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La letteratura come terapia Una ricerca al tema dell’Olocausto nella letteratura di Edith Bruck.

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La letteratura come terapia

Una ricerca al tema dell’Olocausto nella letteratura di Edith Bruck.

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Indice

1. Introduzione 3

2. Edith Bruck: vita e opere 6

3. Cornice teorica 8 3.1. Autobiografia 8 3.2. Trauma 11 3.3. Potere 13 3.4. Violenza 16 4. Chi ti ama così (1959) 20

4.1. Introduzione 20

4.2. Analisi 20

4.2.1. L’autobiografismo in Chi ti ama così 20 4.2.2. Il potere in Chi ti ama così 22

4.2.3. La violenza in Chi ti ama così 25

4.3. Conclusione 29

5. Lettera alla madre (1988) 30

5.1. Introduzione 30

5.2. Analisi 31

5.2.1. L’autobiografismo in Lettera alla madre 31

5.2.2. Il trauma in Lettera alla madre 33 5.2.3. La violenza in Lettera alla madre 36

5.3. Conclusione 39

6. Signora Auschwitz Il dono della parola (1999) 40

6.1. Introduzione 40

6.2. Analisi 40

6.2.1. L’autobiografismo in Signora Auschwitz Il dono della parola 40 6.2.2. Il trauma in Signora Auschwitz Il dono della parola 43 6.2.3. Il potere in Signora Auschwitz Il dono della parola 45 6.3. Conclusione 47

7. L’Attrice (1995) 48

7.1. La letteratura fittizia di Edith Bruck 48 7.2. L’autobiografismo in L’Attrice 49

7.3. Il trauma in L’Attrice 50 8. Conclusioni finali 52

Bibliografia 55

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1. Introduzione

Nella seconda metà del ventesimo secolo una nuova corrente sorse nella letteratura, cioè la letteratura testimonianza dell’Olocausto.Anche vari autori italiani hanno scritto sulle loro esperienze degli anni 1940-1945 nei lager o fuori, tra cui naturalmente Primo Levi, ma anche Elisa Springer, Lianna Millu e alcuni altri. Ma quelli che sono sopravvissuti alla guerra spariscono, muoiono di vecchiaia, o di suicidio come Primo Levi. Una scrittrice sopravvissuta ancora viva è Edith Bruck, d’origine ungherese e deportata nel 1944 all’età di dodici anni a Auschwitz. Siccome Edith Bruck è, diciamo, una scrittrice di prima

generazione1 dell’olocausto possiamo concludere che le sue opere danno una visione

attendibile della situazione nei campi di concentramento. Arrivata in Italia negli anni ’50 del secolo scorso, vive a Roma e scrive nella lingua italiana.

In questa tesi ci proponiamo di dedicare delle ricerche alla sua letteratura. Nel secondo capitolo di questa tesi daremo una visione più profonda della vita e l’opera di Edith Bruck per rendere una visione delle sue dimensioni e del suo contenuto. Nella sua letteratura le esperienze nei campi occupano sempre una posizione centrale, a volte è il tema

principale, a volte è solo una minuzia, comunque è sempre presente. Ma qual è il pensiero che c’è dietro? E con questa domanda arriviamo al nucleo della nostra ricerca: vogliamo fare un’analisi della sua letteratura per scoprire qual è stato l’impatto dell’olocausto sulla vita di Edith Bruck e specialmente come quest’impatto è stato rappresentato nella letteratura da questa scrittrice. Quindi la nostra domanda di ricerca recita così: Come viene

rappresentato l’impatto dell’Olocausto nella letteratura di Edith Bruck? Per rispondere a questa domanda abbiamo deciso di analizzare alcuni dei libri della scrittrice, basandoci su alcune teorie che secondo noi possono aiutare a dare una risposta alla nostra domanda di ricerca. Ora spiegheremo quali sono le teorie scelte e il perché della scelta.

In un’intervista che abbiamo fatto con la scrittrice, ha affermato che il suo primo libro Chi ti ama così (1959) è una vera autobiografia, perché dopo la seconda guerra mondiale aveva bisogno di scrivere tutto quello che aveva vissuto.2 In tanti studi

1 Il termine prima generazione, nella letteratura sull’olocausto, indica che le persone che appartengono a

questo gruppo sono state testimoni dell’olocausto. Ci sono anche persone che sono molto interessate nelle vicende della seconda guerra mondiale, tra cui si trovano anche scrittori, ma che non hanno vissuto questa guerra. Questo gruppo viene nominato la seconda generazione. Per un’ulteriore lettura su questi fenomeni riferiamo a: Weissman, Gary: Fantasies of witnessing: postwar efforts to experience the holocaust, Cornell University Press, Ithaca (NY), 2004.

2 Intervista: A colloquio con Edith Bruck, intervistata da Aline Wetzelaer e Ineke Minuscoli, l’otto giugno

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sull’autobiografismo il trauma viene accennato come motivo per scrivere sulla propria vita e l’autobiografia è un genere letterario molto adatto per inserire delle descrizioni di esperienze traumatiche. Quindi esiste un legame forte tra autobiografia e trauma.3 Per quello abbiamo deciso di basare le nostre analisi, tra l’altro, su questi due concetti di autobiografia e trauma. Nella cornice teorica daremo per prima una spiegazione del concetto dell’autobiografismo secondo la teoria di Philippe Lejeune (1975) sul ‘patto autobiografico’. Il fenomeno del bisogno di scrivere su esperienze traumatiche spesso ricorre nelle teorie di trauma e per quello abbiamo usato una selezione di alcune teorie sul trauma per analizzare l’opera letteraria di Edith Bruck. Nella cornice teorica spiegheremo i concetti di trauma personale secondo le teorie che Roger Luckhurst discute in The trauma question (2008), di trauma culturale con l’uso della teoria di Jeffrey C. Alexander (2004a) e daremo attenzione all’elaborazione del trauma basandosi sulle idee di Dominick LaCapra.

Per avere una chiara idea del trauma in questo caso specifico dell’Olocausto

abbiamo concluso che è importante sapere che cosa sta alla base del trauma della scrittrice. Chiaramente la base sono i ricordi dei campi di concentramento. Ma che cosa è successo lì che era così crudele? Le cause sostanziali del trauma possiamo trovare nell’oppressione durante l’Olocausto che si attuava tramite l’esercizio di potere e violenza. Visto le descrizioni che Edith Bruck ha dato nei suoi libri abbiamo deciso di applicare anche le teorie di questi due concetti. La teoria sul potere di Michel Foucault che egli descrive nella prima parte de L’histoire de la sexualité 1: La volonté de savoir (1976) e in cui mette l’accento sul corpo umano è ben applicabile alla letteratura di nostro interesse. Per

l’elaborazione del concetto di violenza abbiamo scelto di usare lo studio On Violence (1969) di Hannah Arendt. Abbiamo scelto questo studio perché Hannah Arendt discute sia il

motivo dell’esercizio di violenza che la maniera in cui ha luogo l’esercizio di violenza. Dopo l’elaborazione di questi quattro concetti nella cornice teorica, li applicheremo ai libri di Edith Bruck. Per non perdersi nell’ampiezza della sua opera abbiamo deciso di limitarci alle opere in prosa e di non prendere in considerazione le poesie e i film che la scrittrice ha fatto, perché non vogliamo che l’analisi diventi troppo ampia e complessa. Siccome l’opera letteraria della scrittrice è troppo grande per discutere tutti i suoi libri prosastici in questa tesi abbiamo selezionato quattro libri che secondo noi sono una buona rappresentazione dell’opera. Abbiamo scelto il primo libro dell’autrice Chi ti ama così (1959), poi Lettera alla madre (1988), Signora Auschwitz Il dono della parola (1999) e

3 Evidentemente quest’affermazione non sottintende che un autobiografia ha essenzialmente bisogno di un

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L’Attrice (1995). Non abbiamo applicato tutti i concetti su tutti i libri, semplicemente perché in alcuni casi non aveva senso applicare tutte le teorie.

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2. Edith Bruck: Vita e opere

Edith Bruck nacque nel 1932 in Ungheria da una famiglia di poveri ebrei. All’età di dodici anni, nel 1944, venne, insieme alla sua famiglia, deportata al campo di sterminio di

Auschwitz. Da quel momento viveva l’esperienza delle deportazioni a Auschwitz, Dachau, Christanstadt e Bergen Belsen. Dopo la liberazione scoprì che aveva perso i genitori e un fratello. Insieme alla sorella Eliz, con cui è stata insieme tutto il tempo nei lager, ritornò in Ungheria e raggiunse le sue due altre sorelle Margo e Leila e l’altro fratello Peter.

Dall’Ungheria emigrava in Cecoslovacchia e poi in Israele, il paese che sua madre era convinta che fosse la terra promessa. Ma Israele non portava niente altro che male a Edith e nel 1954 partì per l’Italia dove vive a Roma ancora oggi.4 In Italia si sentiva accolta con calore e era per lei il posto più felice dove era stata da tanto tempo.

