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De beoordeling van de sintactische complexiteit in de talen van een drietalig kind: Een casestudy

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Academic year: 2021

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(1)

LA

VALUTAZIONE

DELLA

COMPLESSITÀ

SINTATTICA

DELLE

LINGUE IN UNA BAMBINA TRILINGUE

UNO STUDIO DI CASO

Aantal woorden: 27.008

Elisabeth Thomas

Studentennummer: 01404094

Begeleider: Prof. dr. Linda Badan

Maasterproef voorgelegd voor het behalen van de graad van Master in het tolken Academiejaar: 2019 – 2020

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Verklaring i.v.m. auteursrecht

De auteur en de promotor(en) geven de toelating deze studie als geheel voor consultatie beschikbaar te stellen voor persoonlijk gebruik. Elk ander gebruik valt onder de beperkingen van het auteursrecht, in het bijzonder met betrekking tot de verplichting de bron uitdrukkelijk te vermelden bij het aanhalen van gegevens uit deze studie.

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Impact COVID19

Het initiële doel van deze thesis was het ontwikkelen van een taaltest voor de analyse van de verschillende talen gesproken door Eva, het drietalige meisje dat Italiaans, Spaans en Nederlands spreekt en hier wordt onderzocht. Oorspronkelijk zou deze masterproef experimenteel zijn, aangezien nooit eerdere testen werden ontwikkeld voor het beoordelen van de taalcapaciteiten van drietalige kinderen met deze specifieke talencombinatie. Aangezien door COVID19 contact met Eva niet langer mogelijk bleek omdat er een periode van quarantaine werd ingevoerd werd het thema ven deze thesis geheroriënteerd in overleg met promotor Prof. dr. Badan en copromotor dhr. Izzo, overigens vader van Eva. Er werd besloten om te focussen op de syntactische complexiteit in de verschillende talen die Eva beheerst en om een analyse uit te voeren op basis van video-opnames van interacties tussen Eva en haar Spaanse moeder, Italiaanse vader en Nederlandse babysit. Aangezien de thesis nog in een beginstadium zat was deze heroriëntering nog mogelijk. De reeds verzamelde literatuur kon nog deels worden gebruikt en met raad van mijn promotor en copromotor over interessante bronnen kon al snel een nieuwe literaire basis worden opgebouwd. Deze preambule werd in overleg tussen de student en de promotor opgesteld en door beide goedgekeurd.

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Ringraziamenti

Innanzitutto voglio ringraziare la mia relatrice, la Professoressa Linda Badan per la sua disponibilità, anche durante un periodo particolarmente difficile come la quarantena. Mi ha sempre fornito di feedback chiaro e consigli interessanti su come affrontare il soggetto. La ringrazio davvero tanto per avermi accompagnato durante la scrittura della tesi, e in particolare per la sua disponibilità e per le sue parole rassicuranti negli ultimi giorni fino all’ultimo momento.

In secondo luogo vorrei ringraziare il Professore Izzo. Non solo è stato di grande aiuto con la trascrizione e l’analisi dei dati spagnoli in questa tesi, ma ha anche avuto un ruolo cruciale durante il mio intero percorso universitario. Il suo metodo di insegnamento mi ha ispirato e stimolato a voler sempre andare avanti. I suoi aneddoti su sua figlia trilingue mi hanno sempre intrigato e sono molto grata di aver avuto la possibilità di osservare le straordinarie competenze trilingui della bambina tramite questa tesi.

In più voglio ringraziare la mia famiglia. I miei genitori, sempre interessati in quello che sto facendo, sono stati lì per me durante il mio intero percorso universitario a supportarmi e a incoraggiarmi ad andare avanti nei momenti più difficili. Anche le mie sorelle Constantine e Gabriële voglio ringraziare. Ognuno di loro mi ha aiutato a modo suo e non dimenticherò mai questi gesti.

Infine ringrazio dal cuore il mio ragazzo, Luca Leone Silvestri. La sua pazienza è infinita, la sua creatività senza limiti e le sue parole inesauribili.

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Abstract

In numerosi studi sull’argomento, il fenomeno del trilinguismo viene spesso esaminato come un’estensione del bilinguismo. Ci sono ancora relativamente poche ricerche riguardo il trilinguismo che tengano in considerazione le sue particolari caratteristiche. Inoltre, le ricerche disponibili riguardano spesso solo studi di singoli casi. Di conseguenza, la valutazione della complessità sintattica nei bambini trilingui, nonché il soggetto di questa tesi, è oggetto di domande e questioni ancora aperte. Questa tesi prende in esame il caso di Eva, una bambina trilingue italiano-spagnolo-nederlandese, tramite l’analisi di video registrazioni. Più concretamente si valuta la complessità sintattica nelle sue tre lingue tramite tre metodi diversi: il conteggio delle parole, l’analisi delle frasi semplici e complesse e l’analisi delle frasi complesse, eseguendo anche una classificazione di diversi tipi di subordinate usate. Una comparazione tra i risultati nelle diverse lingue dimostra che il nederlandese è considerata la lingua sintatticamente più complessa secondo il conteggio delle parole e la lunghezza media inclusa in questa misura. L’analisi delle frasi semplici e complesse invece indentifica l’italiano e lo spagnolo come le lingue più complesse. Secondo l’analisi del numero di frasi coordinate e subordinate la sintassi di Eva risulta più complessa in italiano, essendo la lingua con il numero più elevato di frasi subordinate. Nonostante questo, la varietà delle frasi subordinate appare più alta in nederlandese. (215)

