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Protestare in una seconda lingua. Uno studio sull'uso dei modificatori in italiano L2.

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Protestare in una seconda lingua.

Uno studio sull’uso dei modificatori in italiano L2.

Bibiana Candido

Numero di matricola: 10545220 Relatore: Ineke Vedder

Correlatore: Mauro Scorretti Universiteit van Amsterdam Facoltà di Scienze Umane

Linguistics of European Languages: Italian

Tesi di laurea specialistica in lingua e cultura italiana Giugno 2016

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Indice

Indice ...2 Prefazione ...5 Introduzione ...6 1. Quadro teorico ...8

1.1. Gli atti linguistici ...8

1.2. Il Face Threatening Act ... 10

1.3. L’atto della protesta ... 12

1.4. I modificatori ... 13

2. L’apprendimento di una seconda lingua ... 15

2.1. L’acquisizione degli speech acts in L2 ... 15

2.2. L’acquisizione dei modificatori in L2 ... 15

2.3. L’influenza della L1 ... 16

2.3.1. Il transfer pragmatico ... 18

2.4. L’interlingua ... 19

3. Impostazione della ricerca ... 21

3.1. Domande ed ipotesi ... 21

3.2. Partecipanti e questionario ... 22

3.3. Registrazioni e trascrizioni ... 24

3.4. C-test e role play ... 25

3.5. Analisi ... 28

4. Risultati ... 30

4.1. Uso dei modificatori ... 31

4.1.1. Uso generale ... 31

4.1.2. Uso dei modificatori ... 33

4.2. Relazione tra l’uso dei modificatori ed il C-test ... 38

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5. Conclusione ... 51

5.1. Modificatori scelti ... 51

5.2. Uso dei modificatori e padronanza linguistica ... 52

5.3. Grado di imposizione ed uso dei modificatori ... 53

5.4. Discussione ... 53

Bibliografia... 55

Allegati ... 57

Allegato I: Questionario ... 58

Allegato II: C-test ... 59

Allegato III: Role play ... 61

Allegato IV: Trascrizioni... 64

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Prefazione

Vorrei ringraziare vivamente tutte le persone che hanno in qualche modo partecipato alla realizzazione della presente tesi di laurea. Innanzitutto vorrei ringraziare il mio tutor, la professoressa Ineke Vedder, per la guida, il feedback ed i preziosi consigli che mi ha dato; la signora Helen van Drunen (manager all’Università popolare di ‘s-Hertogenbosch), le insegnanti di italiano Donatella van de Heiden (dell’Università popolare di ‘s-Hertogenbosch) ed Ariana Ferrarini (dell’Università popolare di Eindhoven), e ovviamente tutti i corsisti di entrambi le università per la loro disponibilità di partecipare alla ricerca. Vorrei, inoltre, ringraziare i miei genitori per la loro fiducia, sostegno e consigli. Last but not least ringrazio Elisa per il suo sostegno complessivo nelle varie fasi della ricerca.

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Introduzione

Gli atti linguistici (Austin 1962; Searle 1969) sono trattati in tanti studi. Di tutti gli atti esistenti, la presente ricerca si focalizza sull’atto della protesta. Brown e Levinson (1988) hanno classificato la protesta come un Face Threatening Act, ovvero, un atto che potrebbe costituire una minaccia per la faccia positiva e/o negativa sia del parlante che quella dell’interlocutore. Per questo gli interlocutori sono costretti a mitigare la forza dell’atto linguistico; ad esempio mediante l’uso di un modificatore. Anche la forza della protesta espressa può essere mitigata tramite l’uso di queste parole. Si distinguono i modificatori interni da quelli esterni (Bettoni 2006). I modificatori del primo tipo sono usati all’interno dell’atto principale, mentre i modificatori esterni vanno visti come mosse di supporto al di fuori dell’atto principale. Questi ultimi hanno la funzione di giustificare il diritto alla richiesta da parte del parlante.

Nella presente tesi di laurea si tratta una parte di entrambi i tipi di modificatori. Sebbene gli studi sull’uso dei modificatori nella protesta siano numerosi (Blum-Kulka & House 1989, Olshtain & Weinbach 1993, Trosborg 1995, Rubino & Bettoni, 2006), crediamo che la nostra indagine – che ha come obiettivo quello di studiare il fenomeno per un gruppo di parlanti nativi dell’olandese che imparano l’italiano come L2 – possa aggiungere nuove informazioni utili sull’argomento. Punto di partenza, quindi, è l’analisi dell’uso dei vari modificatori interni (lessicali/discorsivi, e morfosintattici) ed esterni e l’individuazione dell’occorenza di questi modificatori sia del gruppo nel suo insieme che individuale in questo uso. Analizziamo, inoltre, l’esistenza o meno di un legame fra il medesimo uso e la padronanza linguistica nella L2. Questo verrà fatto tramite l’uso di un cosiddetto C-test. Nella ricerca trattiamo, infine, pure la relazione fra i modificatori prodotti dagli apprendenti ed il grado di imposizione dei vari role play.

L’esito di quest’analisi, sarà usata per la risposta alla domanda principale della presente ricerca “C’è una connessione fra il livello di apprendimento dell’italiano L2 e le caratteristiche dell’uso dei vari modificatori nell’enunciazione di una protesta in questa lingua?”.

Per rendere chiara l’analisi i partecipanti verrano divisi in nove coppie, per le quali saranno registrati quattro dialoghi in cui gli interlocutori ricevono ruoli ed istruzioni ben definiti per ogni singolo role play. Dei quattro role play scelti per la nostra ricerca, tre sono stati presi da

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una ricerca di Rubino e Bettoni (2006) di cui si parla nel capitolo metodologico. Il quarto role play è stato creato dalla ricercatrice.

I partecipanti hanno, inoltre, compilato un questionario per ottenere informazioni personali e linguistiche. In più, abbiamo somministrato un C-test per verificare i loro livelli linguistici individuali.

Importanti per la ricerca sono le seguenti ipotesi, tutte basate sui risultati di studi recenti. Constatando che i modificatori interni vengono usati poco dagli apprendenti di livello principiante e basso-intermedio (Ellis 1992), (Rose 2000) si assume che, nei nostri dati, emergerà che gli apprendenti che hanno una padronanza (abbastanza) scarsa dell’italiano L2, useranno meno modificatori che quelli che si trovano in uno stadio linguistico più elevato. La produzione di modificatori interni, per mitigare la forza della propria protesta espressa, ingrandisce man mano che le conoscenze della L2 si sviluppano (Trosborg 1995; Barron 2003). I partecipanti che, in base al C-test, verrano classificate a un livello linguistico superiore, dunque, useranno più modificatori interni che quelli che si trovano a un livello più basso. Si suppone, inoltre, che dei modificatori interni quelli del sottotipo morfosinttatico compariscano più spesso nelle trascrizioni, non solo perchè sono appresi in uno stadio di apprendimento precoce, ma pure perché ci sono tante formule fisse – come “vorrei” e “mi potresti” – che fanno parte di questo sottotipo di modificatori interni (Barron 2003). Si assume, infine, che i modificatori esterni saranno soprattutto, se non solamente, usati dagli apprendenti di livello intermedio e avanzato (Trosborg 1995; Barron 2003; Ellis 1992).

Nel primo capitolo si espone le teorie principali che formano la base di questa ricerca pragmalinguistica. Saranno, ad esempio, trattati gli atti linguistici di Austin (1962) e di Searle (1969), ma anche la teoria del Face Threatening Act di Brown e Levinson (1988). Il secondo capitolo tratta il concetto dell’interlingua, l’acquisizione degli speech acts nella L2 e l’acquisizione dei modificatori nella L2. Si parla, inoltre, dell’influenza della L1 ed il transfer pragmatico. Il terzo capitolo, di carattere metodologico, descrive l’impostazione della ricerca. Saranno formulate le ipotesi, la domande principale e le sottodomande della nostra indagine. Il medesimo capitolo illustra i risultati del C-test e del questionario. Nel quarto capitolo verrano analizzati i dati raccolti. Le tre sottodomande saranno trattate in questo capitolo. Il quinto ed ultimo capitolo discute l’esito del capitolo precedente e cercherà di dare risposta alla domanda principale.

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1. Quadro teorico

Il presente capitolo presenta le teorie su cui la nostra indagine è basata, fra cui quelle di Austin, Searle, e quelle di Brown e Levinson.