Nella lingua italiana riuscì a riprendere a scrivere. Prima aveva cominciato a scrivere in ungherese ma durante i viaggi il suo libretto andò perso e non riusciva più a scrivere in questa lingua. Non essendo la sua lingua madre, l’italiano dà all’autrice una “copertertura” da cui si sente “protetta”. Scrivendo in lingua ungherese si sentirebbe nuda, affermava la scrittrice nell’intervista che abbiamo fatto a lei.5

Nel 1959 il primo libro di Edith Bruck uscì. Chi ti ama così è un’autobiografia non soltanto sulle esperienze durante l’olocausto, ma anche dei tempi prima e dopo di ciò. In Chi ti ama così la scrittrice descrive le esperienze che aveva cominciato a descrivere già prima in Ungherese. Con la lingua italiana poteva di nuovo esprimersi e così uscì finalmente il suo primo libro nel 1959. Avendo trovato una nuova lingua Edith Bruck continuava a scrivere in questa lingua e ancora oggi scrive, il suo ultimo libro Privato è uscito nel 2010.

Nei passati cinquant’anni Edith Bruck ha pubblicato vari romanzi e poesie e insieme al suo marito ha prodotto anche dei film. La narrativa che Edith Bruck ha pubblicato è parecchia. Il primo fu dunque Chi ti ama così (1959), poi ha pubblicato Andremo in città (1962), È Natale, vado a vedere (1962), Le sacre nozze (1969), Due stanze vuote (1974), Transit (1978), Mio splendido disastro (1979), Lettera alla madre (1988) con quale vinse il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice nel 1989, Nuda proprietà (1993), L'attrice (1995), Il silenzio degli amanti (1997), Signora Auschwitz Il dono della parola (1999),

4 University of Chicago library, Italian Women writers, Bruck, Edith (1932- ), Submitted by Margaret E.

Kern, The University of Chicago, 2002, http://www.lib.uchicago.edu/efts/IWW/BIOS/A0082.html (data di consultazione: 08-02-2011).

5 Intervista: A colloquio con Edith Bruck, intervistata da Aline Wetzelaer e Ineke Minuscoli, l’otto giugno 2011

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L'amore offeso (2002), Lettera da Francoforte (2004), Specchi (2005), Quanta stella c'è nel cielo (2009) con il quale vinse il Premio Viareggio nel 2009 e il Premio Città di

Bari-Costiera del Levante - Pinuccio Tatarella e ultimamente ha pubblicato Privato (2010) con quale ha vinto il Premio Europeo di Narrativa G. Ferri - D. H. Lawrence.6 Le poesie che ha pubblicato sono Il tatuaggio (1975), In difesa del padre (1980), Monologo (1990),

Itinerario: poesie scelte (1998). Insieme al marito Nelo Risi ha fatto anche delle

sceneggiature per alcuni film: Improvviso (1979), Un altare per la patria (1986) e Un altare per la madre (1987).7

Il filo conduttore in tutta l’opera di Edith Bruck è il tema della Shoah. Il suo primo libro è un’autobiografia, ma non lo sono tutte le sue opere. Dopo Chi ti ama così ha anche scritto romanzi autobiografici nei quali l’aspetto autobiografico è molto presente, ma anche romanzi nei quali è presente solo una venatura autobiografica. La testimonianza è molto importante per la scrittrice, si sente in obbligo verso la gente ebrea che non ha sopravissuto all’olocausto, questa gente ha il diritto di essere ricordata ed è di grande importanza cosa ha subito questa gente, per non farlo succedere mai più. La necessità di mantenere viva la memoria all’olocausto sta alla base dell’attività letteraria della scrittrice e per tanto tempo anche nel fare delle peregrinazioni nelle scuole per raccontare le sue esperienze.8

Altri temi su cui scrive, che sono strettamente legate all’Olocausto, sono la relazione con la madre e l’ebraismo. La perdita della madre nel campo di concentramento di

Auschwitz e la mancanza di lei per il resto della vita della scrittrice è ben visibile in Lettera alla madre e ritorna in altre forme in vari altri romanzi di Edith Bruck, ma anche nelle sue poesie. Poi il ricordo alla madre viene spesso accennato, il che indica il bisogno della

scrittrice di ricordare la madre. Anche la religione, che nella vita della madre aveva un ruolo molto importante, è un tema che ritorna in vari romanzi. La religione, che dalla madre ricevette più attenzione che la famiglia, ha per questa ragione anche un grande ruolo nella vita della scrittrice. Non come credente, ma come non-credente. La difficoltà con l’ebraismo e con il fatto che è stata condannata per il fatto di essere ebrea, sono cose che ha potuto esprimere tramite lo scrivere. Questi sono i temi principali nella letteratura dell’autrice che ritornano in forme creative e inventive.

6 Morelli, Elisabetta: Edith Bruck, il tatuaggio dell’anima,

http://www.isisscarafa.org/public/1/modules/Diner_Wrapper/html/shoah/edith.htm (data di consultazione: 08-02-2011).

7 Erspamer, Peter E.: Bruck Edith, 2002, http://www.novelguide.com/a/discover/rghl_01/rghl_01_00048.html

(data di consultazione: 08-02-2011).

8 Bruck, Edith, Cinanni, Maria Teresa: Il dovere della Testimonianza.

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3. Cornice teorica

In questo capitolo approfondiamo le teorie che useremo per la nostra ricerca. Cominciamo con una spiegazione del concetto di autobiografismo. Abbiamo scelto la teoria di Philippe Lejeune (1975) per questa spiegazione, poiché in base al suo ‘patto autobiografico’e il ‘patto romanzesco’ possiamo chiaramente indicare la differenza tra un’autobiografia e un romanzo autobiografico. Poi approfondiamo delle teorie sul trauma personale e il trauma culturale, dopodicché indichiamo in breve come la scrittura può funzionare come terapia al trauma. Per arrivare al nucleo del trauma abbiamo scelto di elaborare i concetti di potere e violenza, rispettivamente con le teorie di Michel Foucault (1976) e Hannah Arendt (1969). Abbiamo scelto questi due concetti perché sono ben rappresentati nella letteratura di Edith Bruck.

3.1. Autobiografia

Nel suo studio Le pacte autobiographique9 Philippe Lejeune presenta una teoria con la quale si può affermare se un testo sia un’autobiografia o meno. In questo discorso Lejeune dedica tanta attenzione alla complessità tra la persona e l’identità. In questa sede fissiamo l’attenzione sul patto autobiografico e il patto romanzesco che sono ambedue teorie utili per la nostra analisi dell’opera di Edith Bruck.

Ne Le pacte autobiographique Philippe Lejeune ha formulato una definizione del concetto di autobiografia che recita così:

Récit rétrospectif en prose qu’une personne réelle fait de sa propre existence, lorsqu’elle met l’accent sur sa vie individuelle, en particulier sur l’histoire de sa personnalité.’10

Da questa citazione possiamo dedurre che un’autobiografia deve occuparsi della vita personale dell’autore. Quindi l’identità dell’autore deve essere identica a quella del protagonista e del narratore, poiché se l’identità non è la stessa, la storia tratta di un’altra persona o di una persona fittizia. La definizione di autobiografia indica varie condizioni, divise in quattro categorie, alle quali un testo autobiografico deve essere conforme. Prima di

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tutto il genere del testo deve essere una narrazione o una narrativa in prosa. Poi il soggetto deve rappresentare la storia di una persona o una storia della vita personale. In più l’identità dell’autore deve essere simile all’identità del narratore. E da ultimo l’identità del narratore deve essere la stessa di quella del protagonista, mentre la narrazione deve essere retrospettiva. Queste condizioni però non devono essere presenti proporzionalmente nel testo, è anche consentito deviare da queste restrizioni, a patto che ogni condizione venga rappresentata.11 Per quanto riguarda le condizioni d’identità invece non esiste spazio a deroghe. Quindi le identità devono essere sempre identiche. Nel caso di dubbio sull’uguaglianza delle identità la

conclusione è negativa per quanto riguarda il genere del testo in quanto autobiografia.12 L’identità dell’autore, del narratore e del protagonista può essere indicata in vari modi; nella sezione iniziale il narratore può rivolgere la parola al lettore, comportandosi come se fosse l’autore, perciò il lettore non avrà nessun dubbio sul fatto che l’Io rinvia al nome dell’autore indicato sulla copertina del libro. Un’altra maniera per indicare l’identità convergente è che il narratore-protagonista può dare a se stesso un nome uguale a quello dell’autore sulla copertina del libro.13

L’autobiografia dunque, assume che l’identità dell’autore sia anche l’identità del narratore e quella del protagonista.14 Nel caso in cui un nome fittizio viene dato al protagonista non si parla più di un’autobiografia:

Dans le cas du nom fictif (c’est-à-dire différant de celui de l’auteur) donné à un personnage qui raconte sa vie, il arrive que le lecteur ait de raisons de penser que l’histoire vécue par le personnage est exactement celle de l’auteur: soit par recoupement avec d’autres textes, soit en se fondant sur des informations extérieures, soit même à la lecture du récit dont l’aspect de fiction sonne faux […] Aurait-on toutes les raisAurait-ons du mAurait-onde de penser que l’histoire est exactement la même, il n’en reste pas moins que le texte ainsi produit n’est pas une autobiografie: celle-ci suppose d’abord une identité assumée au niveau de l’enonciation, et tout a fait secondairement, une ressemblance produite au niveau de l’énoncé.15

Anche se abbiamo tante ragioni per assumere che una storia, in cui un nome fittizio è stato usato, sia un’autobiografia, in realtà non la è. Le ragioni che Philippe Lejeune indica, le quali possono far credere che un testo sia un’autobiografia, sono logiche, ma egli dà anche

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un’argomentazione che confuta queste ragioni. L’uso di un nome fittizio significa che due identità sono presenti, il che non è possibile in un’autobiografia. L’autore non riproduce la sua identità nel testo, ma crea un’altra identità che assomiglia molto a quella che ha assunto durante l’atto di scrivere. Quindi durante l’enunciazione lo scrittore assume un’identità, la quale funziona come base per creare un’identità che lo scrittore presenta nell’enunciato. Romanzi con questa forma possiamo collocarli nella categoria del romanzo autobiografico.

I romanzi autobiografici sono testi fittizi in cui il lettore può assumere che l’identità dell’autore e quella del protagonista siano la stessa mentre l’autore ha deciso di negare l’uguaglianza di quest’identità o almeno di non affermarla. Il romanzo autobiografico comprende le narrazioni personali, quindi quelle in cui il narratore e il protagonista hanno la stessa identità. E anche le narrazioni impersonali in cui la protagonista viene indicato con la terza persona possono essere considerate autobiografiche.

Al contrario dell’autobiografia, esistono nel romanzo autobiografico varie gradazioni per quanto riguarda l’uguaglianza dell’identità; la somiglianza supposta dal lettore può variare da una vaga caratteristica convergente tra protagonista e autore, fino a una trasparenza che lascia poco dubbio sull’identità condivisa.16

Prendendo in considerazione queste caratteristiche del romanzo autobiografico si può mostrare il ‘patto romanzesco’, che ha due aspetti: la pratica patente del non-identità, il che vuol dire che l’autore e il protagonista non portano lo stesso nome. E l’attestazione dell’essere fittizio che si può esprimere tramite il sottotitolo “romanzo” che compie questa funzione sulla copertina.17

Dopo questa breve spiegazione dei due patti supponiamo che un testo debba compiere diverse condizioni per concordare con il genere dell’autobiografia: se queste condizioni non sono state adempiute, il testo non è un’autobiografia. Fuori dall’autobiografia però esiste una zona ambigua, quella del ‘patto romanzesco’ in cui i romanzi possono avere delle inserzioni autobiografiche. Possiamo quindi concludere che esistono vari modi per esprimere aspetti autobiografici.

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3.2. Trauma

Quando si vuole dare una spiegazione del concetto di trauma, bisogna dedicare moltissime ricerche a questo campo di studio. Per quello mettiamo in rilievo il trauma nella letteratura e specificamente il trauma nella letteratura testimonianza dell’Olocausto. Per l’approccio a questo fenomeno possono essere consultate diverse teorie, per quello abbiamo scelto di combinare alcune teorie con le quali possiamo fare un’analisi solida. Prima daremo una spiegazione dell’origine del fenomeno di trauma e come un trauma personale si costruisce; daremo questa spiegazione in base allo studio The trauma question (2008) di Roger

Luckhurst. Poi dedichiamo l’attenzione al concetto di trauma culturale con la teoria di Jeffrey Alexander in Toward a theory of cultural trauma (2004) e da ultimo discuteremo in breve l’elaborazione del trauma tramite lo scrivere sfruttando le teorie di Dominick LaCapra. Originalmente il termine trauma fu soltanto attribuito a ferite nel fisico. La parola fu usata nella medicina del ‘700, un trauma si riferiva a una ferita corporea causata da un agente esterno.18 Ma più tardi, con l’interferenza degli psicanalisti austriaci Sigmund Freud e Joseph Breuer il significato del concetto di ‘trauma’ si spostò dal fisico alla psiche. La loro teoria sul trauma è la base di tutti gli approfondimenti di teorie successive sul trauma. Roger Luckhurst afferma che ‘the first forgotten impact making a belated return after a hiatus, has been central to cultural trauma theory.’19 Con questa frase Luckhurst si riferisce al fenomeno di

“Nachträglichkeit” che costruisce la base dell’ampliamento di teorie sul trauma:

Freud and Breuer suggest that it is not so much the traumatic event itself as the memory of the trauma that ‘acts like an agent provocateur in releasing the symptom.’ In other words, a psychical trauma is something that enters the psyche that is so unprecedented or overwhelming that it can not be processed or assimilated by usual mental processes. We have, as it were, no where to put it, and so it falls out of our conscious memory, yet is still present in the mind like an intruder or a ghost.

Physical symptoms, they suggest, are the enigmatic signposts pointing to trauamtic memories hidden away in the psyche.20

Dunque, il trauma non si costruisce nel momento in cui un evento traumatico ha luogo, ma solo quando il ricordo di questo evento torna in mente. Possiamo concludere quindi che il

18 Luckhurst, Roger: The trauma question, Routledge, London, 2008, p. 2. 19 Ibid. p. 8.

20 Luckhurst, Roger: “Mixing memory and desire: psychoanalysis, psychology and trauma theory.” in: Literary

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trauma è un ricordo d’un evento traumatico e la difficoltà dell’essere intoccabile in questo caso si trova nel fatto che il ricordo, ogni volta che torna, è un po’ diverso dalla prima volta in cui il ricordo venne in mente. “Nachträglichkeit” mette in luce la temporalità di un evento che non è sentito come traumatico fino al momento nel quale il ricordo dell’evento ritorna nella mente.21 Questo è in breve la spiegazione del trauma personale, ma per quanto riguarda l’Olocausto si può anche osservare il trauma in un aspetto più ampio, poiché quest’evento ha influenzato il benessere di una società intera. Nel caso dell’Olocausto possiamo quindi concludere che si tratti anche di un trauma culturale.

Trauma culturale vuol dire che una società viene sottomessa a eventi così crudeli che questi lasciano un marchio sulla coscienza del gruppo che sarà incancellabile.22 Alexander (2004a) enfatizza però che un trauma culturale non è il risultato dell’esperienza traumatica, ma che viene causato da un processo socioculturale.

Trauma is not the result of a group experiencing pain. It is the result of this acute discomfort entering into the core of the collectivity’s sense of its own identity. Collective actors “decide” to represent social pain as a fundamental threat to their sense of who they are, where they came from, and where they want to go.23

Il processo della costruzione di un trauma culturale comincia con quello che Jeffrey Alexander chiama claim making (Alexander, 2004a:11). Persone nella comunità, che Alexander nomina carrier groups (idem), inviano delle rappresentazioni di eventi sociali agli altri membri della società. Lo scopo del carrier group è convincere il pubblico, quindi i membri della società, che esso è stato traumatizzato da un certo evento, dopodiché il

reclamare il trauma può anche essere costituito fuori della società specifica, nella società in generale.24 Questo succede tramite vari percorsi, per esempio politici, intellettuali, giornalisti e scrittori possono far sentire la loro voce. Possiamo affermare che la letteratura come

testimonianza dell’Olocausto funzioni anche come carrier group e anche come claim making. Ma lo scrivere non è solo un modo per richiamare un trauma e raggiungere un

pubblico più grande, è anche un modo con il quale un trauma personale può essere elaborato. Lo scrivere sul trauma può funzionare come terapia. Secondo Dominick LaCapra si può trattare il trauma in due maniere: acting out e working through. Acting out è il rivivere

21 Luckhurst, Roger: The trauma question, Routledge, London, p. 9.

22 Alexander, Jeffrey C: ‘Toward a theory of cultural trauma’ in: Cultural trauma and collective identity,

University of California Press, Berkeley, 2004, pp. 1-30, p. 1.