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Indice

INTRODUZIONE ... 1

1 MULTILINGUISMO ... 5

1.1 Definizione ... 5

1.1.1 Multilinguismo simultaneo vs. multilinguismo consecutivo ... 7

1.1.2 Multilinguismo passivo vs. multilinguismo attivo ... 9

1.1.3 Multilingui bilanciati vs. multilingui sbilanciati ... 9

1.1.4 Suddivisione da Hoffmann (2001) ... 10

1.2 Possibili costi del multilinguismo ... 11

1.2.1 Vocabolari meno vasti ... 11

1.2.2 Denominazione di immagini ... 12

1.2.3 Scioltezza verbale ... 14

1.2.4 Esperienze Tip-of-the-tongue ... 15

1.3 Vantaggi del multilinguismo ... 16

1.3.1 Apprendimento di nuove lingue ... 17

1.3.2 Funzione del sistema esecutivo di controllo ... 21

1.3.3 Consapevolezza metalinguistica ... 22

1.3.4 Riorganizzazione strutturale nel cervello ... 24

1.4 Fattori contestuali ... 25

1.4.1 Input ... 25

1.4.2 Strategie interazionali ... 27

1.4.3 Parenti, coetanei e maestri ... 32

2 COMPLESSITÀ SINTATTICA E MULTILINGUISMO ... 36

2.1 Definizione di complessità sintattica ... 36

2.2 Stato dell’arte ... 37

2.3 Fattori che influenzano la complessità sintattica ... 40

2.4 Valutare la complessità sintattica ... 43

2.4.1 Unità T (T-Unit) ... 45

2.4.2 Il conteggio delle parole (word count) ... 46

2.4.3 Node count ... 47

2.4.4 Indice della complessità sintattica (Index of Syntactic Complexity) ... 49

2.4.5 Frequenza di frasi complessi vs frequenza di frasi semplici ... 50

2.4.6 Frequenza di e diversità in frasi subordinate ... 51

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3.1 Raccolta dei dati ... 52

3.2 Complessità sintattica ... 53

3.2.1 Conteggio di parole ... 53

3.2.2 Analisi delle frasi semplici e complesse ... 55

3.2.3 Analisi delle frasi coordinate e subordinate ... 56

3.2.4 Comparazione delle diverse misure della complessità sintattica ... 57

4 DOMANDE DI RICERCA E IPOTESI ... 58

5 ANALISI DEI DATI ... 60

5.1 Conteggio delle parole ... 60

5.1.1 Italiano ... 60

5.1.2 Spagnolo ... 62

5.1.3 Nederlandese ... 63

5.1.4 Confronto tra le tre lingue ... 64

5.2 Conteggio delle frasi semplici e complesse ... 66

5.2.1 Italiano ... 66

5.2.2 Spagnolo ... 67

5.2.3 Nederlandese ... 69

5.2.4 Confronto tra le lingue ... 70

5.3 Analisi delle frasi complesse... 71

5.3.1 Italiano ... 71 5.3.2 Spagnolo ... 77 5.3.3 Nederlandese ... 82 6 DISCUSSIONE E CONCLUSIONE ... 87 6.1 Discussione ... 87 6.2 Conclusione ... 90 7 BIBLIOGRAFIA ... 92

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Lista di tabelle e grafici

Figura 1: Strategie interazionali di Lanza (1992) (Nicoladis & Genesee, 1998, p.86) 30 Figura 2: Esempio di albero sintattico (Szmrecsányi, 2004, p. 1034) 49 Tabella 1: Analisi della microstruttura del linguaggio da Peristeri et al. (2017) 57 Tabella 2: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in italiano. 61 Tabella 3: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in spagnolo. 62 Tabella 4: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in nederlandese. 64 Tabella 5: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in italiano, spagnolo e

nederlandese. 65

Tabella 6: Lunghezza media in italiano, spagnolo, nederlandese. 66 Tabella 7: Frasi semplici e complesse in italiano, numeri assoluti. 66 Tabella 8: Frasi semplici e complesse in italiano, percentuali. 67 Tabella 9: Frasi semplici e complesse in spagnolo, numeri assoluti. 68 Tabella 10: Frasi semplici e complesse in spagnolo, percentuali. 68 Tabella 11: Frasi semplici e complesse in nederlandese, numeri assoluti. 69 Tabella 12: Frasi semplici e complesse in nederlandese, percentuali. 69 Tabella 13: Tasso di frasi semplici e complesse in italiano, spagnolo e nederlandese 71

Tabella 14: Frasi complesse in italiano. 72

Tabella 15: Frasi subordinate in sessione 1087-1088-1089. 73 Tabella 16: Frasi subordinate in sessione 1111-1112-1113 75 Tabella 17: Frasi subordinate in sessione 1139-1140-1142 76

Tabella 18: Frasi complesse in spagnolo. 77

Tabella 19: Frasi subordinate in sessione 1094-1095-1096. 79 Tabella 20: Frasi subordinate in sessione 1107-1108-1109-1110. 80 Tabella 21: Frasi subordinate in sessione 1127-1128-1129. 81

Tabella 22: Frasi complesse in nederlandese. 82

Tabella 23: Frasi subordinate in sessione 1099-1100-1101-1102. 83 Tabella 24: Frasi subordinate in sessione 1121-1122-1123-1124. 85 Tabella 25: Frasi subordinate in sessione 1135-1136-1137 86

Grafico 1: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in italiano. 61 Grafico 2: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in spagnolo. 63 Grafico 3: Lunghezza media delle frasi semplici e complessa in nederlandese. 64 Grafico 4: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in italiano, spagnolo e

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Grafico 5: Frasi semplici e complesso in italiano. 67