1.1. Gli atti linguistici

Secondo la Speech acts theory (Austin 1962) ogni enunciato prodotto da un parlante va considerato un atto linguistico. Saluti, ringraziamenti, ordini e richieste sono atti linguistici. Si nota, però, che non solo gli enunciati che consistono di un’intera frase sono considerati atti linguistici, ma pure esclamazioni. Per questo si distingue l’atto del dire dall’atto nel dire e dall’atto con il dire. Il primo riferisce all’atto locutorio, ovvero la produzione di parole ‘in quanto appartenenti ad una lingua e dotate di senso e riferimento’ (Sbisà 1999: 69). Per atto

nel dire, dall’altro canto, si intende l’atto illocutorio; l’atto di compiere l’azione in quanto ciò

che noi diciamo conta come un certo tipo di azione convenzionale (ordinare, consigliare, promettere, ringraziare, scusarsi e anche giudicare o asserire)”. Barron (2003) suppone che esso sarebbe l’atto più importante perché “indica come vada interpretato quel che diciamo” (Bettoni, 2006: 99). L’atto con il dire focalizza sull’effetto extralinguistico (convincere, persuadere, allarmare, o ad esempio rassicurare) che l‘enunciato provoca. Riferisce, in altre parole all’atto perlocutorio (Sbisà 1999: 69). I tre tipi di atti, dunque, non vanno visti come fenomeni separati, ma piuttosto come tre dimensioni presenti in ogni atto linguistico compiuto.

Ci sono atti linguistici di vario tipo. Una classificazione ben conosciuta è quella di Austin (1962) in cui si distingue le seguenti cinque categorie di atti linguistici diversi:

 Gli atti verdittivi, che “involve the giving of a verdict or judgement (i.e. acquit, convict, diagnose)”.

 Gli esercitivi, che riferiscono “to the exercising of power, right or influence (i.e. appoint, order, name)”.

 I commissivi, che “are illocutionary acts that entail the assuming of obligation or the giving of an undertaking (i.e. promise, agree, bet)”.

 Le espressioni di comportamento che “relate to the adopting of an attitude (i.e. apologise, compliment, welcome)”.

 Gli espositivi. Questi atti linguistici “acts address the clarifying of reasons, arguments and expounding of views (i.e. deny, inform, concede).”

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Searle (1976), dall’altro canto, propone una tassonomia degli atti linguistici che consiste di rappresentativi, direttivi, commissivi, espressivi e dichiarativi. Secondo questa teoria l’atto linguistico della protesta consisterebbe di un espressivo ed un direttivo:

 Gli espressivi hanno l’obiettivo di “expressing the speaker’s psychological state of mind about, or attitude towards, some prior action or state of affairs” (Martínez-Flor & Usó-Juan, 2010: 7-8).

 I direttivi “refer to acts in which the speaker’s purpose is to get the hearer to commit himself to some future course of action” (Martínez-Flor & Usó-Juan, 2010: 7).

Questi due atti illocutori si distinguono anche l’uno dall’altro per lo scopo:

 Gli espressivi: lo scopo illocutorio di questi atti coincide con l’espressione dello stato psicologico relativo al contenuto proposizionale. La direzione di adattamento parole-mondo non è qui pertinente, perché eseguendo un atto espressivo viene data per scontata la verità del contenuto espresso. Così nel dire “Mi congratulo per la vittoria” è presupposto che l’interlocutore abbia vinto qualcosa. Sono esponenti di questa classe atti quali ringraziare, congratularsi, dolersi, deplorare, scusarsi (Bertucelli-Papi, 1993: 36).

 I direttivi: il loro scopo illocutorio consiste nel fare qualcosa all’interlocutore. Il vettore di adattamento è orientato nel senso mondo-parole e la condizione di sincerità è il volere. Il contenuto di un atto direttivo è sempre un’azione futura. Appartengono a questa classe atti come comando, la richiesta, la domanda, l’invito e il consiglio (Bertucelli-Papi, 1993: 36).

Per quel che riguarda i vari tipi di atti linguistici, si precisa che il contesto, nel quale l’enunciato viene espresso, determina tale tipo di atto. Fattori importanti nel processo sono l’interlocutore – è uno sconosciuto oppure no –, la relazione fra il parlante e l’interlocutore, e la situazione in cui la conversazione ha luogo. La frase “Dammi il libro”, enunciata da un insegnante e riferito a uno studente, potrebbe essere interpretata come ordine. La medesima frase, detta da una madre a suo figlio, potrebbe essere anche interpretata come richiesta diretta. Un singolo enunciato, in altre parole, può avere scopi linguistici diversi in contesti diversi, ovvero “forme linguistiche diverse possono veicolare lo stesso atto linguistico, così con una stessa forma linguistica possiamo compiere atti linguistici diversi” (Bettoni, 2006: 78). Vediamo la seguente frase “è uscito il sole”, di tipo dichiarativo. La funzione dell’enunciato espressa può facilmente cambiare l’intenzione della frase prodotta:

Funzione Frase Intenzione

fàtica “è uscito il sole” Come si sta bene, vero?

invito “è uscito il sole” Andiamo a fare il bagno?

giustificazione “è uscito il sole” Fa troppo caldo, non vengo a

pescare

recriminazione “è uscito il sole” Te l’avevo detto che

dovevamo portare l’ombrellone

ordine “è uscito il sole” Mettiti la crema!

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Tabella 1.1 dunque, mostra che l’intenzione di una frase come “è uscito il sole” dipende dalla funzione dell’enunciato espresso.

1.2. Il Face Threatening Act

La teoria della faccia risale dagli anni sessanta (Goffman 1967). Alcuni studiosi intendono per faccia “the public-self-image that every member wants to claim for himself, consisting in two related aspects” (Brown & Levinson 1988: 66). Altri, invece, vedono il concetto come “l’insieme della propria stima di sè, della propria reputazione, dell’immagine pubblica, emotiva e sociale che ognuno ha di sè, e che vorremmo al minimo proteggere dal danno, al massimo potenziare” (Bettoni, 2006: 81). La faccia consisterebbe di due componenti: la faccia negativa e quella positiva. La prima riferisce al “bisogno di essere liberi da imposizioni”, mentre per faccia positiva si intende “il bisogno di essere accettati e di piacere” (Bettoni, 2006: 81).

La protesta va considerata un face threatening act perché questo potrebbe costituire una minaccia per la faccia positiva e/o negativa sia del parlante che quella dell’interlocutore. Nell’esprimere la prostesta nel modo più efficace senza minacciare troppo la sua faccia e quella dell’interlocutore, il parlante può fare uso di una delle seguenti strategie (Barron, 2003):

 Compiere l’atto esplicitamente senza azione rimediale. Il parlante sceglie di utilizzare questa strategia quando “it is clear to participants what communicative intention led the actor to do A” (Brown & Levinson, 1988: 73-74).

 Compiere l’atto esplicitamente con un’azione rimediale di cortesia positiva. Questa strategia si focalizza sulla faccia positiva dell’interlocutore. Il parlante desidera ottenere lo stesso scopo dell’interlocutore e per questo cerca di essere gentile e di trattare l’interlocutore con rispetto (Brown & Levinson 1988).

 Compiere l’atto esplicitamente con un’azione rimediale di cortesia negativa. Si focalizza sulla faccia negativa dell’interlocutore ciò significa che il parlante “recognizes and respects the addressee’s negative-face wants and will not (or will only minimally) interfere with the addressee’s freedom of action” (Brown & Levinson, 1988: 75).

 Compiere l’atto implicitamente. Se il parlante decide di utilizzare questa strategia “then there is more than one unambiguously attributable intention so that the actor cannot be held to have commited himself to one particular intent” (Brown & Levinson, 1988: 74).

 Non compiere l’atto. Questa strategia viene solamente scelta quando la realizzazione del determinato atto linguistico viene considerata come troppo face-threatening (Barron 2003).

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Nella seguente figura (1.1), le cinque strategie sono illustrate schematicamente:

minore

stima del esplicitamente senza azione rimediale

rischio di Compi l’atto

perdita implicitamente con azione rimediale

della faccia Non compiere l’atto

di cortesia positiva

maggiore di cortesia negativa

figura 1.1: Le cinque strategie di Brown & Levinson (Bettoni, 2006: 152)

La strategia scelta dal parlante non dipende solamente dalla stima del rischio di perdere la faccia ma anche da alcuni fattori contestuali (Brown & Levinson 1988), ovvero:

 la distanza sociale

 il potere relativo

 il grado di imposizione

Per distanza sociale si intende la distanza tra gli interlocutori, in quanto sono confidenti l’uno con l’altro. Il fattore del potere relativo ha a che fare con lo status degli interlocutori, cioè chi di essi ha più potere e quindi se riesce ad imporre i propri piani sull’altro. L’ultimo fattore, il grado di imposizione, è il legame tra costo e benificio che la realizzazione dell’atto linguistico rappresenta per gli interlocutori.