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continuamente l’evento traumatico senza raggiungere una vera soluzione per quanto riguarda l’elaborazione del trauma. Working through è lo scrivere o il parlare sull’evento traumatico che aiuta ad elaborare il trauma e a prenderne distanza in modo che il trauma non influenzi più la vita giornaliera.25 Possiamo concludere che il working through sarà il modo in cui il trauma viene veramente elaborato e la letteratura è un buon mezzo in questo processo. LaCapra termina che ‘narrative at best helps one not to change the past through a dubious rewriting of history but to work through posttraumatic symptoms in the present in the manner that opens possible futures.’26 Quindi lo scrivere non aiuta in primo luogo a dare forma al trauma ma aiuta ad elaborare il trauma stesso. Questo vuol dire che il contenuto dell’evento traumatico non cambia per niente, ma lo scrivere aiuta la persona traumatizzata a far integrare il trauma nella sua vita in modo che non danneggi più la psiche.

Possiamo supporre che trauma sia un concetto molto complesso, soprattutto perché è un fenomeno che si sviluppa nella mente e anche perché non esistono mai due casi uguali. I tipi di trauma che abbiamo elaborato danno una visione chiara nella letteratura sull’Olocausto viste le ragioni dello scrittore per scrivere sul trauma. Il trauma personale che viene creato nella psiche può funzionare in certi casi come base per un trauma culturale. Poiché la persona traumatizzata può sentire l’obbligo di rappresentare il suo trauma, esso può dar luogo a una presa di coscienza da altri membri di una certa società. Lo scrivere sul trauma può essere utile su due livelli; a livello personale può avere una funzione terapeutica e a livello collettivo può rendere altre persone consapevoli del trauma. Quindi la letteratura sul trauma serve a vari scopi. Nella nostra analisi dell’opera di Edith Bruck proveremo a indicare questi scopi e come la scrittrice vi ha dato forma.

3.3. Potere

Nella postfazione del libro Michel Foucault beyond structuralism and hermeneutics27 Michel Foucault afferma che non si può parlare di meccanismi o strutture di potere senza avere in mente altro che l’esercizio del potere da parte di persone su altre persone. Il termine potere

25 LaCapra, Dominick: Writing History, Writing Trauma, John Hopkins University Press, Baltimore, 2001, pp.

143-144.

26 LaCapra, Dominick: History in transit, experience, identity, critical theory, Cornell University Press, New

York, 2004, pp. 121-122.

27 Dreyfus, Hubert L. and Rabinow, Paul: Michel Foucault beyond structuralism and hermeneutics, Harvester

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afferma che ci sono delle relazioni tra soci, le quali sono chiamate relazioni di potere.28 Queste relazioni di potere indicano le azioni di persone come reazione su azioni di altre person

poi t è la unto di la gente diventa soggetto di potere, e come

funzion

e, il i, un ambiamento nei meccanismi di potere ha avuto luogo nel mondo occidentale:

tres qui es, à les faire croître et à des ordonner plutôt que voué a les barrer, à les faire plier ou à les détruire.34

i

e.29

Per la nostra ricerca abbiamo bisogno di una spiegazione del concetto di potere per applicarlo alla letteratura che ci interessa: l’opera di Edith Bruck. Nella prima parte della collana Histoire de la sexualité (1976), che si chiama La volonté de savoir,30 Michel Foucaul spiega come il concetto di potere si è sviluppato nel corso del tempo. Egli descrive qual base di potere e come il concetto si manifesta nella vita. Michel Foucault ha cercato di spiegare il concetto di potere non nell’ottica del perché o degli scopi di potere, ma dal p vista del soggetto, quindi in quale maniera

a il processo di soggezione.31

Sin dai tempi medievali il potere venne esercitato dal sovrano, quindi il potere era basato su rapporti di sovranità. Il potere fu costituito attorno all’essere fisico del sovrano, ma non si occupava di permanenti sistemi di controllo.32 Questo potere fu soprattutto esercitato tramite il meccanismo di sottrazione, il che fu implementato per confiscare le ricchezz tempo, il corpo e finalmente la vita dei soggetti di potere.33 Sin dai tempi classic c

Le “prélèvement” tend à n’en plus être la forme majeure, mais une pièce seulement parmi d’au ont des fonctions d’incitation, de renforcement, de contrôle, de surveillance, de majoration et d’organisation des forces qu’il soumet: un pouvoir destiné à produire des forc

Il cambiamento indica che il potere non viene più esercitato tramite l’appropriazione di effett personali di altre persone, ma che i meccanismi di potere organizzano e controllano le varie forze che insieme formano il soggetto del potere. Da questo momento il diritto di togliere la vita, si trasforma in un potere sulla vita. La morte, che prima venne giustificata dal diritto del sovrano di difendersi, diventa il contrario del diritto del corpo sociale di mettere al sicuro la

del 14 gennaio 1976’ in: Michel Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 94, p. 183.

hel: Histoire de la sexualité 1: La volonté de savoir, Ed. Gallimard, Paris, 1976, p. 178-179.

28 Ibid. p. 217. 29 Ibid. p. 220.

30 Foucault, Michel: Histoire de la sexualité 1: La volonté de savoir, Ed. Gallimard, Paris, 1976. 31 Foucault, Michel: ‘Corso

1977, pp. 179-1

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propria vita.35 Il potere sulla morte è diventato il complemento di un potere positivo sull il quale si è incaricato di controllare tutti gli elementi della vita e di regolarla in totale.Guerre non vengono più fatte nel nome del sovrano ma nel nome dell’essere di tutta la società. Popolazioni intere vengono addestrate ad ammazzare l’una l’altra reclamando la necessità di vivere la propria vita.

a vita,

sti ri regimi, i quali gli potrebbero sottrarre la vita. Il potere di espo

retamente questo potere si è sviluppato nel ‘700 in due modi principali. Questi modi non sono contrari l’uno all’altro, ma sono due poli tra cui si trovano tante relazioni che li collega

ité et gration à des systèmes de contrôles efficaces et economiques, tout cela a été ssuré par des procédures de pouvoir qui caractérisent les disciplines: anatomo-politique du corps

oi

dicate da

Michel essa al potere dei nazisti veniva usata

come una macchina; doveva fare lavori troppo pesanti e non veniva nutrita bene.

es: la ngévité avec toutes

36 Regimi, che dominano le vite e i corpi di persone che appartengono a

certe razze, hanno fatto morire una quantità enorme di persone. Questo succede perché que regimi temono di essere adottati da alt

rre un’intera popolazione alla morte è il contrario del potere di garantire a un’altra popolazione la sua sopravvivenza.37

Conc no.

L’un des pôles, le premier, semble t’il, à s’être formé, a été centré sur le corps comme machine: son dressage, la majoration de ses aptitudes, l’extorsion de ses forces, la croissance parallèle de son util de sa docilité, son inté

a

humain.38

Il primo polo si concentra sul meccanismo del corpo umano. Lo scopo principale di questa forma di potere è di utilizzare il corpo in modo che esso viene esaurito. Il corpo viene p

approcciato da sistemi di controllo economici e funzionali con l’obbiettivo di regolarlo tramite questi sistemi. Le caratteristiche di questo modo di esercitare il potere si trovano nelle

discipline come le scuole, le caserme, i collegi e le officine.39 Nel contesto dell’Olocausto i campi di concentramento possono essere visti come uno dei tipi tra le discipline in

Foucault. In questi campi la gente che era sottom L’altro polo si concentra sul corpo come specie:

le corps traversé par la mécanique du vivant et servant de support aux processus biologiqu prolifération, les naissances et la mortalité, le niveau de santé, la durée de vie, la lo

(16)

les conditions qui peuvent les faire varier; leur prise en charge s’opère par toute une série d’interventions et de contrôles régulateurs: une bio-politique de la population.40

Da questa citazione possiamo concludere che il corpo viene anche considerato una specie naturale che deve essere controllata per esercitare potere sulla vita. I processi biologici del corpo umano come la riproduzione, la nascita e la durata della vita, vengono sottomessi a meccanismi di controllo regolatori. Con questo metodo, il corpo di una persona può essere posseduto dalla persona che esercita il potere. Con questo sistema uno può esercitare il potere su un popolo intero, poiché la persona che ha il potere può ridurre e aumentare i processi biologici con i quali regola la crescita o la diminuzione di un popolo. Nei campi di

concentramento è stato attivato un meccanismo di controllo molto severo. Siccome la gente nei lager veniva considerata un gruppo di corpi meccanici, come abbiamo spiegato nella parte soprastante, era anche possibile regolare gli aspetti naturali dei corpi di queste persone. Con questo metodo la riproduzione e la nascita venivano prevenute e la morte della gente ebrea fu

pi classici, caratterizza un potere nel quale la funzione più importante , ma il possesso totale della vita.41

commessa contro il popolo ebreo nei campi di concentramento durante l’Olocausto. Lo scopo

accelerata. La salute nei lager diventava sempre più debole e questa debolezza dava luogo a una soggezione, poiché non c’era forza per opporsi.