Grafico 6: Frasi semplici e complesse in spagnolo. 68

Grafico 7: Frasi semplici e complesse in nederlandese 70

Grafico 8: Tasso di frasi semplici e complesse in italiano, spagnolo e nederlandese. 71

Grafico 9: Frasi complesse in italiano. 72

Grafico 10: Frasi subordinate in sessione 1087-1088-1089 73 Grafico 11: Frasi subordinate in sessione 1111-1112-1113 75 Grafico 12: Frasi subordinate in sessione 1139-1140-1142 77

Grafico 13: Frasi complesse in spagnolo. 78

Grafico 14: Frasi subordinate in sessione 1094-1095-1096 79 Grafico 15: Frasi subordinate in sessione 1107-1108-1109-1110 80 Grafico 16: Frasi subordinate in sessione 1127-1128-1129 81

Grafico 17: Frasi complesse in nederlandese. 82

Grafico 18: Frasi subordinate in sessione 1099-1100-1101-1102 84 Grafico 19: Frasi subordinate in sessione1121-1122-1123-1124 85 Grafico 20: Frasi subordinate in sessione 1135-1136-1137 86

Lista delle appendici

Appendice 1: Trascrizioni

Appendice 2: Tabelle dell’analisi quantitativa Appenice 3: Tabelle delle subordinate

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INTRODUZIONE

Il Belgio è uno dei paesi multilingui in Europa, ma nonostante il paese riconosca ufficialmente tre lingue, ovvero il nederlandese, il francese e il tedesco, la comprensione dei vantaggi e il riconoscimento della ricchezza inerenti al multilinguismo sembrano assenti nell’approccio dell’istruzione. Il ministro dell’istruzione Ben Weyts è a favore dell’inserimento di test linguistici per bambini di 5 e 6 anni che misurerebbero la loro conoscenza del nederlandese e, in caso di competenze linguistiche insufficienti, di un intervento sotto la forma di un’immersione linguistica della durata di un anno, che tuttavia al contempo causerebbe al bambino la perdita di un anno scolastico. Weyts sostiene che questo intervento sia necessario, visto che altrimenti l’arretratezza linguistica peggiorerebbe soltanto (Ben Weyts (N-VA) wil taaltest voor kleuters, 2019).

Il ragionamento errato del ministro Weyts dimostra una mancanza di conoscenza circa il fenomeno del multilinguismo. Il multilinguismo e più specificamente il trilinguismo è un argomento su cui relativamente poche ricerche sono state condotte. Durante la storia diverse teorie sono state formulate nel tentativo di chiarificare il concetto del multilinguismo e di capire il processo dell’acquisizione, la gestione e lo sviluppo delle diverse lingue in un individuo. Le prime ricerche consistevano nella raccolta di diari su cui i ricercatori documentavano osservazioni e annotazioni dei propri figli multilingui. La prima teoria influente era quella che differenziava tra bilingui composti e coordinati, ovvero bilingui che hanno acquisito le loro lingue o in due contesti culturali diversi o in soltanto un’unica cultura (Weinreich, 1953; Ervin & Osgood, 1954; Herdina & Jessner, 2002). In seguito, i multilingui venivano considerati dal punto di vista monolingue come la somma di due monolingui. Di conseguenza venivano trattati come i loro pari monolingui nella valutazione linguistica, generando risultati fuorvianti sulle loro competenze linguistiche (Herdina & Jessner, 2002).

In questa tesi ci si concentra sul trilinguismo e più concretamente sulla complessità sintattica delle lingue di Eva, una bambina trilingue italiano-spagnolo-nederlandese in un momento preciso, ovvero quando ha tra i 5,4 e i 5,5 anni. Relativamente poca ricerca è stata condotta nel campo della valutazione della complessità sintattica. Valutare la complessità sintattica nelle lingue dei bambini bilingui o multilingui perciò è un argomento ancora più raro nella storia

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delle ricerche in questo campo. La maggior parte delle ricerche (si veda De Houwer, 1990; Hoffmann, 1985) sono studi di casi perché è molto difficile comporre gruppi di bambini bilingui o multilingui che sono cresciuti e che si sono sviluppati in maniera identica. Ogni bambino multilingue può essere considerato un caso unico, perché una grande varietà di fattori svolge un ruolo incisivo nello sviluppo delle diverse lingue. Tali fattori possono per esempio consistere nella qualità e nella quantità dell’input, nelle strategie interazionali applicate dai genitori o nel ruolo che svolgono i parenti, i coetanei e i maestri.

La tesi consiste di una parte teorica seguita da una parte di ricerca. La parte teorica comprende i capitoli 1 e 2 che vertono rispettivamente sul concetto di ‘multilinguismo’ e di complessità sintattica. Nel capitolo 1 viene fornita una definizione del concetto di multilinguismo, distinguendone diversi tipi come multilinguismo simultaneo vs. consecutivo, passivo vs. attivo, bilanciato vs. sbilanciato e infine viene incluso un elenco di diversi tipi formulato da Hoffmann (2001). Per giunta si sofferma sui possibili svantaggi che il multilinguismo potrebbe portare con sé, contrastando poi con una sezione sugli vantaggi del multilinguismo, come ad esempio la facilitazione dell’apprendimento di nuove lingue o una funzione del sistema esecutivo di controllo rafforzata. Infine viene dedicata attenzione ai fattori che influenzano lo sviluppo linguistico di bambini multilingui, fornendo così alcuni motivi che possono spiegare le difficoltà sperimentate quando si vuole comporre gruppi di bambini multilingui simili.