Come si può immaginare, questi tre fattori prendono un ruolo importante nel processo della scelta dei modificatori appropriati per quel contesto specifico. Un processo che potrebbe causare difficoltà per chi sta parlando in una L2.

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1.3. L’atto della protesta

Per protesta si intende:

“in the speech act of complaining the speaker (S) expresses displeasure or annoyance as a reaction to a past or on-going action, the consequences of which affect the S unfavorably. This complaint is addressed to the hearer (H), whom the speaker holds responsible for the offensive action” (Olshtain & Weinbach citato da Trenchs, 1994: 271).

Normalmente uno decide soltanto di esprimere una protesta se le seguenti quattro condizioni sono presenti (Olshtain & Weinbach 1993):

 “Il destinatario della protesta (D) compie un atto inaccettabile, contrario al codice comportamentale condiviso con l’autore della protesta (A)”.

 “A ritiene che il comportamento di D comporti conseguenze negative per sé o per altri”.

 “L’espressione verbale di A si riferisce direttamente o indirettamente al comportamento inaccettabile e ha quindi la forza illocutoria della censura”.

 “A ritiene che il comportamento inaccettabile di D lo legittimi a chiedere una riparazione” (Bettoni, 2006: 112).

Di queste quattro condizioni descritte, la prima e la seconda formano l’introduzione della protesta, mentre la terza e la quarta costituiscono l’effettiva protesta. Secondo George (1990) il destinatario può reagire nei seguenti modi:

 Nel primo caso il destinatario esprime il direttivo senza che menziona l’espressione della critica.

 Il destinatario potrebbe anche accettare l’espressivo e poi esprime il direttivo.

 Un’altra reazione potrebbe essere che il destinatario mette in dubbio l’espressivo e poi non esprime il direttivo.

 L’ultima reazione del destinatario potrebbe essere che esso rifiuta il direttivo quando menziona l’espressione della protesta.

Sembra chiaro che, di queste quattro reazioni, la prima è il più facile da risolvere, mentre nelle altre situazioni si potrebbe – o addirittura dovrebbe – negoziare prima di raggiungere una risoluzione della protesta (Bettoni 2006).

Riassumiamo il paragrafo dicendo che per la realizzazione dell’atto della protesta sono indispensabili i seguenti quattro componenti: un parlante, che enuncia la protesta facendo uso di un atto espressivo ed un atto direttivo; un destinatario che reagisce alla protesta espressa nel suo confronto; una fase facoltativa di negoziazione fra gli interlocutori; ed infine una

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risoluzione positva o negativa (Bettoni 2006). Il lettore attento osserva che solo il terzo componente è di carattere facoltativo. Gli altri sono obbligatori, anche se possono rimanere impliciti.

1.4. I modificatori

I modificatori possono essere usati per mitigare oppure rafforzare il Face Threatening Act. Nel momento in cui un parlante compie un atto linguistico potrebbe decidere di farlo senza l’aiuto di alcun modificatore. Ciò, probabilmente, avrebbe un effetto negativo sulla propria faccia. Se, invece, decide di impiegare i modificatori, avrà non solo più possibilità di salvare la faccia, ma potrà pure gratificare la faccia del suo interlocutore.

Ci sono due tipi di modificatori: interni, che vengono utilizzati all’interno dell’atto principale, ed esterni, che vanno intesi come mosse di supporto al di fuori dell’atto principale e che hanno la funzione di giustificare il diritto alla richiesta da parte del parlante (Bettoni 2006). I modificatori interni consistono, inoltre, di varianti lessicali/discorsivi e varianti morfosintattici (Trosborg 1995). Nella presente ricerca analizziamo solo una parte di tutti questi tipi e sottotipi di modificatori. La scelta di creare una tipologia deriva dalla necessità di far emergere più chiaramente, nelle conversazioni degli informanti, le differenze di ampiezza nel repertorio dei modificatori.

Per la classificazione dei modificatori interni ed esterni ci basiamo sugli studi di Barron (2003); basati a sua volta sugli studi di Blum-Kulka et alii (1989) e Trosborg (1995). Le tabelle 1.2 e 1.3 elencano i modificatori interni ed esterni che saranno trattati nella nostra indagine:

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14 Modificatore interno

Lessicale e discorsivo

Marca di cortesia Per favore

Soggettivizzatore Ho paura, penso, mi

domando, secondo me

Attenuatore Un po’

Hedge In qualche modo, una specie

di

Riempitivo Vedi, ecco, praticamente

Blanditore Sarebbe bello se

Downtoner Forse, magari, possibilmente

Richiesta di accordo Non pensi?, ...,vero?, ...,no?

Fatismo Sai,...

Rafforzatore davvero

Intensificatore Molto, troppo

Modificatore interno morfosintattico

Condizionale Daresti?

Aspetto + gerundio Mi stavo domandano

Imperfetto Mi domandavo

Verbo modale Posso?

Congiuntivo Se fosse vero

Incassatura Che ne diresti di...

Formula condizionale È possibile

tabella 1.2: Tipologia dei modificatori interni considerati per l’analisi

Modificatore esterno Appello (Mi) scusi, buongiorno signora

Preparatore Ho paura che ormai si è fatto tardi; mi daresti un passaggio alla stazione?

Giustificatore Ti dispiace pagarmi il caffè oggi? Non trovo il portamonete, l’avrò dimenticato a casa sul tavolo

Garanzia Mi presti la bici per stasera?

Domani te la riporto.

Rabbonitore So che per te non è facile,

ma... tabella 1.3: Tipologia dei modificatori esterni considerati per l’analisi

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2. L’apprendimento di una seconda lingua

Il presente capitolo tratta l’argomento dell’apprendimento di una seconda lingua ed in particolare teorie sull’italiano L2. Saranno, inoltre, date delle informazioni sul concetto dell’interlingua, l’influsso che una L1 – da punto di vista linguistico e pragmatico – potrebbe avere sulla L2, il concetto di transfer e l’acquisizione degli atti linguistici e dei modificatori.

2.1. L’acquisizione degli speech acts in L2

Gli atti linguistici ed in particolare la loro formulazione in L2 sono stati trattati in diversi studi (Ellis 1992; Barron 2003). Da un punto di vista pragmatico, esprimere un atto linguistico in una seconda lingua implica stare attenti al grado di appropriatezza dell’enunciato, per quel che riguarda la situazione in cui viene espresso, ed al grado di cortesia. Secondo Blum-Kulka (1982) l’interlingua sviluppata da un apprendente L2 converge sia dalla lingua materna che dalla L2. Questo vale per le forme linguistiche, la procedura e le strategie scelte. Un apprendente, in altre parole, farebbe uso di una competenza pragmatica che non riferisce a nessuna delle due lingue in particolare1. “Learners will transfer their speech act knowledge and expect to find equivalent grammatical means and pragmatic rules in the L2, but they may misuse the L2 structures” (Koike, 1989: 279). Per questo motivo è importante che l’apprendente prenda coscienza di come e quando può applicare concetti di cortesia e strategie linguistiche della L1 in modo appropriato nella L2.

2.2. L’acquisizione dei modificatori in L2

L’acquisizione dei modificatori in una seconda lingua richiede una buona padronanza delle forme grammaticali, lessicali e la conoscenza del valore pragmalinguistico e sociopragmatico. Non disporre di questi requisiti significa non essere in grado di servirsi dei vari modificatori interni ed esterni in modo appropriato.

Alcuni studi sull’apprendimento dei modificatori in L2 hanno mostrato che un apprendente tende a utilizzarli diversamente da un parlante nativo. Prima di tutto un parlante non nativo di livello linguistico principale tende a impiegare pochi modificatori. Ciò vale sia per quelli

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Per competenza pragmatica si intende la conoscenza e l’uso delle regole di appropriatezza e di cortesia che indicano come un parlante capisce e produce un atto linguistico (Koike 1989).