Il controllo sul corpo e le regolazioni della popolazione sono i due poli attorno ai quali il potere si è organizzato e sviluppato. Nell’Olocausto il popolo ebreo fu regolato in questo modo. I campi di concentramento funzionavano come disciplina in cui la gente non poteva decidere niente e dove era dipendente dai nazisti. Questa tecnologia bidimensionale che veniva istallata nei tem

forse non è più il togliere della vita

3.4. Violenza

Nel suo libro On Violence42 Hannah Arendt discute l’essenza della violenza. In quest’opera spiega come funziona il concetto di violenza. Quest’elaborazione della nozione di violenza è sorta dalle vicende e dalle discussioni del ventesimo secolo che Stalin già previde essere un secolo di guerre e rivoluzioni e quindi un’epoca piena di violenza.43

L’applicazione di questa teoria nell’analisi avrà il focus sulla violenza che è stata

40 Ibid. p. 183. 41 Ibid. p. 183.

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della violenza contro gli ebrei fu di sterminarli, poiché secondo il nazismo il popolo ebreo era un pericolo per la ‘razza ariana’. Per dare una visione chiara del concetto di violenza

spieghe utti tica si no posizione di obbe che

vano uccise. La difficoltà per gli

ebrei n ano

, fu che ncetto di razza in

quest’analisi, ma sugli atti che caratterizzano l’Olocausto e il razzismo. Quando si discute la questio

hips an ideology, and the deeds it leads to are not reflex actions, but the liberate acts based on

remo prima di tutto quali sono i motivi per l’uso della violenza e poi come ha luogo la sua attuazione.

Se prendiamo in considerazione le discussioni sul concetto di potere, notiamo che t i teorici politici considerano la violenza come una manifestazione di potere.44 Nella poli tratta sempre di ottenere potere: solo col potere si può dirigere un popolo. Se una persona vuole il potere bisogna impartire ordini, ma più importante è che questi ordini venga eseguiti. L’obbedienza può essere imposta con l’uso di violenza. Nota bene che l’im dienza non è l’unico mezzo con cui il potere può essere ottenuto, ma questa spiegazione dà una visione più ampia del concetto di violenza.

In On Violence Hannah Arendt si riferisce a Clausewitz che definì la guerra come ‘an act of violence to compel the opponent to do as we wish.’45 Questa citazione rende molto chiara l’essenza di guerra e allo stesso momento rappresenta il motivo per l’uso di violenza. Se l’essenza del potere consiste nell’effettività dell’ordine, non esiste un potere più grande il potere che viene dalla canna di un fucile.46 E per quello ogni persona che ha un fucile può imporre obbedienza ed esercitare potere su altre persone. Nei campi di concentramento le vittime vennero costrette a obbedire e se non obbedivano veni

ei campi di concentramento era che non sapevano per quale ragione erano lì, non er per niente coscienti di aver sbagliato in qualsivoglia modo.

Anche se l’ebraismo non è una razza, possiamo, in questo caso, affrontare questo popolo come tale. Hannah Arendt spiega nel libro The Origins of totalitarianism (1973) che questo confronto è ammissibile, poiché la ragione di Hitler per sterminare gli ebrei

secondo lui essi erano un pericolo per la ‘razza ariana’. Il razzismo assomiglia molto a quello che è successo durante l’Olocausto. Non poniamo l’enfasi sul co

ne del razzismo, la violenza ha sempre un grande ruolo:

Racism, white or black, is fraught with violence by definition because it objects to natural organic facts – a white or a black skin – which no persuasion or power could change; all one can do, when the c are down, is to exterminate their bearers. Racism, as distinguished from race, is not a real fact of life, but

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scientific theories. Violence in interracial struggle is always murderous, but it is not “irrational”; it is t logical and rational consequence of racism, by

he which I do not mean some rather vague prejudices on either side, but an explicit ideological sign.47

on i

mondo.

in

che non possiamo più controllare le situazioni che vengono create dall’uso di queste armi.49

a at there were or in vans; and in the camp elaborate precautions were taken to fool the victims right up to the end.50

o

ò essere giustificato, ma non può mai essere legittimato. Nondimeno quanto più lo scopo si

Hannah Arendt afferma in questa citazione che il problema del razzismo va sempre a mano con la violenza, poiché il razzismo si dirige contro caratteristiche naturali e biologiche che n possono essere cambiate, ma possono soltanto essere sterminate. Lo sterminio è, in questo caso, come chiarisce Hannah Arendt, un metodo per raggiungere le idee dell’ideologia che s chiama razzismo: non è un atto irrazionale, ma è un atto che viene giustificato dallo scopo. Supponiamo che nel caso del nazismo uno scopo venne perseguito come tale, poiché secondo il nazismo altre razze oltre a quella ariana non potevano essere rappresentate in questo

Nel suo studio Hannah Arendt dedica tanta attenzione al carattere materialistico della violenza. L’esecuzione della violenza è dipendente dalle armi e con la tecnologia che sta sempre sviluppando armi nuove ha ottenuto un potenziale distruttivo che non sta per niente proporzione con gli scopi politici da raggiungere. Per questa ragione gli scopi politici non possono legittimare l’uso di queste armi.48 Grazie agli sviluppi tecnologici le armi sono così violente

Although Eichmann told him that he was not “tough enough” for these insights, that he never had been soldier, had never been to the front, had never seen action, that he could not sleep and had nightmares. […] He saw just enough to be fully informed of how the destruction machinery worked: th

two different methods of killing, shooting and gassing; that the shooting was done by the

Einsatzgruppen and the gassing at the camps, either in chambers

In questa citazione diventa chiaro che Eichmann, il quale è molto conosciuto per il processo contro di lui per il suo ruolo nello sterminio degli ebrei, non poteva più sopportare che furon commessi atti così violenti. L’uccisione degli ebrei avvenne in modo molto violento e fino all’ultimo momento le vittime non sapevano cosa stava per succedere loro. Hannah Arendt afferma che gli scopi giustificano i mezzi. Per raggiungere uno scopo, l’uso di violenza pu

47 Arendt, Hannah: On Violence, Harcourt, Brace & World Inc., New York, 1969, pp. 75-76. 48 Ibid. p. 3.

49 Ibid. p. 4.

50 Arendt, Hannah: Eichmann in Jerusalem a report on the banality of evil, revised and enlarged edition,

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trova nel futuro tanto più la giustificazione diventa meno accettabile.51 Nel caso dell’Olocausto possiamo concludere che dai nazisti i mezzi vennero giustificati perché avevano un certo scopo da raggiungere con essi. Ma lo scopo non venne raggiunto, poiché come afferma Hannah Arendt: ‘In a contest of violence against violence the superiority of the government has always been absolute; but this superiority lasts only as long as commands are obeyed and the army or police forces are prepared to use their weapons.’52 Ad un certo punto il regime dei nazisti diventava debole per varie ragioni, per esempio l’interferenza di altri paesi, ma anche perché era cresciuta una mancanza di fede tra i nazisti nella riuscita

dell’operazione. Per quello il regime perdeva la sua forza e non riusciva più a funzionare in modo ottimo per raggiungere uno sterminio totale degli ebrei.

Dopo quest’esposizione possiamo concludere che la violenza è strumentale, e con questo vogliamo dire che spesso c’è bisogno di mezzi strumentali per fare violenza. I motivi per l’uso della violenza, che abbiamo discusso nella parte soprastante, hanno tutti a che fare con la nostra analisi, ma esistono ancora tanti altri motivi. Nella parte in cui discuteremo l’esecuzione di violenza, diventa chiaro che i mezzi che vengono usati possono essere così funzionali che non lasciano spazio alle emozioni, cosa che per l’uomo in generale è quasi insopportabile.

(20)

4. Chi ti ama così (1959) 4.1. Introduzione

In questo capitolo faremo un’analisi del primo libro di Edith Bruck Chi ti ama così (1959). Per quest’analisi applicheremo delle teorie di Philippe Lejeune per quanto riguarda

l’autobiografismo, di Michel Foucault per la discussione del potere e di Hannah Arendt sulla violenza. Abbiamo discusso queste teorie nella cornice teorica e le applicheremo a brani provenienti da Chi ti ama così. Abbiamo scelto di applicare tre teorie delle quattro che avevamo spiegato nella parte precedente, abbiamo tralasciato di applicare la teoria sul trauma perché pare inapplicabile. Troviamo questa teoria inapplicabile perché nonostante il testo descriva l’evento traumatico, la struttura dell’opera non rispecchia la teoria del

trauma. Per questo pensiamo che con le teorie sul trauma che abbiamo discusso nella cornice teorica non possiamo fare un’analisi solida e quindi abbiamo tralasciato di analizzare il trauma in quest’opera.