Nel capitolo 2 ci si sofferma invece su cosa effettivamente sia la complessità sintattica, fornendone anche un breve elenco delle ricerche condotte nel passato. In più vengono discussi alcuni fattori che possono influenzare la complessità sintattica come ad esempio la differenza tre la complessità sintattica nel linguaggio parlato e scritto o il moddeling. Infine viene fornito un panorama dei diversi metodi con cui la complessità sintattica può essere valutata. Vengono distinti l’unità T, il conteggio delle parole, il node count, l’indice della complessità, l’analisi della frequenza delle frasi semplici e complesse e infine l’analisi del tasso di subordinazione. Viene anche studiata l’analisi qualitativa usata in Peristeri et al. (2017) con cui diversi tipi di subordinate vengono individuati.

La parte di ricerca riguarda l’analisi delle lingue di Eva tramite la trascrizione di video registrazioni della durata complessiva di 8 ore, che la ritraggono nella sua vita quotidiana, mentre interloquisce con tre diversi individui, che sono anche i punti di riferimento del suo

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trilinguismo: il padre (lingua italiana), la madre (lingua spagnola), la babysitter (lingua nederlandese). Tale studio viene effettuato in maniera specifica tramite il conteggio delle parole, l’analisi delle frasi semplici e complesse e un’analisi più dettagliata delle frasi complesse (coordinate e subordinate), confluendo infine nell’eseguire un’analisi qualitativa, come menzionata qui sopra, delle diverse proposizioni subordinate, individuandone la tipologia di ognuna. Vengono comparati i risultati trovati in ogni lingua allo scopo di individuare la lingua in cui la sintassi sia più complessa. Infine vengono comparati anche i risultati generati dalle diverse misure al fine di giudicare l’affidabilità delle diverse misure.

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1 MULTILINGUISMO

1.1 Definizione

Formulare una definizione di trilinguismo non è semplice. Tanti aspetti vanno presi in considerazione e sull’argomento c’è ancora molta ricerca da fare. In comparazione alle ricerche condotte sull’acquisizione linguistica monolingue, le ricerche sull’acquisizione linguistica bilingue e soprattutto su quella trilingue non sono così numerose. Le ricerche sul bilinguismo e il trilinguismo hanno cominciato solo recentemente, intorno alla fine degli anni Settanta, con alcuni precedenti dall’inizio del ventesimo secolo in poi (Barnes, 2006).

In questo capitolo si tenta di definire il concetto di trilinguismo. Prima di tutto, si prendono in considerazione alcune definizioni formulate in passato. Nella comparazione delle diverse definizioni verrà prestata attenzione sia alla distinzione tra il trilinguismo e il bilinguismo, che alle possibili assomiglianze tra i due concetti. Inoltre distinguiamo diversi tipi di multilinguismo. Prima di tutto viene presa in considerazione la differenza tra il multilinguismo simultaneo e il multilinguismo consecutivo. In secondo luogo viene approfondita anche la differenza tra trilinguismo attivo e passivo. In un terzo momento ci si sofferma sulla differenza tra i multilingui bilanciati e sbilanciati e infine si dà risalto all’elenco costituito da Hoffmann (2001), in cui si possono ritrovare cinque tipi di trilinguismo diversi.

Definizioni La definizione di trilinguismo fornita dall’Enciclopedia Treccani è la seguente:

Trilinguismo s. m. [der. di trilingue]. – La conoscenza e l’uso normale, da parte di una

persona o di una comunità, in una zona o in un ambiente, di tre lingue o anche dialetti diversi: il t. dell’Alto Adige (italiano, tedesco, ladino).

Questa definizione appare abbastanza ristretta. Infatti, non include specificazioni sulle parole ‘conoscenza’ o ‘normale’, né menziona l’esistenza di diversi tipi di trilinguismo, ignorando sfumature tipiche e caratterizzanti del concetto, come per esempio la misura in cui un individuo può essere trilingue in modo attivo o passivo. Il limite della definizione, tuttavia, ha i suoi motivi. Ciò viene ricondotto al fatto che poche ricerche sono state effettuate sul trilinguismo. Hoffmann (2001) si riferisce a Hoffmann & Widdicombe (1998), ponendo l’accento sulla mancanza di ricerche sul trilinguismo che fa sì che per formulare una definizione di esso ci si

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debba basare sulle ricerche fatte sul bilinguismo, assumendo che il trilinguismo è un’estensione del bilinguismo (Hoffmann 2001). Altri studi confermano questo limite delle ricerche sul trilinguismo e per questo viene assunto che il trilinguismo è un’estensione del bilinguismo (Barron-Hauwaert, 2000; Herdina & Jessner, 2002). Spesso, infatti, definizioni del bilinguismo incorporano un riferimento a ‘due o più lingue’. Hoffmann (2001) fornisce l’esempio della definizione di bilinguismo formulata da Oksaar (1983) in cui si menziona la possibilità della presenza di più di due lingue. Il bilinguismo secondo Oksaar (1983) viene definito come “the ability of a person to use here and now two or more languages as a means of communication in most situations and to switch from one language to the other if necessary”1 (Hoffmann, 2001, p.2).

Dalla letteratura risulta chiaro che l’acquisizione di diverse lingue avviene quasi per ogni bambino in un modo unico, questo a causa di diversi motivi. In primo luogo i bambini multilingui si differenziano nel momento della loro esposizione iniziale alla seconda e alla terza lingua. Per di più, ogni bambino multilingue cresce in un contesto sociolinguistico unico. I fattori ambientali sono quindi di importanza determinante per il modo in cui l’acquisizione e lo sviluppo delle lingue si manifestano (Genessee, Paradis & Crago, 2004; Paradis, 2007). Secondo Chevalier (2012), l’acquisizione linguistica trilingue viene definita come “the language development of young children who have been exposed to three languages regularly, in a non-formal setting, before the beginning of formal schooling”2 (Chevalier, 2012, p.1).