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interni che quelli esterni (Ellis 1992; Trosborg 1995; Rose 2000). Questo fenomeno, anche chiamato ‘waffle phenomenon’, viene soprattutto applicato da chi si trova al livello linguistico intermedio-progredito (Nguyen 2008; Ellis 1994). Ragione per tale comportamento sarebbe il desiderio del “andare al sicuro” mediante la formulazione del significato preposizionale e pragmatico il più trasparente possibile (Nguyen 2008). Notevole, però, è che quando il livello di padronanza linguistica di un apprendente si sviluppa, si nota un aumento dell’uso dei modificatori interni (Trosborg 1987, 1995). Basandoci alla letteratura, possiamo supporre che l’uso dei modificatori esterni risulta meno frequente dagli apprendenti di livello linguistico principale, si nota un uso più elevato ai livelli intermedi ed avanzato (Ellis 1992). Per quel che riguarda i modificatori interni morfosintattici, risulta che all’interno della categoria dei modificatori interni l’apprendimento dei modificatori morfosintattici si rivela precoce. Una ragione per questo fenomeno potrebbe essere l’alta frequenza di formule fisse come “vorrei” e “mi potresti?” (Barron 2003).

Trovandosi a un livello linguistico intermedio o progredito, la maggior parte degli apprendenti sottoutilizza i modificatori interni (Nguyen 2008). Una ragione plausibile per tale fenomeno sarebbe che essi generalmente ‘contribute only minimal propositional meaning to the speech act’ (Nguyen, 2008: 769). Va, inoltre, preso in considerazione il fatto che la struttura dell’atto linguistico diventa più complessa se si aggiunge un tale modificatore, ciò che richiede un livello linguistico intermedio o avanzato per il suo uso corretto. Per motivi di pressione comunicativa e trovandosi a un livello linguistico basso, un apprendente – senza essersi conscio – potrebbe sentirsi “costretto” di scegliere una strategia che sottolinea più la chiarezza dell’enunciato che il modo in cui questo enunciato viene espresso (Nguyen 2008).

Gli apprendenti che si trovano a un livello avanzato, dall’altro canto, tendono a applicare i modificatori esterni eccessivamente. In questo caso gli atti linguistici espressi dal parlante non nativo diventano troppo verbosi (Nguyen 2008).

2.3. L’influenza della L1

Una lingua materna può facilitare oppure ostacolare l’acquisizione di una nuova lingua “in quanto l’impiego adeguato dei modificatori in L2 è governato da regole d’uso che in parte coincidono ed in parte differiscono dalle regole della L1” (Vedder, 2008: 107). Detto diversamente:

(17)

17 “tutti gli individui, chi più chi meno, fanno ricorso alla loro prima lingua (o

alle loro prime lingue), quando ne apprendono una nuova e di questo sono ben consapevoli” (Pallotti, 2006: 64).

La L1 o le madre lingue, dunque, sono di grande importanza per l’apprendimento di una seconda lingua. L’influsso della L1 avviene in tutti gli stadi dell’acquisizione ed a tutti i livelli del linguaggio. A livello fonologico si nota, ad esempio, che un parlante non nativo mantiene un accento straniero. A livello sintattico, dall’altro canto, sono comuni gli errori dell’ordine delle parole. L’influenza linguistica si presenta con più frequenza se la convergenza lessicale, grammaticale e sintattica fra la L1 e la L2 sia maggiore. In questo caso l’apprendimento della L2 viene facilitato dalla convergenza tipologica fra le due lingue. Si pensa, ad esempio, ai parlanti nativi dello spagnolo che imparano la lingua italiana come L2. La lingua materna, quindi, può essere un punto di partenza che aiuta e guida l’apprendente nell’acquisizione della L2. Non toglie, però, che certi elementi presenti nella lingua materna non sono trasferibili alla L2.

“il transfer possa verificarsi se e solo se esiste già nell’input della L2 il potenziale per delle (sovra-)generalizzazioni, cioè solo quando certi aspetti della L1 possono essere trasferiti in qualche parte della L2 che si presti a ciò” (Pallotti, 2006: 70).

Per un parlante nativo dell’olandese, ad esempio, la somiglianza d’uso del verbo olandese

kunnen, come nella frase (Kan ik met mijn creditcard betalen?) ed il suo equivalente italiano potere (Posso pagare con la carta di credito?), gli facilita l’apprendimento della L2 (Vedder,

2008: 107). Le costruzioni italiane che, invece, contengono un verbo al modo condizionale gli costeranno uno sforzo più grande, perché tali costruzioni sono “sentite come piuttosto marcate” (Vedder, 2008: 107). La stessa cosa vale per le costruzioni che consistono di un verbo all’imperfetto. Per motivo di valore congruente nelle due lingue, i parlanti nativi dell’olandese tendono a evitare espressioni che contengono un verbo al condizionale – con eccezione di vorrei – o all’imperfetto.

Tutti questi concetti sono forme di transfer. Ci sono diversi tipi di transfer come quello linguistico, quello pragmalinguistico e quello sociopragmatico. Nel seguente paragrafo si tratta l’influenza del transfer pragmalinguistico e la positive correlation hypothesis.

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18

2.3.1. Il transfer pragmatico

La padronanza linguistica della L2 influenzerebbe il grado di transfer pragmatico dalla L1 sulla L2. Con il termine ‘transfer pragmatico’ si intende:

“il transferimento di norme socio-pragmatiche dalla prima alla seconda lingua induce il parlante ad agire in accordo con le norme sociali tipiche della lingua/cultura di provenienza, che possono risultare in conflitto – o quanto meno non coincidenti – con quelle della lingua/cultura di arrivo” (Nuzzo, 2012: 27).

Secondo la positive correlation hypothesis (Takahashi & Beebe in Kasper & Rose 2002) negli enunciati di un apprendente iniziale di una L2 ci sono più tracce di transfer pragmatico che nella lingua prodotta da un apprendente avanzato. Una ragione per questa divergenza sarebbe il fatto che solo a un livello linguistico avanzato l’apprendente L2 dispone di una padronanza linguistica talmente sviluppata che gli permette di esprimersi liberamente nella L2, così come l’avrebbe fatto nella sua L1. In questo caso il transfer negativo va visto come il risultato di un’insufficienza di conoscenze pragmalinguistiche e sociopragmatiche.

Si parla di transfer negativo quando la L1 e la L2 non si sommigliano e l’apprendente, proprio per questa ragione, potrebbe avere dei problemi riguardo l’apprendimento della seconda lingua. Pensiamo all’italiano ed il tedesco. Il transfer può anche risultare positivo quando la L1 e la L2 sono tipologicamente più simili e perciò aiuta l’apprendente ad imparare la nuova lingua, come lo spagnolo e l’italiano. Una prova per questa ipotesi si trova in uno studio di Cohen (1997). Lo studioso ha provato a applicare le massime di quantità e di modo di Grice (1975) comuni per la cultura statunitense al giapponese, che stava imparando in quel momento. Nonostante vari tentativi, la sua conoscenza basica della seconda lingua non gli ha permessodi violare queste massime di Grice2.

Secondo Maeshiba ed altri (1996), invece, la positive correlation hypothesis non è giusta. Essi sono del parere che il grado di transfer pragmatico diminuisce man mano che la padronanza della L2 si sviluppa di più. Durante questo processo si nota una generalizzazione sempre più estensiva della lingua seconda (Barron, 2003: 47).

Gli studi sull’argomento fatti finora, però, non ci permettono di avere un quadro chiaro del rapporto tra livello di competenza pragmatica e l’incidenza del transfer (Nuzzo 2012).

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2.4. L’interlingua

Durante l’apprendimento di una L2, la lingua parlata da un apprendente viene considerata un’interlingua perché è una lingua in continua evoluzione verso la L2. L’interlingua si svilupperà tramite una serie di stadi che sono generalmente comuni a tutti gli apprendenti (Selinker 1992). L’interlingua, dunque, si evolve man mano che l’apprendimento avanza3

.

In uno stadio iniziale questa lingua consiste generalmente di

“forme della negoziazione, forme di saluto e di commiato, di ringraziamento, e altre espressioni frequenti e comunicativamente rilevanti, di solito apprese come formule non analizzate o routine, e naturalmente nomi di persone e di luogo” (Pallotti, 2006: 25).

La seguente tabella mostra forme ed espressioni d’uso frequente dell’interlingua iniziale di apprendenti dell’italiano L2:

Parole e formule per la gestione della conversazione

 Hai capito?