Il primo libro di Edith Bruck Chi ti ama così uscì da Marsilio nel 1959. E’ un libro che comincia con la descrizione degli anni infantili della protagonista Edith in un piccolo paese in Ungheria. Un giorno nel 1944, la vita della ragazza dodicenne e della sua famiglia, viene bruscamente interrotta. Vengono deportati al campo di sterminio di Auschwitz. Le

descrizioni del lager sono commoventi e il processo dopo la liberazione è quasi ugualmente triste. Dopo la liberazione Edith raggiunge finalmente Israele, ma lì non si sente felice e non crede di poter creare una vita buona in questo paese. Il libro finisce con la sua partenza da Israele.

4.2. Analisi di Chi ti ama così

4.2.1. L’autobiografismo in Chi ti ama così

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ama così e se possiamo dunque considerare questo libro un’autobiografia o un romanzo autobiografico.

Prima di tutto possiamo concludere che il genere di questo libro è una narrativa in prosa. Più avanti nella sua carriera Edith Bruck ha anche scritto delle poesie e delle sceneggiature per film, ma ha cominciato con la scrittura prosastica. La prima condizione per un testo in quanto autobiografia è che deve essere scritta in prosa.53

Alla fine del libro l’autrice ha scritto un breve epilogo in cui scrive:

Ho incominciato a scrivere questo racconto autobiografico alla fine del 1945 in Ungheria, nella mia lingua. Ma durante la fuga in Cecoslovakia persi il mio quaderno marrone che conteneva anche poesie scritte nell’infanzia e dedicate a mia madre. Ho cercato poi di riscriverlo più volte nei vari paesi dove sono stata. Solo a Roma, tra il 1958 e il 1959, sono riuscita a scriverlo fino in fondo in una lingua non mia.54

Da questo testo possiamo concludere che l’autrice ha scritto sulla sua vita personale e in particolare sulle sue esperienze nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Aveva già cominciato a scrivere durante il tempo descritto nel libro ma non era riuscita a finire il lavoro fino al 1959. Questa citazione è la più importante per poter concludere che il testo è un’autobiografia.

In questo primo libro l’autrice ha rappresentato la narratrice come una ragazza che non ha nessun dubbio di poter raccontare le sue esperienze incredibili.55 Questo indica che anche la scrittrice non aveva nessun dubbio di poter scrivere su cose che sarebbero difficili da capire, poiché ha affermato nell’epilogo di aver scritto un’autobiografia. Quindi

l’identità della scrittrice e della narratrice è la stessa, un’indicazione molto importante per fissare l’autobiografismo.

Lejeune afferma che l’autore, il narratore e il protagonista devono avere la stessa identità. Quest’identità simile può essere indicata in un prologo dal narratore in cui esso si comporta come se fosse lo scrittore, ma nel caso di Chi ti ama così possiamo parlare solo di un epilogo. Dalla citazione soprastante possiamo concludere che la narratrice si rivolge al lettore come se fosse la scrittrice. Un’altra possibilità è che il narratore-protagonista dà a se

53 Lejeune, Philippe: Le pacte autobiographique, Editions du Seuil, Paris, 1975, p. 14. 54 Bruck, Edith: Chi ti ama così (seconda edizione), Marsilio Editori, Venezia, 1974, p. 117.

55 Giorgio, Adalgisa: “Strategies for remembering: Auschwitz, Mother and Writing in Edith Bruck” in:

European Memories of the second World War (a.c.d. Helmut Peitsch et. al.), Berghahn Books, New York,

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stesso il nome dell’autore, il che è anche il caso in Chi ti ama così. Il nome della narratrice e della protagonista, che in questo libro sono la stessa persona, è Edith, quindi uguale alla scrittrice indicata sulla copertina del libro.

Da questa breve analisi possiamo concludere che quest’opera tratta di una vera autobiografia in cui la scrittrice ha descritto un episodio della sua vita peronale secondo la verità.

4.2.2.Il potere in Chi ti ama così

Il modo in cui il potere venne esercitato durante l’Olocausto è molto crudele e i racconti dei sopravvisutti hanno dato un’idea della maniera in cui questa crudeltà si svolgeva. Le

descrizioni di come la gente ebrea nei lager veniva trattata sono commoventi e chiariscono che questa gente non aveva nessuna possibilità di cambiare la situazione.

Il treno si fermò bruscamente e udii parlare una lingua sconosciuta, dura, frettolosa. Capimmo che eravamo al confine tedesco. Avevamo pensato che i nostri ungheresi non avrebbero mai permesso che ci portassero via! Con un colpo spalancarano la porta e urlavano che volevano l’oro, l’ avrebbero chiesto per l’ultima volta, poi avrebbero sparato. Non scherzavano. Ci chiedevano anche la fede, i pianti ricominciarono: è l’ultima cosa che un uomo e una donna si levano, era il simbolo del loro amore, felice o infelice ma sempre caro. Infine tutti consegnarono la fede e io speravo che non ci fosse più niente da dare. Ma ogni giorno si ripeteva questa scena, e sempre qualcosa saltava fuori.56

All’inizio di questa citazione è chiaro che la ragazza nel treno non capiva cosa stava per succedere. Il fatto che le persone dentro quel treno non si erano mai aspettate dalla polizia locale di essere portate via, indica l’incredulità delle vittime. E con quest’incredulità cominciava l’esercitare di potere. Se uno non ha l’idea che un'altra persona lo può

danneggiare, egli in primo luogo è pronto a obbedire a questa persona, poiché non crede che l’altra persona abbia male intenzioni. La descrizione nel frammento rende chiaro che questa gente nel treno non veniva trattata con delicatezza. Una vecchia caratteristica del potere è il sottrarre degli effetti personali alla gente, e in questo caso la sottrazione andava fino alla “fede”. A volte le persone non obbedivano all’ordine di consegnare gli effetti e per quello il processo si compiva ogni giorno, con il risultato che sempre qualcosa veniva fuori. Quindi ogni giorno le vittime venivano sforzate a seguire degli ordini. In Values and Violence in Auschwitz (1979) Anna Pawełczyńska indica gli incarichi del personale pagato nei campi di

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sterminio. Questa indicazione si basa su documenti storici. Uno degli incarichi recita così: ‘The plundering, including the storing, storage, and shipping, of the personal effects of living and dead prisoners is established as a system.’57 Questa regola mette in mostra quello che abbiamo anche visto nel brano: il sottrarre sistematicamente degli effetti ai prigionieri laddove la sistematica si trova nella ripetizione dell’ordine di consegnare gli effetti

personali. Questo è uno dei modi in cui il potere veniva esercitato nei campi di

concentramento, ma come aveva spiegato Foucault (1976) non era la maniera principale di eseguire il potere, ma solo una contingenza nell’esecuzione per raggiungere uno scopo più alto, cioè lo sterminio degli ebrei.

Il potere quindi non veniva soltanto esercitato tramite il dare ordini che dovevano essere eseguiti. I prigionieri venivano anche forzati a fare lavori troppo pesanti:

Il nuovo lager si chiamava Kaufering. Ci distribuirono vestiti civili, abitavamo nel bunker e

andavamo a lavorare ogni mattina alla costruzione di strade e di fossi. Molti finivano col rimanere nel bunker perché dicevano di non aver più la forza di lavorare, ma i malati non servivano ai tedeschi e li portavano via ogni giorno con i camion dove non si guarisce più. Lavorare, essere forti, perché ammalarsi era un lusso. Dopo cinque settimane, il lavoro fu compiuto e fummo trasferite a

Landsberg. Il lavoro anche qui era su per giù lo stesso. Ma gli strumenti per scavare la terra erano più pesanti di noi.58

In questa citazione è ben riconoscibile il primo dei due poli attorno a cui il potere si è costruito dopo il’ 700, che Michel Foucault ha chiamato l’anatomo-politique du corps humain. Nei campi le vittime venivano forzate a lavorare sodo anche se erano fisicamente deboli. Il corpo veniva visto come un meccanismo che era utile per fare lavori estenuanti. Dalla descrizione di Edith Bruck, che gli strumenti per scavare la terra erano più pesanti della gente stessa, possiamo concludere che nessuno teneva conto della salute e dello stato fisico dei prigionieri. Se qualcuno era troppo debole per lavorare, la sua unica destinazione era la morte. I lager possono essere visti come le discipline, che Foucault ha indicato, dove i sistemi di controllo aiutavano a esercitare il potere. Questi sistemi venivano fuori dall’idea nazifascista, come spiega Irving Howe (1988), di disumanizzare il popolo ebreo. Con questa disumanizzazione i nazisti potevano concludere che gli ebrei non erano umani davvero.

57 Pawełczyńska, Anna: Values and Violence in Auschwitz (trad. Catherine S. Leach), University of California

Press, Los Angeles, 1979, p.17.

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Quest’idea poteva risultare in una rabbia59 che si rappresentava nell’esaurire dei prigionieri tramite lavori pesanti, come descrive Edith Bruck in questo frammento. Quest’idea di Howe (ibid.) si riallaccia bene all’idea di Foucault (1976) sul diritto del corpo sociale di difendersi contro un popolo per assicurarsi la propria vita che in questo caso è la difesa della razza ariana contro il popolo ebreo. Il controllo sugli ebrei diventava anche sempre più facile, poiché i prigionieri diventavano sempre più deboli e per quello potevano difendersi sempre di meno.