Nell’analisi di questa definizione vanno prese in esame le espressioni regularly, non-formal setting e before the beginning of formal schooling. Innanzitutto Chevalier (2012) stabilisce che l’esposizione alle tre lingue deve manifestarsi su base regolare. Con questo intende che i bambini devono entrare in contatto con le tre lingue diverse quotidianamente o quasi. Questa definizione incorpora anche l’elemento del contesto informale in cui le tre lingue vanno acquisite. Con ciò ci si riferisce ai contesti familiari, come ad esempio l’asilo e la scuola materna. Inoltre viene inclusa una precisazione sul momento prima del quale l’esposizione alle tre lingue si dovrebbe manifestare per poter parlare di trilinguismo. Chevalier (2012) sottolinea

1 La capacità di una persona di usare istantaneamente due o più lingue al fine di comunicare nella maggior parte

delle situazioni e di passare da una lingua all’altra se necessario.

2 Lo sviluppo linguistico di bambini in età precoce che sono stati esposti a tre lingue regolarmente, in un contesto

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che ciò accade prima dell’inizio dell’istruzione formale, ovvero intorno ai cinque anni. In questa definizione però Chevalier (2012) non entra nel dettaglio su quali tipi di acquisizione linguistica trilingue esistono. Invece, altri ricercatori (Hoffmann, 1985; Quay, 2001; Barnes, 2006; Chevalier, 2012; De Houwer, 2009) hanno distinto diversi termini che indicano vari tipi di sviluppo dell’acquisizione linguistica trilingue. Nelle elaborazioni dei diversi termini si può notare che i pareri dei vari autori non corrispondono sempre quando si tratta dell’età prima della quale l’esposizione bilingue/ trilingue si dovrebbe manifestare.

Quay (2001) dedica attenzione alla distinzione fatta da Hoffmann (1985) tra i termini infant trilingualism e child trilingualism. Infant trilingualism si riferisce alla manifestazione dell’esposizione trilingue prima dei tre anni di età, mentre child trilingualism indica lo sviluppo del trilinguismo dopo quest’età. Inoltre Hoffmann (1985) si è basato su MacLaughlin (1978) scegliendo l’età arbitraria di tre anni. Quay (2001), dall’altro canto, usa il termine “sviluppo trilingue precoce” (early trilingual development) riferendosi ai bambini che sperimentano un’esposizione a tre lingue, a base regolare, prima della produzione delle prime parole. Quay (2001) si distacca dalle ricerche sopracitate (i.e. Chevalier, 2012; Hoffmann, 1985, McLaughlin, 1997) nel fattore dell’età prima della quale l’esposizione alle tre lingue si dovrebbe manifestare. Secondo Quay (2001) infatti, si può parlare di trilingual first language acquisition fino a quando le tre lingue vengono introdotte prima del momento della produzione delle prime parole, mentre Chevalier (2012) menziona un momento ulteriore per l’esposizione alle tre lingue più tardi, ossia l’inizio dell’istruzione formale, mentre Hoffmann (1985) e MacLauglin (1997) scelgono l’età di tre anni senza motivazione scientifica. De Houwer (2009), a differenza degli altri, ha condotto uno studio sull’acquisizione linguistica bilingue e menziona un’età prima della quale l’esposizione alle diverse lingue si dovrebbe manifestare ancora più bassa di Quay (2001). Stabilisce che il termine di bilingual first language acquisition è adeguato solo nel caso in cui il bambino venga esposto alle due lingue dalla nascita, o nella prima settimana (De Houwer, 1990), o nel primo mese (De Houwer, 1995) immediatamente successivo.

1.1.1 Multilinguismo simultaneo vs. multilinguismo consecutivo

Oltre alle definizioni generali illustrate nella sezione precedente, è necessario distinguere il concetto di multilinguismo simultaneo da quello di multilinguismo consecutivo. Le ricerche

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citate nella sezione precedente affrontano il multilinguismo concentrandosi su un momento determinante prima del quale l’esposizione alle diverse lingue deve aver luogo per poter parlare di infant trilingualism, sviluppo trilingue precoce o bilingual/trilingual first language acquisition. Vale a dire che tutti questi termini rientrano nel concetto di multilinguismo simultaneo. Ciò viene confermato anche da Paradis (2007), il quale mette in evidenza che l’acquisizione bilingue simultanea viene spesso identificata con il termine bilingual first language acquisition. Bonifacci & Bellocchi (2014, p. 15) ritengono che il bilinguismo simultaneo si manifesti quando il bambino “è esposto sin dalla nascita a due codici linguistici”.

Dall’altro lato si contrappone il multilinguismo consecutivo. Bonifacci & Bellocchi (2014, p. 51) stabiliscono che il bilinguismo consecutivo si manifesta quando un bambino “viene esposto a una L2 quando ha già sviluppato un buon consolidamento delle competenze nella sua lingua d’origine”. Quest’affermazione viene confermata da Paradis (2007) dichiarando che nel caso del bilinguismo consecutivo il bambino acquisisce delle competenze linguistiche in una lingua prima di conseguire la conoscenza di una seconda lingua e che quando si tratta del trilinguismo consecutivo il bambino ottiene delle competenze linguistiche in due lingue prima di conseguire competenze in una terza lingua.