 Non capisco, come?  no

 sì

Parole a alto grado di generalità  questo

 così  fare  qui  là  buono

Alcuni pronomi personali  io

 tu  lui/lei

Formule rituali di cortesia  grazie

 scusa  per favore

Formule rituali di saluto  ciao

 buongiorno  arrivederci

tabella 2.1: Alcuni esempi di parole e formule presenti nell’interlingua iniziale degli apprendenti L2 dell’italiano (Pallotti, 2006: 25)

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Oltre alle parole e formule presentate in questo schema, gli apprendenti di una seconda lingua tendono a acquisire per prima parole legate al proprio universo di esperienza. Esse gli permettono di parlare di argomenti quotidiani come il lavoro oppure lo studio. In questa prima fase, anche chiamata fase basica, si nota che gli enunciati prodotti dall’apprendente sono brevi ed elementari e spesso “ruotanti attorno di parole-chiave” (Chini, 2005: 81). La struttura degli enunciati è di tipo nominale, ciò significa che questa lingua è priva di verbi ed “è dettata da criteri pragmatici” (Chini, 2005: 81). Il lessico, dall’altro canto, è limitato e contiene alcune parole piene e pochi elementi funzionali (Chini 2005). Si nota, inoltre, che gli apprendenti, in questa fase iniziale, utilizzano certe formule o routine nel loro vocabolario che “esibiscono tratti di complessità maggiore della singola parola, ma sono usate come uno solo unità, non analizzate nelle sue parti costitutive” (Chini, 2005: 82). Un esempio dato da Chini (2005) è la frase “non lo so”, in cui lo clitico “lo” è inanalizzato (Chini, 2005: 82).

Nella seconda fase basica, anche chiamata basic variety (Klein & Perdue 1992) si nota che l’apprendente è comunicativamente già più autonomo. Il suo lessico è più ricco e le parole-contenuto gli permettono di farsi comprendere in modo soddisfacente. Il suo stile, però, è ancora di tipo telegrafico (Chini 2005). Usa più frequentemente il verbo come nucleo della frase, “pur in una forma non finita nella quale restano inespressi morfologicamente molti tratti” come il tempo, il modo e la persona (Chini, 2005: 83). In generale si può dire che gli apprendenti che si trovano in questa fase riescono a governare l’organizzazione degli enunciati in un modo pragmatico come gli apprendenti nella fase basica, “ma pure semantico e sono comuni a varie L2, indipendenti da L1” (Chini, 2005: 84).

L’apprendente che ragiunge un livello ancora più alto, si trova in una fase postbasica. Questa fase, che può essere suddivisi in una varietà intermedio, una varietà avanzata ed una varietà quasi-native. La struttura degli enunciati di un apprendente si vicinano molto a quella prevista nella varietà d’arrivo e contengono verbi coniugati, forme finiti “ed elementi funzionali il cui uso è gorvernato da regole sintattiche specifiche di L2” (Chini, 2005: 85). La morfologia diventa più complessa ed al livello sintattico compaiono le prime subordinate (Chini 2005). Nella varietà intermedio si nota che sia la morfologia che le subordinate compaiono in una maniera più sistematico. Alla varietà avanzata, la morfosintassi viene utilizzata in modo corretta, mentre quando l’apprendente si trova nella varietà quasi-native, e “poco distinguibile da quelle native, dove lessico e grammatica sono senza errori, ma le intuizioni grammaticali e l’organizzazione del discorso sono talora difformi rispetto al modello nativo di L2” (Chini, 2005: 87).

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3. Impostazione della ricerca

In questo capitolo presentiamo le ipotesi e le domande di ricerca. Come descritto nell’introduzione i dati che verrano analizzati nel quarto capitolo, sono stati raccolti tramite la registrazione di un numero di conversazioni. Il presente capitolo tratta i role play scelti per fare l’indagine ed alcune caratteristiche individuali dei partecipanti. Sarà anche descritto il C-test usato per stabilire il livello linguistico dei singoli apprendenti.

3.1. Domande ed ipotesi

L’obiettivo dell’indagine è scoprire se il livello di apprendimento dell’italiano L2 influisce la scelta dei vari tipi di modificatori in una protesta espressa in italiano L2. Oltre a questa analisi, si esamina, se certi modificatori vengono impiegati di più rispetto ad altri. Per rispondere alla domanda si farà un’analisi dell’uso dei modificatori utilizzati nelle proteste. Dopodicché si esamina se il livello linguistico di un apprendente influenza la scelta del modificatore nell’enunciazione di una protesta. Infine si tratta l’influsso del grado di imposizione nei quattro role play. Facendo queste analisi si cerca di rispondere alla domanda principale:

 C’è una connessione fra il livello di apprendimento dell’italiano L2 e le caratteristiche dell’uso dei vari modificatori nell’enunciazione di una protesta in questa lingua?

Per l’analisi dell’uso dei modificatori scelti dal gruppo di apprendenti dell’italiano L2, sono state formulate le seguenti sottodomande:

1. Quali modificatori interni ed esterni vengono usati dagli informanti? Ci sono

modificatori che occorrono di più rispetto a altri?

2. C’è una relazione fra i modificatori scelti dai partecipanti ed i risultati del C-test? 3. Il grado di imposizione influenza il tipo di modificatore utilizzato dagli apprendenti?

Gli studi di Ellis (1992), Trosborg (1987, 1995), Rose (2000) e Barron (2003) servono per trovare una risposta alle prime due sottodomande. Si presume che gli apprendenti di livello linguistico principale e basso-intermedio utilizzeranno meno modificatori interni. Partendo

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dal presupposto che con l’innalzamento del livello di padronanza linguistica della L2 aumenta l’uso dei modificatori interni, supponiamo che i partecipanti di livello linguistico avanzato usano i modificatori interni con più frequenza. In generale si presume che i modificatori interni di tipo morfosintattico verranno impiegati di più da tutti gli apprendenti, grazie all’alta frequenza di formule fisse nelle routine pragmatiche. L’ultima ipotesi riguarda l’uso dei modificatori esterni. Di questo tipo di modificatore si suppone che gli apprendenti di livello linguistico basso li usano meno, mentre dai partecipanti dei livelli intermedi ed avanzato si assume di notare un uso magiore. Per misurare se il grado di imposizione influisce il tipo di modificatore scelto dagli apprendenti si analizza quali modificatori vengono usati nei quattro role play.

3.2. Partecipanti e questionario

Gli apprendenti che partecipano a questa ricerca studiano l’italiano presso due Università popolari diverse. Quattordici persone sono iscritte all’Università popolare di ‘s-Hertogenbosch, mentre quattro seguono un corso all’Università popolare di Eindhoven. Tutti sono parlanti nativi dell’olandese. I diciotto partecipanti sono, inoltre, iscritti a tre corsi diversi e frequentano, per almeno 1 anno, un corso d’italiano. Dieci apprendenti su diciotto sono iscritti a un corso di conversazione, tra di cui sei a ‘s-Hertogenbosch e quattro a Eindhoven. Per quel che riguarda gli altri informanti dell’Università popolare di ‘s-Hertogenbosch, due frequentano un corso di grammatica italiana al livello intermedio, mentre gli altri sei sono iscritti ad un corso che si trova ad un livello fra quello principante ed intermedio. Infine ci sembra importante indicare che quattro partecipanti su diciotto partecipanti sono di genere maschile, mentre le altre sono di genere femminile. Gli studenti si trovano in una fascia d’età fra il 33 ed il 80 anni. La seguente tabella mostra l’Università popolare ed il corso a cui i partecipanti sono iscritti.