Anche l’altro polo che Michel Foucault ha indicato, riguardante l’aspetto biologico nell’esecuzione del potere e che abbiamo discusso nella cornice teorica, viene

rappresentato:

Dopo quattro giorni di viaggio il treno si fermò; sentii urlare: - Alle heràus schnell! -. In un attimo stavamo tutti su un lato del vagone, vidi tante baracche e tante donne calve con uniformi da prigioniere a righe con un numero sul colletto. Improvvisamente non vidi più mio padre e i miei fratelli. Ci spingevano avanti in fretta dividendo gli uomini dalle donne.60

Quando Edith arrivava al campo di concentramento di Auschwitz le donne e gli uomini venivano separati. Questo veniva fatto dai nazisti perché essi non volevano che i rapporti tra uomini e donne continuavano. Non poteva rimanere nessuna possibilità per i prigionieri di avere rapporti sessuali, perché il popolo ebreo non poteva aumentare, doveva diminuire. Questo sistema di separare le donne dagli uomini indica il secondo polo su cui Foucault (1976) ha basato il concetto di potere; une bio-politique de la population. Tramite il

regolare i processi biologici uno può esercitare potere non solo sull’individuo, ma anche su un popolo intero. Per la distruzione biologica del popolo ebreo veniva anche fatto uso di un altro metodo per cui anche certi prigionieri potevano esercitare il potere su altri prigionieri. Il concetto di potere veniva esercitato secondo un sistema gerarchizzato, poiché anche certi prigionieri venivano obbligati a esercitare potere su altri prigionieri. Questa struttura dell’esercizio di potere rassicurava una continuità di minaccia quando la SS non era presente sul terreno dove le vittime erano tenute in prigionia61:

59 Howe, Irving: “Writing and the Holocaust” in: Writing and the Holocaust a.c.d. Beryl Lang, Holmes &

Meier Publishers Inc., New York, 1988, pp. 175-200, p. 176.

60 Bruck, Edith: Chi ti ama così (seconda edizione), Marsilio Editori, Venezia-Padova, 1974, p. 30.

61 Pawełczyńska, Anna: Values and Violence in Auschwitz (trad. Catherine S. Leach), University of California

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Sentivo donne urlare in lingue per me incomprensibili ordini su ordini. Erano deportate polacche e slovacche, tutte ebree: i nostri capi. Dovevamo ubbidirle, non fare scenate, perché a loro volta erano sorvegliate dai tedeschi e sarebbero state punite se noi non eseguivamo quanto ci comandavano. 62

Questa struttura gerarchizzata del potere veniva fuori dall’idea che quando la coesione di un gruppo di prigionieri venisse disturbata, sorgerebbe un ambiente minaccioso. Questo metodo veniva esercitato sistematicamente.63 Nel frammento soprastante si vede che la gerarchia veniva chiarita subito quando i prigionieri arrivavano nel lager. Con questa struttura, in cui certi prigionieri erano più importanti che gli altri, venne creata una

situazione in cui cooperazione tra i prigionieri non era possibile, ognuno doveva lottare per la propria vita, il che è tanto più difficile che lottare insieme. Così la possibilità di

sopravvivere veniva diminuita e lo scopo dello sterminio totale degli ebrei poteva essere raggiunto più facilmente. Come prigioniera era interessante eseguire questo ruolo di capo, poiché dava possibilità per avere più razioni di cibo e più vestiti che gli altri prigionieri64,

con questi vantaggi era più facile sopravvivere. Non esisteva spazio per la solidarietà tra i prigionieri.

Il potere veniva quindi esercitato in vari modi; tutti quanti contribuivano al raggiungimento dello scopo dell’ideologia nazista.

4.2.3. La violenza in Chi ti ama così

Nel suo primo libro Edith Bruck ha dato una descrizione delle vicende della sua prima infanzia fino al momento in cui lasciò Israele. Grande parte del testo è dedicato alle esperienze nei campi di concentramento e i tempi dopo la liberazione. Nei lager la vita dei prigionieri veniva regolata tramite sistemi di controllo e spesso anche la violenza veniva usata contro i prigionieri per farli obbedire ai sistemi. I prigionieri stessi non sapevano niente sul loro futuro. Non sapevano neanche sotto quali condizioni potevano perdere la vita:

Poi quattro donne dissero che non potevano più camminare. I tedeschi fermarono la carovana: chi non poteva proseguire lo dicesse, sarebbe stato portato in un ospedale. Sognando un letto bianco con

62 Bruck, Edith: Chi ti ama così (seconda edizione), Marsilio Editori, Venezia-Padova, 1974, p. 31.

63 Pawełczyńska, Anna: Values and Violence in Auschwitz (trad. Catherine S. Leach), University of California

Press, Los Angeles, 1979, p. 44.

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una infermiera, alcune dichiararono di non poter andare avanti, e furono uccise con un colpo di fucile.65

Qui si vede la “naività” delle donne che sono state imprigionate da tanto tempo.

Possibilmente non vedevano nessuna via d’uscita e questa scelta non avrebbe portato a loro più male che andare avanti con la carovana.Ma forse se avessero saputo di morire quando rinunciavano alla lotta, avrebbero scelto di continuare a lavorare, anche con tutte le

difficoltà che questi lavori portavano con sé. Abbiamo citato nella cornice teorica un brano dal libro Eichmann in Jerusalem, the banality of evil (1963) di Hannah Arendt in cui Adolf Eichmann spiegò che i prigionieri venivano imbrogliati per quanto riguarda il loro destino quando dovevano andare a fare la doccia, ma in ogni caso la gente veniva imbrogliata, non solo per quanto riguarda le camere a gas. Questo si vede nel brano soprastante di Chi ti ama così. Poter andare in ospedale è un sogno e queste donne hanno una forte voglia di credere in questa illusione. Queste donne non potevano immaginarsi la crudeltà che si nascondeva in quest’opportunità. C’era bisogno di un tale comportamento dei nazisti, poiché era loro compito di sterminare le vittime entro un certo tempo.66 Se le vittime non sapevano che le aspettava la morte non provavano neanche a cambiare il loro destino. Ma l’atteggiamento dei soldati non era sempre così crudele, per alcuni di loro partecipare allo sterminio diventava un caso di coscienza:

I soldati non facevano parte delle SS ma della ORT, erano più umani, e un giorno presi il coraggio e chiesi a uno di loro, che mi sembrava un buon uomo, un po’ di pane. Lui mi disse di tornare all’ ora del rancio. [...] Poi cercai di sorridergli dolcemente, piansi anche, a un certo punto gli dissi: - E io? –. Mi fece un segno di allontanarmi e io mi scostai disperata e delusa. Infine mi passò quasi con rabbia la gavetta e disse: - Lavala! Appena l’ebbi in mano mi accorsi che dentro vi era pane e marmellata. [...] Dopo poche settimane lasciammo anche questo posto. Mentre camminavo e salutavo il soldato piangevo e lui commosso ripeteva: - Povera bambina!67

In questo frammento Edith Bruck descrive l’umanità di questo soldato. Nella discussione delle teorie di Hannah Arendt veniva fuori che l’impatto della violenza non è sopportabile, né per le vittime, né per quelli che fanno la violenza. I soldati delle SS erano più crudeli che quelli della ORT, ma nondimeno non ci si aspettava delle generosità da essi. Il coraggio

65 Bruck, Edith: Chi ti ama così (seconda edizione), Marsilio Editori, Venezia-Padova, 1974, p. 46.

66 Pawełczyńska, Anna: Values and Violence in Auschwitz (trad. Catherine S. Leach), University of California

Press, Los Angeles, 1979, p. 100.