Paradis (2007) mette in evidenza alcune differenze notevoli tra il multilinguismo simultaneo e il multilinguismo consecutivo. Le differenze scaturiscono da livelli svariati di competenze nelle diverse lingue. In primis, la differenza nelle competenze delle due lingue è più significativa nei bilingui consecutivi che nei bilingui simultanei, soprattutto all’inizio del loro sviluppo. In altre parole, la lacuna che esiste tra la lingua dominante e quella non dominante nei bilingui simultanei è più ridotta rispetto alla lacuna individuabile tra le competenze della prima lingua (L1) e quelle della seconda (L2) nei bilingui consecutivi, almeno all’inizio del processo di acquisizione della L2. In secondo luogo, va menzionata la possibilità che i bilingui consecutivi, esposti alla L2 solo più tardi nell’infanzia, non ottengano mai le stesse competenze linguistiche native dei bilingui simultanei, che hanno altresì ricevuto esposizione bilingue dalla nascita (Paradis, 2007). Vale a dire, comunque, che le disuguaglianze delle competenze linguistiche in entrambe le lingue possono essere colmate durante la carriera scolastica elementare purché tutte e due vengano stimolate sia nella comunità che a scuola, e a patto che i bilingui consecutivi siano stati esposti alle due lingue dalla scuola materna. In questo modo, quindi, le competenze

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linguistiche nelle due lingue dei bilingui consecutivi e simultanei possono essere pareggiate (Oller & Eilers 2002; Gathercole & Thomas, 2005; Paradis, 2007).

1.1.2 Multilinguismo passivo vs. multilinguismo attivo

Un’ulteriore suddivisione del multilinguismo è quella tra multilinguismo passivo e multilinguismo attivo. Nonostante una possibile esposizione simultanea a diverse lingue durante l’infanzia, non tutti i multilingui sviluppano le lingue a cui vengono esposti in modo uguale. Invece tante persone che vengono esposte a una lingua diversa da quella della società, ossia una lingua minoritaria (come ad esempio nel contesto familiare), spesso acquisiscono capacità di comprensione di tale lingua, con tuttavia delle lacune a livello delle capacità orali e scritte (Döpke, 1992). Döpke (1992) stabilisce che in base alle capacità linguistiche in ogni lingua, i bilingui vengono suddivisi in due categorie, ossia in bilingui recettivi o passivi e bilingui produttivi attivi.

Nonostante non parlino attivamente la loro seconda lingua, i bilingui passivi vanno riconosciuti come veri e propri bilingui, soprattutto con bambini immersi nel processo dell’acquisizione bilingue nel contesto familiare. Döpke (1992) mette in evidenza che nei bambini la comprensione linguistica precede naturalmente la produzione linguistica e che è possibile che un bambino cominci a esprimere parole in una lingua sola mentre la comprensione delle due lingue continua a svilupparsi, o viceversa che cominci a esprimere parole in entrambe le lingue mentre procede con lo sviluppo della comprensione di solo una lingua. Vale a dire che i bambini continuano ad acquisire capacità linguistiche sia recettive che produttive fino a diversi anni dopo l’inizio dell’istruzione formale. Considerare i bilingui recettivi come bilingui veri e propri è quindi necessario, visto che la conoscenza passiva può facilmente essere trasformata in conoscenza attiva mediante cambiamenti nell’ambiente linguistico, i quali richiedono al bambino di parlare la lingua minoritaria (Döpke, 1992).

1.1.3 Multilingui bilanciati vs. multilingui sbilanciati

Un’altra suddivisione può essere condotta, ovvero quella tra i multilingui bilanciati e i multilingui sbilanciati. Portocarrero, Burright, & Donnovick (2007) si riferiscono a Romaine (1995) distinguendo la categoria dei multilingui bilanciati, ovvero i multilingui che padroneggiano le loro diverse lingue in misura uguale e che sono quindi uniformemente

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competenti nelle diverse lingue. Dall’altro lato esistono i multilingui sbilanciati. Più concretamente si trattano di multilingui che conoscono bene due o più lingue, ma che sono bravi nella gestione di una in particolare (Romaine, 1995).

Baker (2001) afferma che il bilinguismo bilanciato si verifica molto raramente. Molto più comune è il bilinguismo sbilanciato. I bilingui e multilingui sbilanciati conoscono bene due o più lingue, ma sono bravi nella gestione di una in particolare (Romaine, 1995). Spesso i bilingui o multilingui usano le loro diverse lingue con determinate persone in determinate situazioni. Di conseguenza non sono competenti nella stessa misura in ogni situazione di ogni lingua, ad esempio, un bambino multilingue che parla una lingua X con la madre, una lingua Y con il padre e una lingua Z a scuola.

1.1.4 Suddivisione da Hoffmann (2001)

Un’ulteriore suddivisione del trilinguismo degna di nota è stata proposta da Hoffmann (2001). Oltre alla distinzione tra multilinguismo simultaneo e consecutivo e tra multilinguismo passivo e attivo Hoffmann mostra che esistono più tipi di trilinguismo e ne distingue cinque gruppi diversi:

I. Bambini che crescono parlando due lingue diverse in casa (con ogni genitore una diversa) e una terza della comunità.

II. Bambini che crescono in una comunità bilingue e che parlano una terza lingua a casa con i genitori.

III. Gli apprendenti di una terza lingua i.e. bilingui che acquisiscono una terza lingua a scuola.

IV. Bilingui che sono diventati trilingui a causa dell’immigrazione. In altre parole, si tratta di bambini bilingui che grazie all’immigrazione sono entrati in contatto con una nuova terza lingua, quella della nuova società e che dopo l’acquisizione di essa sono diventati trilingui.