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23 Università popolare N°. di partecipanti del corso di conversazione N°. di partecipanti del corso al livello intermedio N°. di partecipanti del corso principiante intermedio Genere maschile Genere femminile Totale partecipanti ’s- Hertogenbosch 6 2 6 3 11 14 Eindhoven 4 - - 1 3 4

tabella 3.1: Dati personali dei partecipanti

Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario (si veda allegato I) per sapere di più sul loro background. Il questionario contiene in totale otto domande che servono per sapere da quanti anni seguono un corso d’italiano ed in quali luoghi e modi hanno imparato la lingua. Gli è anche stato chiesto se usano la lingua italiana fuori dal corso e se sì, con chi hanno la possibilità di parlarla. Gli unici dati presi in considerazione per la presente ricerca sono la loro età e gli anni che seguono lezioni d’italiano, ciò viene mostrata nella seguente tabella. Dato che le conversazioni sono state fatte in coppie, la tabella mostra anche il numero della coppia di conversazione a cui gli apprendenti hanno partecipato.

tabella 3.2: dati personali degli apprendenti

Partecipante Età Nᵒ di anni che segue

lezioni d’italiano Gruppo di conversazione Suzanne 74 4 1 Mark 66 1 1 Anton 83 56 2 Francien 73 2 2 Liza 49 4 3 Fiona 68 2 3 Valerie 65 4 4 Monique 70 3 4 Sofie 65 2 5 Elizabeth 69 7 5 Luuk 63 4 6 Veronique 71 8 6 Irma 65 11 7 Geertruida 48 25 7 Marie 80 43 8 Marta 68 40 8 Jan 68 10 9 Sarah 33 10 9 Nᵒ. = numero

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Come illustrata dalla tabella si vede – oltre al nome immaginario del partecipante – chi è stato il suo partner nei dialoghi, la sua età, ed il numero di anni che studia l’italiano. Sette dei diciotto partecipanti hanno indicato di imparare l’italiano da almeno dieci anni. Uno di essi, Anton, lo studia addirittura da 56 anni. Ha 83 anni e ha cominciato di studiare la lingua italiana durante un soggiorno a Roma nel 1960.

3.3. Registrazioni e trascrizioni

Per la raccolta dei dati è stato deciso di impiegare un totale di quattro role play per scoprire quali modificatori interni ed esterni vengono utilizzati dagli apprendenti. Come spiegato da Nuzzo:

“I role plays sono simulazioni di scambi comunicativi in cui due o più interlocutori assumono certi ruoli definiti in base a condizioni sperimentali predeterminate” (Nuzzo, 2012: 21).

Si posono dividere i role play in due tipi, quelli ‘chiusi’ e quelli ‘aperti’. Nel primo caso, il parlante reagisce a uno stimolo, ossia “una situazione che viene presentata dal ricercatrice, senza ricevere risposta dall’interlocutore” (Nuzzo, 2012: 21). Nel caso di un role play aperto, entrambi gli informanti partecipano alla conversazione e continuano finché “le due parti raggiungono quella che essi ritengono sia la conclusione dello scambio” (Nuzzo, 2012: 21). Il ricercatore crea la simulazione del role play che però, non ha nessuna conseguenza per i partecipanti e per la loro vita reale (Kasper 2000; Nuzzo 2012). Per la presente ricerca sono stati utilizzati i role play ‘aperti’, che si distinguono fra di loro per il grado di imposizione, di cui si parla nel paragrafo 3.4.. Prima di cominciare le registrazioni delle conversazioni i diciotto partecipanti sono state divise in nove coppie.

Dopo aver registrato le conversazioni, esse sono state trascritte ed analizzate facendo uso del sistema di Jefferson (si veda allegato IV). In questa ricerca si focalizza sui modificatori usati nelle varie conversazioni. Questi risultati sono stati combinati con quelli del C-test per fornire un’idea più chiaro della coerenza fra il livello linguistico dei singoli partecipanti ed i tipi di modifcatori da essi usati.

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3.4. C-test e role play

Dato che per la risposta alla domanda principale ci sembra importante avere informazioni sulla padronanza linguistica individuale dei partecipanti, abbiamo deciso di somministrare un C-test4. Il test consiste di cinque brevi testi, nei quali sono state cancellate sempre più o meno venti parole. Di ciascuna parola solo la prima o le prime lettere sono dati. I partecipanti, quindi, devono compilare 100 parole. Per ogni risposta giusta gli viene assegnato un punto. Nel caso l’apprendente compila la parola giusta, ma dimentica per esempio di mettere l’accento, gli viene comunque assegnato il punto. Gli apprendenti possono, dunque, ottenere un massimo di 100 punti = livello avanzato. La seguente tabella mostra i risultati del C-test ottenuti dagli apprendenti.

tabella 3.3: I risultati del C-test

Partecipante Nᵒ di anni che segue

lezioni d’italiano Punteggio Suzanne 4 76 Mark 1 51 Anton 56 82 Francien 2 48 Liza 4 52 Fiona 2 81 Valerie 4 69 Monique 3 45 Sofie 2 67 Elizabeth 7 2 Luuk 4 34 Veronique 8 51 Irma 11 79 Geertruida 25 71 Marie 43 70 Marta 40 93 Jan 10 92 Sarah 10 95 N°. = numero 4

Il C-test usato nella presente tesi è stato creato presso l’Università di Amsterdam da Ineke Vedder, Folkert Kuiken e Roger Gilabert per il progetto CALC – Communicative adequacy and linguistic complexity in L2 writing – nel 2010.

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Osservando la tabella, si nota che il punteggio ottenuto dai partecipanti varia molto. Confrontando il punteggio ottenuto dal C-test con gli anni che gli apprendenti seguono un corso di italiano, si nota che i sette partecipanti che imparano l’italiano da almeno dieci anni hanno ottenuto il punteggio più alto, di cui Sarah ha il punteggio più alto in assoluto (95 punti). Interessante è, inoltre, che Sofie, anche se impara la lingua solo da due anni, ha un punteggio molto alto (67 punti). Ciò vale pure per Valeria, che dopo quattro anni di italiano riceve un totale di 69 punti per il C-test. Secondo Elizabeth il test sarebbe stato troppo difficile da compilare, cosicchè l’ha compilato solo parzialmente.

Per quel che riguarda le registrazioni è stato deciso di utilizzare i role play e non il Discourse

Completion Task (DCT). Nel DCT il partecipante viene chiesto di compilare una serie di

dialoghi scritti nei quali mancano turni di parola (Nuzzo 2012). Nel role play, invece, gli apprendenti sono chiesti di avere una conversazione. Come indicato in precendenza, questa ricerca si focalizza sulla lingua parlata, perciò ci è sembrato giusto scegliere i role play per l’analisi.

Tre su quattro role play scelti per l’indagine provengono da uno studio di Bettoni e Rubino (2006). Si tratta dei role play della musica rock, del posto al parcheggio e dell’incidente

stradale (si veda allegato III). Il primo role play, quella della piscina, dall’altro canto, è stato

creato dalla ricercatrice.

Va precisato che i role play sono stati tradotti in olandese per costringere gli informanti a formulare un proprio enunciato in italiano L2 senza poter usare o copiare le frasi scritte nella spiegazione del role play. Dando le istruzioni in olandese si facilità anche la comprensione del compito per i partecipanti con scarse conoscenze dell’italiano.

Qui sotto si presenta i role play utilizzati per la ricerca:

nel primo role play (la piscina) parlante A è in vacanza in Italia e si trova in piscina sdraiato su un lettino. Sta leggendo un bel libro. Nella piscina ci sono molti bambini che, insieme con suo genitore, stanno giocando un gioco con un pallone. Parlante A, che si è bagnato, cerca il contatto visivo con il genitore. Quando ad un certo punto il pallone lo bagna completamente decide di rivolgersi al genitore (= il parlante B).

nel secondo role play (musica rock) parlante B piace a ascoltare la musica rock durante la sera, il che da fastidio al suo vicino di casa (= parlante A). Una sera il parlante A decide di suonare alla porta del suo nuovo vicino di casa (= parlante B).

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Nelle spiegazioni il parlante A ha il compito di esprimere il suo disappunto riguardo l’attegiamento del parlante B, mentre quest’ultimo ha il compito di reagire a quello che il parlante A gli dice.

nel terzo role play (il posto al parcheggio) parlante A si trova in macchina al parcheggio del supermercato che però è pieno. Dopo aver girato per un po’, vede che un posto si sta liberando. Parlante A aspetta che si liberi il posto, ma quando vuole parcheggiare la macchina il parlante B prende il posto. In quel momento il dialogo fra i due partecipanti comincia.

nel quarto role play (l’incidente stradale) parlante A si trova in maccchina per andare a un appuntamento molto importante. Quando arriva ad un incrocio, un altro conducente (= parlante B) non si ferma anche se il semaforo è rosso. Il semaforo del parlante A, invece, è verde. Nel dialogo il parlante A è chiesto di scendere dalla macchina è di rivolgersi al parlante B, che ha provocato l’incidente.