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della ragazza indica che aveva una forte voglia di sopravvivere, poiché esisteva anche il rischio di essere punito e questo poteva significare la sua morte. La reazione del soldato indica sua bontà che ha dentro di sé. E il fatto che ha dato del pane e della marmellata a Edith è un atto logico, poiché l’uomo non è insensibile alle emozioni. Qui il soldato non riusciva più a mettere fuori gioco l’insensibilità e decise di aiutare questa ragazza. Ma non solo quelli che si pensava meno crudeli, anche la gente più crudele in certi casi non poteva darsi totalmente alla violenza:

Appena la guardia se ne accorse, ordinò l’alt! Chiese chi aveva comiciato, nessuno rispose. Dopo un attimo di silenzio, avvertì che avrebbe sparato., una ogni tre donne. Tutte mi guardavano,

accusandomi con odio. Feci un passo avanti […] Il soldato cominciò a picchiarmi col fucile, caddi due o tre volte, perdevo sangue dal naso e dalla bocca. Eliz lo supplicava di uccidermi e di uccidere anche lei. Vedevo tutto in una nebbia e sentivo in bocca il sangue salato, lo inghiottivo. Colpì ancora. Ma Eliz a questo punto diede una spinta alla SS che cadde sulla neve. [...] Il soldato si avvicinava pulendo la sua uniforme e noi l’attendevamo: era la morte. Mi prese una mano e mi aiutò ad alzarmi, poi disse a Eliz che noi dovevamo vivere, che chi aveva il coraggio di toccare un tedesco in un momento come questo aveva il diritto di vivere.68

Le prime frasi rappresentano la paura dei soldati. Edith aveva cominciato a fare una cosa che non si poteva, e poi le altre donne hanno seguito questo esempio. Edith temeva di dire che è stata lei a cominciare, poiché aveva paura della violenza che sarebbe stata esercitata su di lei, il che poteva finire con la morte. La strumentalità della violenza viene

chiaramente rappresentata dal fucile con cui il soldato picchiava Edith così forte che essa sente che il sangue viene dalla bocca e dal naso. Il soldato non poteva controllare il danno che stava causando, poiché non sapeva valutare l’impatto che il fucile può avere.69

L’impatto delle circostanze e della violenza in quel momento rendevano a Eliz l’idea che sarebbe stato meglio morire che rimanere in vita. Nonostante ciò la volontà di vivere dominava quest’idea e per schivare il colpo reagiva con una spinta che alle ragazze poteva costare la vita o conservarla. E da questo punto sembra che abbia luogo una svolta nella mente del soldato. In questo momento mancava il controllo e divenne cosciente del fatto che queste ragazze di fronte a lui non sono solo macchine, ma persone con le loro debolezze.

68 Ibid. pp. 50-51.

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In Eichmann in Jerusalem, the banality of evil (1963) Hannah Arendt aveva scritto delle difficoltà che Adolf Eichmann provava riguardo alla violenza. Abbiamo usato e spiegato una citazione nella cornice teorica che possiamo legare a questo frammento in Chi ti ama così. Dobbiamo chiarire però che non faremo un paragone con Adolf Eichmann qui,70 prendiamo soltanto in considerazione la crudeltà notata da un nazista. Nel frammento soprastante di Chi ti ama così non diventa chiaro se il soldato vedeva la crudeltà dell’uso della violenza, ma chiaramente realizzava che l’ammazzare delle ragazze era un atto troppo efferato. Si rappresentava il lato umano del soldato, che in questo momento capì bene che queste ragazze non sono macchine, come sono state trattate per tanto tempo, il che viene fuori dalla tentazione di Eliz di difendersi. Quindi questa difesa aprì gli occhi del soldato e ha salvato la vita delle due ragazze. Ma non era sempre così, spesso i nazisti si

comportavono come esseri inumani e decidevano di lasciar morire i prigionieri. Le camere a gas sono un esempio chiaro per indicare la brutalità della violenza nei campi di sterminio:

Da quel giorno sentivo sempre l’odore del crematorio e seppi che vi era anche una camera a gas. Davano a ciascuno un pezzo di sapone e un asciugamano dicendo che dovevano andare a fare la doccia ma appena dentro chiudevano le porte e aprivano il gas che non era neppure sufficiente per morire. Portavano fuori la gente svenuta e la buttavano nel forno crematorio.71

In questo brano si presenta molto chiaro quello che abbiamo discusso nella cornice teorica nella parte che tratta della violenza. Avevamo capito da Hannah Arendt che secondo i teorici politici la violenza è una manifestazione di potere. Nel caso di questo frammento la violenza, nella forma delle camere a gas, veniva esercitata per avere controllo sulla vita e la morte dei prigionieri. Siccome le vittime non morirono nella camera a gas, ma solo

svenivano, i nazisti potevono decidere se farli vivere o farli morire nei forni crematori, ma la decisione risultava sempre nel far morire vittime. Ma il fatto che avevano la possibilità di decidere sulla vita di questa gente indica l’esecuzione del potere tramite l’uso della

violenza. Questo processo che aveva luogo nei campi di sterminio è molto crudele e per quello è quasi impossibile riguardare queste vicende come altre vicende successe nel passato. Jeffrey Alexander (2004b) accenna che al genocidio ebraico ci si può riferire come un sacro malvagio. Con questo egli vuole dichiarare che si tratta di un malvagio che ha causato un trauma che non può essere paragonato con nessun altro evento traumatico nel

70 Non è il nostro scopo dare un giudizio sul ruolo di Adolf Eichmann durante l’Olocausto, neanche cerchiamo

di approvare o no il suo atteggiamento durante il processo a Gerusalemme nel 1960.

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mondo.72 Quando si riguarda l’Olocausto come una parte dell’ideologia nazista il genocidio ebraico è orribile, ma anche concepibile. Come aveva affermato Hannah A la convinzione di un’ideologia rende comprensibile gli atti, poiché sono eseguiti co

razionalità per raggiungere uno scopo, che in questo caso è lo sterminio del popolo ebreo. Quando si riguarda il genocidio come quel sacro malvagio di cui parla Alexander (ibid.) non è un caso comprensibile, ma misterioso e inspiegabile. Da questa spiegazione possiamo concludere che ci sono due lati di questo caso. Diciamo che riguardando il caso secondo le idee di Hannah Arendt possiamo identificarci con il perpetratore e quando si prende in considerazione l’idea di Alexander si può cogliere quanto l’evento deve essere stato crudele, incredibile e inspiegabile per le vittime.

rendt, n

4.3. Conclusione

Dopo quest’analisi di Chi ti ama così possiamo concludere che esiste una chiara presenza nel libro dei concetti di potere e di violenza. Le descrizioni delle vicende in cui questi concetti sono presenti vengono tutte dalla memoria dell’autrice, sono vicende che lei stessa ha vissuto e questo è il motivo principale per poter posizionare questo libro nella categoria dell’autobiografia. Il legame tra i concetti del potere e la violenza sarebbe il trauma, poiché il trauma sarebbe causato dal subire il potere e la violenza. Siccome questo testo non rappresenta un trauma visibile nella struttura del testo, ma soltanto vicende traumatiche, non abbiamo applicato le teorie di trauma, che abbiamo discusso nella cornice teorica, a quest’opera di Edith Bruck. Le descrizioni in questo libro indicano un trauma però, poiché queste descrizioni sono state una maniera per la scrittrice di esternare l’incredibiltà delle vicende a cui è stata sottomessa nei campi di concentramento. Nelle prossime analisi vedremo come il trauma si è sviluppato e come esso è stato elaborato negli altri libri di Edith Bruck che discuteremo.

72 Alexander, C. Jeffrey: “On the Social Construction of Moral Universals. The “Holocaust” from War Crime

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5. Lettera alla Madre (1988)

5.1. Introduzione

In questo capitolo faremo un’analisi di Lettera alla madre di Edith Bruck, uscito per la prima volta da Garzanti. Questo libro è stato scritto totalmente in funzione della madre e per quello è molto particolare nell’opera della scrittrice. Il tema della madre occupa un ruolo interessante nell’autobiografismo che discuteremo e approfondiremo sulla base della teoria di Philippe Lejeune (1975). Poi dedichiamo delle ricerche alla presenza del trauma in quest’opera, che è collegata al tema della madre e alle esperienze dell’Olocausto. Per ultimo abbiamo deciso di ricercare la presenza di violenza in questo libro. La violenza dei campi di sterminio ha lasciato nella vita della scrittrice tracce che lei rappresenta in questo libro attraverso il ruolo della protagonista Katia. Per la ricerca sulla violenza useremo come base la teoria di Hannah Arendt (1969) che abbiamo discusso nella cornice teorica, ma

aggiungeremo alcune idee di Edith Bruck riguardo a questo concetto. Da queste analisi proveremo a fare una conclusione per quanto riguarda il legame tra questi tre concetti. Il libro è diviso in due parti, la prima parte è Lettera alla madre, la seconda ha come titolo Tracce. Nella prima parte la narratrice rivolge la parola alla madre attraverso un dialogo con la madre, che morì nel campo di sterminio di Auschwitz. Nel libro la narratrice spiega perché scrive questa lettera e perché vuole fare questo dialogo in cui la narratrice guida la partecipazione della madre. La narratrice occupa quindi il ruolo di figlia e anche quello di madre.

Referenties

GERELATEERDE DOCUMENTEN

Sh CAPÍTULO 5 - EQUIPE A LOS LÍDERES—Capacítelos para que sean excelentes en su labor Sh CAPÍTULO 6 - EMPODERE A LOS LÍDERES—Bríndeles libertad para que alcancen su potencial

Een citaat: 'Politici en gezagdragers zijn geen meesters gebleken in het bevattelijk weergeven van standpunten; het publiek wantrouwt de uitzendingen van

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