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1.2 Possibili costi del multilinguismo 1.2.1 Vocabolari meno vasti

Per la comparazione dei vocabolari ricettivi di bambini monolingui e bilingui viene spesso usato il test standardizzato Peabody Picture Vocabulary Test (PPVT) (Portocarrero, Burright, & Donovick, 2007; Bialystok, Luk, Peets, & Yang, 2010). Il PPVT è un test in cui ai soggetti vengono mostrati diversi set di quattro immagini ciascuno. Lo scopo del test consiste nella selezione dell’immagine corrispondente con la parola pronunciata dal ricercatore. Viene confermato da diversi studi su scala ridotta che i vocabolari dei bilingui sono caratterizzati da un’ampiezza lessicale inferiore rispetto ai vocabolari dei monolingui delle due lingue in questione (Bialystok, Luk, Peets, & Yang, 2010).

Bialystok, Luk, Peets & Yang (2010) hanno condotto uno studio per verificare se le differenze tra i vocabolari di individui monolingui e bilingui, indicati da studi precedenti, possono essere generalizzate e considerate applicabili su un numero di bambini più elevato. A tal fine, hanno comparato i risultati ottenuti sul Peabody Picture Vocabulary Test (PPVT) di 1738 bambini tra i tre e i dieci anni, di cui 772 sono monolingui (inglese) e 966 bilingui. I risultati confermano le conclusioni degli studi precedenti e indicano che i bilingui, infatti, possiedono meno parole in una delle loro lingue rispetto ai monolingui che parlano la medesima lingua. In più, risulta chiaro che le differenze tra i vocabolari di monolingui e bilingui non spariscono o diminuiscono man mano che i bambini diventano più grandi, bensì persistono in età adulta (Portocarrero, Burright, & Donovick, 2007; Bialystok, Luk, Peets, & Yang, 2010).

Bialystok (2008) si riferisce a una ricerca simile, condotta da Bialystok & Feng (in stampa; letto in Bialystok, 2008), in cui vengono comparati i vocabolari inglesi di 971 bambini, la metà monolingue e l’altra metà bilingue, tra i cinque e i nove anni. Più specificamente vengono paragonati i risultati ottenuti sul PPVT. L’analisi dei risultati indica un punteggio medio di 105 per i bambini monolingui e uno di 95 per i bambini bilingui, ossia una differenza significativa tra i due gruppi. Vale a dire che con il PPVT vengono comparati i vocabolari interi di bambini monolingui con i vocabolari dei loro pari bilingui nella stessa lingua, che sono per essi solo vocabolari parziali.

I bilingui hanno, tuttavia, un vocabolario totale distribuito attraverso due lingue, composto da due lessici leggermente più ristretti rispetto al lessico di un monolingue in ognuna di queste

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lingue. Questo fenomeno è facilmente giustificabile, perché nel tempo in cui i monolingui acquisiscono una lingua, i bilingui ne imparano due. Di conseguenza sono meno esposti ad una singola lingua ed è comune che alcune parole occorrano in contesti in cui viene parlata esclusivamente una lingua (p.es. il contesto famigliare). I bilingui quindi non hanno un equivalente per ogni concetto in entrambe le loro lingue, ma a volte solo in una delle due (Bialystok, 2009; Bialystok, Luk, Peets, & Yang, 2010).

È da tenere in considerazione che la possibilità che i bilingui siano svantaggiati nelle loro capacità espressive, a causa di vocabolari leggermente meno ampi in ognuna delle loro lingue, è un fattore trascurabile, mentre è molto probabile invece che i loro vocabolari complessivi siano equivalenti se non addirittura più ricchi se comparati al vocabolario dei loro pari monolingui (Portocarrero, Burright, & Donovick, 2007; Bialystok, 2009; Bialystok, Luk, Peets, & Yang, 2010). Come menzionato sopra, gli svantaggi a livello di vocabolario si manifestano non solo nei bambini ma anche negli adulti bilingui. Tuttavia, Bialistok (2008) stabilisce che con gli adulti bilingui questo svantaggio si presenta sotto la forma di un deficit nell’accesso e nel richiamo linguistico. È stato dimostrato che i bilingui sono tipicamente più lenti rispetto ai monolingui nella denominazione delle immagini (Roberts, Garcia, Desrochers, & Hernandez, 2002; Gollan Montoya, Fennema-Notestine, & Morris, 2005) come la scioltezza verbale (Gollan Montoya, Fennema-Notestine, & Morris, 2005; Portocarrero, Burright, & Donovick, 2007). In più è stato dimostrato che si manifestano più esperienze tip-of-the-tongue (TOT) nei soggetti bilingui che in quelli monolingui. Nella sezione che segue vengono elaborati rispettivamente i fenomeni di denominazione di immagini e esperienze tip-of-the-tongue.

1.2.2 Denominazione di immagini

Prima di tutto, viene approfondito l’elemento del deficit a livello della denominazione di immagini/parole. Roberts, Garcia, Desrochers & Hernandez (2002) hanno studiato la prestazione dei bilingui sul Boston Naming Test (BNT), replicando uno studio condotto da Kohnert, Hernandez e Bates (1998) che ha indicato che i bilingui ottengono risultati inferiori a quelli conseguiti dai monolingui. Il BNT, originariamente sviluppato per monolingui di lingua inglese, presenta il soggetto con una serie di immagini che nel corso dello svolgimento del testo si dimostrano sempre più difficili da denominare. Anche in questo studio, i bilingui ottengono un punteggio più basso rispetto ai pari monolingui. Bisogna comunque prestare attenzione

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quando si applica il BNT sui bilingui, perché non si può assumere che l’ordine di difficoltà, ossia l’ordine dell’acquisizione delle parole e la frequenza del loro uso, sia uguale per monolingui e multilingui.

