripiombati in quell’atmosfera grigia e opprimente, senza sole e senza bora, che rendeva più scuri in faccia i radi passanti e le strade più deserte, e il mare brutto e insidioso e senza navi, e le rotaie del trenomerci, lungo tutta la riva, piene sino all’orlo di immondizie ed erba secca.52

Sulla strada di ritorno Valdo si imbatte in una folla che protesta contro lo sfratto dalla casa che deve essere demolita per la costruzione di un palazzo moderno e diventa chiara l’opinione degli abitanti residenti sui profughi:

«Ecco che cosa si fa della povera gente» diceva una donna sul punto di piangere. «Da due giorni chiusi là dentro, senza acqua, senza luce, senza gas. Non hanno altri posti per costruire grattacieli?»53

Valdo prova a farsi strada libera, ma viene bloccato.

Feci per squagliarmela alla chetichella, ma m’imbattei in una muraglia di corpi che mi cingevano da tutto un lato. E come mi girai dall’altra parte, incontrai l’identico muro serrato, e una voce alle spalle gridò tanto vicina da farmi assordare. «Ma ce li hanno gli alloggi per chi vogliono loro. Per i profughi a esempio, che sono venuti a rubarci il pane di bocca!» 54

Nella confusione Valdo perde la borsa con le spese e riesce a fuggire sotto le grida della folla per finire nelle sommosse del combattimento fra i suoi compagni e gli operai in sciopero.

51 Ivi, pp. 216-217. 52 Ivi, p. 353. 53 Ivi, p. 354. 54 Ivi, pp. 355-356.

(30)

30

4.4 La frontiera

La prima parte del romanzo si svolge nel Campo Profughi fuori della città di Trieste. La seconda parte descrive le preparazioni della ragazza per i due giorni che le sono concesse per sistemare certe cose dall’altra parte della frontiera. Si tratta di un mero accenno, messo tra parentesi, nel momento in cui la ragazza si chiede preoccupata chi prenderà cura di suo padre durante la sua assenza:

(Tuttavia sa che dovrà lasciarlo domani stesso o al più tardi dopodomani, non ha ancora deciso, e andare a Trieste, oltre il confine; tornerà, regolato tutto, tornerà [...]).55

Prima di entrare nella casa della vicina Teresa, Giustina riassume per sé gli scopi del suo viaggio:

Andrò domani stesso; subito; e andrò anche dal cugino; lui mi aiuterà, mi benedirà; farò tutto; e voglio vedere anche lui e gli altri; domani stesso; non lo farò più.56

Alla fine della sua visita alla vicina, Giustina le confida la notizia della sua partenza:

«Teresa, domani io devo andare a Trieste» e guarda nel fuoco. «Ho capito. Ritorni in giornata?»

«No» e guarda in alto; le pare d’improvviso di trovarsi in una festa (primo Maggio, Festival della Gioventù, anniversario dell’Insurrezione) alla pineta di San Pellegrino, in riva al mare, pini pietre e mare, senza una casa, dove si balla dopo che sono finiti i discorsi e la tombola e il tiro a segno, e con lei Teresa vicino al banco dove si vendono le aranciate e il gelato.

«Non in giornata.»

«Uno, due giorni? Col lasciapassare hai tempo di restare due giorni.» «Speriamo che faccia in tempo in questi due giorni» dice.57

Nella terza parte la protagonista valica il confine dello Stato, ma l’evento è appena accennato e dopo essere arrivata all’autobus che le porterà al Campo si ricorda soltanto “L’ultimo milizionèr appoggiato alla sbarra dipinta a tre colori [che] aveva scherzato parlandole in croato”.58

Giustina non riesce però a sistemare le cose così presto come aveva pensato prima di partire dal paese. Dopo la visita a suo cugino va a dormire per una seconda notte nella baracca della famiglia del suo ragazzo con cui non ha potuto o voluto discutere la sua condizione fisica. E quando Giustina si sveglia la mattina, la madre del ragazzo le dice: «Giustina, t’è scaduto il

55 Ivi, p. 211. 56 Ivi, p. 237. 57 Ivi, p. 247. 58 Ivi, p. 267.

(31)

31

permesso! Non puoi più tornare!»59 e più tardi dice: “Andiamo dai carabinieri, se possono fare qualcosa loro!”60

Ma Giustina, non sapendo cosa fare, esce dalla baracca, si trova coinvolta nel combattimento tra i profughi e gli scioperanti e poi continua il suo cammino vedendo la frontiera come in un sogno:

Ma com’è giunta sulla cima del poggio e volgendosi impaurita alla visione del grande colle nudo e tagliato lungo tutta una striscia nel mezzo (la quale se continuasse a correre lungo i poggi più bassi le striscerebbe sotto i piedi come la luce di un faro) [...].61

Infine viene fermata dal custode del confine e così finisce la storia di Giustina:

Fu infatti un largo sole quello che la accecò improvvisamente dopo ch’ebbe udito la stessa intimazione a fermarsi – stój, stój – ripetuta due volte dietro a un lontano cespuglio quasi con la stessa voce gutturale del capo-reparto Branko, e che per lei suonò nell’aria assordata dalle cicale come un caldo invito a proseguire, espresso in una lingua non sua ma ora ancora più familiare della sua. E il sole si allargò smisuratamente fino a comprendere in sé tutta l’aria e coprire tutto il cielo, che si fece di colpo rosso come un geranio.62

59 Ivi, p. 357. 60 Ivi, p. 358. 61 Ivi, p. 367. 62 Ivi, p. 369.

Referenties

GERELATEERDE DOCUMENTEN

Seconda la Teoria della Pertinenza questi SD dovrebbero essere analizzati a seconda del loro contributo alla pertinenza delle informazioni, ma quei SD non contribuiscono né

Er is onderzoek gedaan naar op textiel gebaseerde bouwoplossingen en vervolgens zijn prototypes ontwikkeld die gebruikt kunnen worden door professionals in de bouwketen.. Het

Examples of such guidelines are the Guidelines for Social Impact Assessments for Mining Projects in Greenland (Bureau of Minerals and Petroleum, 2009), and the

L'acquisizione da parte dell 'Euro pa di artefatti del Medio Oriente islamico, ottenuti sia come bottino di guerra sia attraverso i commerci, cominciò molto prima del

Pochi sono gli egittologi, e gli studiosi in generale, che si sono interessati all'ar- cheologia delle oasi, a causa della loro distanza dal Ni- lo e della mancanza di strade

IV e Maria de’ Medici, Berger dimostra non solo come i protagonisti della corte di Francia si avvalgano dei comici dell’arte nelle celebrazioni del proprio regno, ma anche come

Les projets sélectionnés par les membres de SIA seront présentés aux comités scientifiques appropriés pour avis. Après avis, les membres de SIA valide ou non

Le Birre Speciali continuano ad essere sempre più di interesse per i consumatori più sensibili al consumo di qualità del prodotto e sviluppano un trend del +19,8%, mentre