Anche il grado di imposizione presente nei quattro role play varia da un all’altro role play. Con imposizione si intende la difficoltà di risolvere l’atto linguistico, ovvero il rapporto fra costo e benificio. La protesta ha duplice forza illocutoria di criteria del comportamento inaccetabile e di richiesta di riparazione (Bettoni 2006). In questo caso “l’intensità della sua imposizione sul destinatario varia sia con la gravità del comportamento censurato, sia con il livello di difficoltà e impegno dell’azione richiesta come riparazione” (Bettoni, 2006: 119). Il livello assoluto di imposizione nei quattro role play, è alto (+Imposizione), anche se quest’ultimo fattore, come già nominato, pùo variare da scenetta a scenetta. Come si può immaginare, l’impatto dello scontro delle macchine nel role play dell’incidente stradale può essere più difficile da risolvere, rispetto all’impatto della scenetta della piscina, in cui il bagnante viene (soltanto) bagnato da un pallone. Come dice Bettoni:

“nel caso della protesta, che ha duplice forza illocutoria di critica del comportamento inaccettabile e di richiesta di riparazione, l’intensità della sua imposizione sul destinatario varia sia con la gravità del comportamento censurato, sia con il livello di difficoltà e impegno dell’azione richiesta come riparazione” (Bettoni, 2006: 119).

Per questa ragione è stato deciso di distinguere i quattro role play in base al loro grado di imposizione. Nel role play della piscina l’imposizione non è molto forte ed è stata indicata come (+Imposizione). Nella scenetta della musica rock il grado dell’imposizione aumenta

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rispetto alla scentetta della piscina (++Imposizione). Nel role play del posto al parcheggio, invece, il grado di imposizione aumenta ancora (+++Imposizione), mentre l’ultima scenetta dell’incidente stradale è probabilmente il role play in cui l’imposizione è invece molto forte (++++Imposizione).

Il grado di imposizione, quindi aumenta in ogni role play. La tabella 3.4 mostra il grado di imposizione presente nei quattro role play.

Role play La piscina + La musica rock ++ Il posto al parcheggio +++ L’incidente stradale ++++

tabella 3.4: Il grado di imposizione nei role play

Analizzando i risultati presenti nella tabella 3.4 si nota che i role play si distinguono per grado di imposizione. Si presume che il role play della piscina è quello più facile da risolvere, mentre per trovare una soluzione nel role play dell’incidente stradale il parlante deve stare molto attento a mantenere la faccia positiva (Brown & Levinson 1988).

3.5. Analisi

In questo paragrafo sono trattate le analisi dei dati ottenuti dalle registrazioni. Per poter analizzare l’uso dei vari modificatori, sono stati contati tutti i modificatori interni (lessicali/ discorsivi, e morfosintattici) ed esterni utilizzati da tutti gli apprendenti L2 nelle proteste. Analizzato quali modificatori sono stati usati da ogni singolo parlante. Come indicato nel paragrafo 1.4. si base la presente ricerca sulla classificazione dei modificatori interni ed esterni di Barron (2003), che a sua volta è basata su quella di Blum-Kulka et alii (1989) e Trosborg (1995). Per trovare una possibile correlazione fra il livello linguistico degli apprendenti e la scelta del modificatore sono stati utilizzati i risultati del C-test (si veda paragrafo 3.4.). Per rendere l’analisi della seconda sottodomanda più precisa, abbiamo deciso di suddividere i partecipanti in tre gruppi a seconda del livello linguistico a cui si trovano.

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Il primo gruppo è formato da apprendenti che si trovano a un livello linguistico basso (0-52 punti), mentre il secondo gruppo si trova a un livello linguistico intermedio (62-82 punti). Il terzo gruppo di partecipanti sono quelli che si trovano a un livello linguistico avanzato (92-100 punti). La tabella 4.3 nel quarto capitolo mostra la suddivisione dei partecipanti in tre gruppi a seconda del loro livello linguistico. I risultati del C-test sono trattati nel paragrafo 4.2. perché in quel paragrafo si analizza la relazione fra l’uso dei modificatori ed i risultati del C-test.

Il gruppo di livello più basso consiste di sette persone, il gruppo intermedio comprende otto persone ed il gruppo di livello avanzato consiste di tre persone. Inoltre, si nota che fra ogni livello linguistico c’è un margine di dieci punti, cosicché gli informanti possono essere divisi chiaramente fra vari livelli.

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4. Risultati

Il presente capitolo è dedicato all’esame dei dati indispensabili per la formulazione della risposta alla domanda centrale dell’indagine. Per consentire una maggiore comprensione dell’esistenza di una connessione fra il livello di apprendimento di italiano L2 e le caratteristiche dell’uso dei vari tipi di modificatori nell’enunciazione di una protesta, i risultati delle registrazioni saranno usati per rispondere alle seguenti tre sottodomande:

1. Quali modificatori interni ed esterni vengono usati dagli informanti? Ci sono modificatori che occorrono di più rispetto ad altri?

2. C’è una relazione fra i modificatori scelti dai partecipanti ed i risultati del C-test? 3. Il grado di imposizione influenza il tipo di modificatore utilizzato dagli apprendenti?

Esse saranno trattate in paragrafo 4.1., 4.2., e 4.3.. Va detto inoltre, che le sottodomande sono collegate fra di loro, visto che l’esito finale del primo paragrafo è pure importante per l’analisi e la risposta delle domande trattate nel secondo e nel terzo paragrafo. La conclusione del capitolo, a sua volta, va interpretata come il risultato relativo della nostra inchiesta di cui, però, parleremo nel capitolo conclusivo.

Tornando al presente capitolo sembra importante indicare che il paragrafo 4.1. tratterà sia l’uso complessivo dei modificatori interni ed esterni – ed i sottotipi – che l’uso dai singoli apprendenti. Obiettivo è, dunque, rintracciare quali modificatori vengono impiegati dagli informanti per quel che riguarda l’uso dei vari (tipi di) modificatori. Una volta stabilita tale uso, come anche l’uso complessivo dei modificatori interni ed esterni, questi dati saranno confrontati con l’esito del C-test, il quale avviene nel paragrafo 4.2.. Per consentire un’analisi chiara e dettagliata, è scelto di esaminare i dati attraverso una suddivisione dei partecipanti in tre livelli linguistici – ovvero il livello basso, intermedio ed avanzato – e di trattarli per role play. Il terzo ed ultimo paragrafo collega il grado di imposizione presente nei singoli role play con l’uso di modificatori di vario tipo, per verificare se c’è una relazione o meno fra tali fattori. Per questa analisi abbiamo scelto di analizzare la differenza d’uso dei modificatori fra il parlante A, cioè la persona che protesta, ed il parlante B, a cui la protesta è riferita. Basandoci alla letteratura, si presume che la persona che esprime la protesta (il parlante A) dovrebbe fare più mosse per arrivare a una conclusione, perciò si assume che il parlante A, rispetto al parlante B, utilizzerà più modificatori nei role play. Nel presente capitolo, ogni tabella contiene i risultati sia in numeri assolui che in percentuali.

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4.1. Uso dei modificatori

La risposta alla prima sottodomanda è basata sui dati raccolti tramite i role play registrati, ovvero le trascrizioni che sono state fatte in base ai dialoghi delle nove coppie di apprendenti che hanno partecipato alla ricerca. Il sottoparagrafo 4.1.1. è dedicato all’esaminazione del numero totale di modificatori usati dai partecipanti, mentre il sottoparagrafo 4.1.2. tratta i risultati – in numero assoluto e percentuale – dei singoli apprendenti.

4.1.1. Uso generale

Per dare un’idea dei modificatori interni ed esterni usati dai diciotto apprendenti, per l’analisi, è stato deciso di trattare i dati e risultati dei due tipi di modificatori, ossia quelli interni ed esterni separatamente. La seguente tabella mostra l’uso complessivo di tutti i partecipanti – sia in numeri assoluti che in percentuali – dei vari sottotipi dei modificatori interni.

tabella 4.1: Il resoconto generale dell’uso dei modificatori interni da tutti gli apprendenti

Lessicali/discorsivi Nᵒ. % Morfosintattici Nᵒ. %

Marca di cortesia 45 9,2% Condizionale 29 5,9%

Soggettivizzatore 19 3,8% Aspetto + gerundio 19 3,8%

Attenuatore 19 3,8% Imperfetto 29 5,9%

Hedge - - Verbo modale 111 22,6%

Riempitivo 3 0,6% Congiuntivo 1 0,2%

Blanditore - - Incassatura - -

Downtoner 22 4,4% Formula condizionale 14 2,8%

Richiesta di accordo - - Fatismo - - Rafforzatore 2 0,4% Intensificatore 103 21,0% N. totale di lessicali e discorsivi usati 213 N. totale dei morfosintattici usati 203 Nᵒ. = numero % = il percentuale

Guardando la tabella, emerge che alcuni tipi di modificatori lessicali/discorsivi, come l’hedge ed il fatismo, non appaiono in nessun dialogo. L’intensificatore, invece, risulta essere parte integrante della maggior parte degli dialoghi. Esempi trovati nella trascrizione sono “molto”, “troppo” e “più”. Gli apprendenti tendono, inoltre, a mitigare l’enunciato mediante l’uso della marca di cortesia. I lessicali/discorsivi che appaiono il più spesso sono “(mille) grazie” e “per

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favore”. I downtoner (“forse” e “magari”), i soggettivizzatori (“penso”), gli attenuatori (“un po’”), i riempitivi ed i rafforzatori sono stati scelti solo poche volte.

Per quel che riguarda i modificatori morfosintattici, dall’altro canto, si nota che solo un loro sottotipo, l’incassatura, non è stata scelto per esprimere la protesta. Dei modificatori morfosintattici, il verbo modale (“devo”, “posso”, “voglio” e “vuole”) compare il più frequentemente nelle registrazioni. Anche il condizionale viene impiegato spesso. Bisogna, però, dire che la scelta della forma “vorrei” è di alta frequenza. Anche se questa forma del condizionale viene acquisito in uno stadio precoce dell’apprendimento come formula fissa, è stato deciso di integrarla nell’analisi.

Un altro modificatore morfosintattico trovato parechie volte nelle trascrizioni è l’imperfetto (“ero”, “era” e “sapevo”). Sembra importante indicare che le forme dei verbi modali all’imperfetto (“dovevo”, “potevo” e “volevo”) sono state classificate in base al tipo di verbo a cui appartengono e non in base alla loro temporalità. Essi, in altre parole, sono parte integrante del verbo modale e non dell’imperfetto.

Per quel che riguardo l’aspetto + gerundio si nota un uso scarso. Nelle trascrizioni sono state trovate forme come “sto leggendo”, “stavo guardando” e “sto andando”. Interessante da nominare, ci sembra il fatto che alcuni partecipanti tendono a usare questo tipo di modificatore, anche se dal punto di vista linguistico non hanno ancora appreso completamente questo modo verbale. Essi, invece di scegliere una forma del verbo “stare”, usano il verbo “essere” (“sono giocando”). Alcuni di essi, cambiano anche la desinenza del verbo al gerundio (“sono giocandi”).

Un altro tipo di modificatore morfosintattico di poco uso è il congiuntivo. L’unica forma trovata nelle registrazioni è “credo che sia”.

Confrontando il numero totale d’uso dei modificatori lessicali e discorsivi con quelli morfosintattici, si nota che soprattutto gli interni lessicali/discorsivi sono stati usati.

Come indicato all’inizio di questo paragrafo, nelle tabelle, i modificatori interni sono separati da quelli esterni o si fa uso di tabelle esclusivamente per un tipo di modificatore. Tabella 4.2 mostra i risultati per i modificatori esterni trovati nelle registrazioni di tutti e 36 i dialoghi. Per poter confrontare più chiaramente i risultati dei singoli tipi di modificatori esterni fra di loro e con l’esito della tabella 4.1 dei modificatori interni, anche nella seguente tabella l’uso dei modificatori esterni viene indicato sia in numeri assoluti che in percentuali.

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33 tabella 4.2: il resoconto generale dell’uso dei modificatori esterni da tutti gli apprendenti

Modificatori esterni Nᵒ totale %

Appello 26 5,3%

Preparatore 1 0,2%

Giustificatore 41 8,3%

Garanzia - -

Rabbonitore 5 1,0%

Nᵒ. totale dei modificatori esterni 73 Nᵒ. = numero % = il percentuale

Analizzando i dati esposti nella tabella 4.2, emerge che la garanzia è l’unico tipo di modificatore esterno che non appare nei dialoghi. Il tipo di modificatore esterno usato di più in assoluto è il giustificatore. Alcuni esempi trovati nelle registrazioni sono “è possibile loro ehm loro giocare un un altro posto in in piscina perché non mi piace questa situazione” e “per i bambini è troppo profondo perché non sono, non possono nuotare bene”.

Anche l’appello è di frequente uso. Appare ben 26 volte nelle trascrizioni, ciò vale soprattutto per le forme “(mi) scusi”, “scusa (mi) signora/signore” e “buongiorno/buonasera”. Il preparatore ed il rabbonitore, dall’altro canto, non sono quasi mai scelti dagli apprendenti. Un esempio di un rabbonitore trovato nei dialoghi è “mi dispiace che eh la musica era così luid così alto ma anche io eh ho un lavoro molto duro”.

La tabella 4.2 mostra, inoltre, che i partecipanti, nei loro enunciati, hanno prodotto un totale di 73 modificatori esterni. Confrontando questi risultati con la produzione totale di modificatori interni (203 in totale), risulta che i partecipanti non tendono solo a impiegare soprattutto i modificatori interni, ma anche a mostrare una preferenza leggera per i modificatori lessicali e discorsivi.

4.1.2. Uso dei modificatori

Nel paragrafo precendente è stato trattato l’uso complessivo dei modificatori interni ed esterni. Nel presente paragrafo questi dati saranno analizzati più profondamente, trattando i dati di ogni singolo partecipante. I risultati di quest’analisi possono essere trovati nelle tabelle 4.4, 4.5, 4.6. e nel allegato IV.

Cominciando con Mark si nota che nei quattro role play usa un totale di 24 modificatori, sia interni (quindici in totale) che esterni (nove in totale), di cui soprattutto il giustificatore (sette volte), l’intensificatore ed il verbo modale (entrambe cinque volte). Altri modificatori interni

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ed esterni scelti da Mark sono la marca di cortesia, il soggettivizzatore, l’imperfetto (tutti e tre una volta solo), l’aspetto + gerundio (due volte) ed il rabbonitore (anche due volte).

Analizzando i dati del secondo apprendente, si nota che il suo uso della strategia di mitigazione attraverso l’impiego di modificatori è povero. Francien produce in totale otto modificatori, di cui la maggior parte è di tipo interno. Sembra impiegare spesso i lessicali/discorsivi – ciò vale soprattutto per l’intensificatore “molto” – visto che sei su otto modificatori prodotti sono di questo tipo. Emerge, inoltre, che dei vari tipi di modificatori esterni analizzati, questo partecipante tende a usarne solo uno, ovvero l’appello, anche se occorre solo due volte nelle sue enunciazioni.

La terza apprendente, Liza, produce in totale 24 modificatori di cui 21 interni e tre esterni. Degli interni produce solo la marca di cortesia (una volta) e l’intensificatore (quattro volte). Si nota che la variazione per quel che riguarda i modificatori impiegati da lei è abbastanza alta. Nei suoi enunciati abbiamo trovato sette tipi di modificatori diversi, tra di cui il condizionale (“è possibile”), l’imperfetto (entrambi tre volte), il verbo modale (dieci volte), l’appello (due volte) ed il giustificatore (una volta).

Monique produce in totale diciannove modificatori, di cui diciotto interni lessicali/discorsivi ed uno esterno; che è un appello. Per quel che riguarda si nota che Monique impiega la marca di cortesia, che produce ben nove volte, e l’intensificatore, che appare sette volte nelle trascrizioni. Interessante nominare ci sembra che questo apprendente sia l’unico che ha usato un rafforzatore.

Nei dati di Elizabeth sono trovati 23 modificatori, di cui 21 interni e tre esterni. Degli iterni lessciali/discorsivi cinque modificatori sono del tipo intensificatore, mentre tre sono soggettivizzatori. Per quel che riguarda i morfosintattici risulta che utilizza alcuni verbi modali ed una forma del condizionale (“vorrei”), che, però, sembra essere una formula fissa. Degli esterni produce solamente due volte un appello.

Il seguente apprendente, Luuk, ha prodotto un totale die dieci modificatori – sei interni e quattro esterni – che è un risultato povero. Notevole sembra segnalare che, in tutti e quattro i role play, Luuk non produce neanche un modificatore interno lessicale/discorsivo. Dei morfosintattici trovati nelle trascrizioni di questo partecipante ci sono forme condizionali, un

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