Comunque, uno svantaggio nel campo della denominazione delle immagini è stato trovato anche attraverso altre ricerche (Gollan Montoya, Fennema-Notestine & Morris, 2005) e vengono formulate diverse motivazioni. La prima motivazione per un tale deficit è riconducibile ai link più deboli (weaker links) tra le connessioni essenziali per una produzione linguistica orale rapida e fluente. Più concretamente si tratta di connessioni tra la rappresentazione semantica e quella fonologica che sono meno sviluppate nei multilingui, perché il loro uso di parole in ognuna delle loro lingue è più limitato in comparazione alla frequenza dell’uso di queste stesse parole da parte dei monolingui. Visto che le parole che vengono prodotte più spesso diventano con il tempo anche più facili da generare, i link deboli si stabiliscono nei bilingui, dacché in sostanza i bilingui hanno meno allenamento in ognuna delle due lingue (Michael & Gollan, 2005; Gollan Montoya, Fennema-Notestine e Morris, 2005).

Una seconda motivazione che spiegherebbe il deficit consiste nella competizione tra le due lingue presenti nell’individuo bilingue (Bialystok, 2008), ovvero l’interferenza linguistica (cross-language interference) (Gollan Montoya, Fennema-Notestine, & Morris, 2005). Bialystok (2008) cita Green (1998) stabilendo che in questo caso, lo svantaggio viene attribuito al “conflict that is created by the competition from the corresponding item in the non-target language”3 (Bialystok 2008, p. 5). Anche Gollan Montoya, Fennema-Notestine & Morris

(2005) menzionano la competizione tra le diverse lingue come una motivazione dello svantaggio bilingue nel campo del processing lessicale. I bilingui, nel momento in cui si trovano di fronte a un’immagine da denominare, devono confrontarsi con un compito ben più difficile rispetto ai monolingui, dato che non devono solo fare una selezione intralinguistica, ma anche interlinguistica. In sintesi, i bilingui sperimentano una concorrenza più feroce tra gli elementi lessicali, che costituisce la base di uno svantaggio a livello della denominazione delle immagini, l’accesso e il richiamo linguistico nei confronti di monolingui.

Ciononostante, Gollan Montoya, Fennema-Notestine, & Morris (2005) mettono in evidenza che l’attivazione di più lingue non causa sempre interferenza linguistica. Così, l’interferenza

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può essere usata come giustificazione dello svantaggio bilingue nella loro lingua dominante (L1), solo quando sono disponibili prove che la L2 interferisca effettivamente con la L1, ad esempio, perché era stata attivata in un precedente compito monolingue nella L2. Il contrario invece, l’interferenza della L1 nella produzione della L2 è più probabile (Sandoval, Gollan, Ferreira, & Salmon, 2010).

1.2.3 Scioltezza verbale

Diversi studi vertono sulla scioltezza verbale minore dei bilingui in comparazione con pari monolingui (Portocarrero, Burright, & Donovick, 2007; Sandoval, Gollan, Ferreira, & Salmon, 2010). Sandoval, Gollan, Ferreira, & Salmon (2010) hanno considerato tre possibili ipotesi che possono motivare la scioltezza verbale minore nei bilingui. In primo luogo hanno considerato l’interferenza linguistica. Di seguito hanno preso in esame l’ipotesi dei link deboli (weak links) e infine è stata esaminata anche quella dei vocabolari più ridotti. Sono apparse tutte e tre come ipotesi valide, ma a una in particolare spetta la responsabilità principale dello svantaggio bilingue nell’ambito della scioltezza verbale, ovvero nell’interferenza linguistica. Diverse prove sono state accumulate attraverso due esperimenti condotti da Sandoval et al. (2010), che confermano quest’asserzione.

Nei due esperimenti è stato usato il fluency task: un compito che richiede al partecipante di nominare elementi di una determinata categoria (semantica o una lettera iniziale) durante il lasso di tempo di un minuto. Nel primo esperimento, i monolingui (inglesi) sono stati comparati ai bilingui (inglese-spagnoli, dominanti in inglese). Le prove per la presenza di un’interferenza linguistica sono triplici.

Innanzitutto, i bilingui rispondono generalmente più lentamente rispetto ai monolingui, un comportamento che corrisponde a un punto fulcrum lungo, che si sposta quindi verso la destra. Sandoval et al. (2010) spiegano che il punto fulcrum è un termine che indica il concetto di ‘mean response latency’, ovvero il rallentamento medio della risposta, formulato da Rohrer, Wixted, Salmon e Butters (1995). Un punto fulcrum lungo, ovvero che si sposta verso la destra sull’asse X, indica che la maggioranza delle risposte date negli esperimenti vengono espresse verso la fine di essa. Dall’altro lato, un punto fulcrum corto, ossia che si sposta verso la sinistra sull’asse X, significa che la gran parte delle risposte venivano espresse all’inizio (Sandoval, Gollan, Ferreira, & Salmon, 2010).

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Oltre al punto fulcrum lungo, può essere trovata una seconda prova con cui l’interferenza linguistica può essere confermata, ovvero, i bilingui avevano anche risposte iniziali più lente: ciò viene associato alla presenza di un doppio compito. La terza prova per la presenza di interferenza linguistica consiste in un fallimento maggiore dei bilingui all’inizio del compito, rispetto alla fine. All’inizio si concentrano parole di alta frequenza che causano più interferenza linguistica, visto che sono parole più accessibili che vengono usate spesso in entrambe le lingue.

Nel secondo esperimento, dall’altro lato, i bilingui venivano valutati nella loro lingua dominante (L1) e non-dominante (L2) ed è diventato chiaro anche qui che l’interferenza linguistica ha un ruolo principale nella motivazione dello svantaggio bilingue nel campo della scioltezza verbale. È stato dimostrato inoltre che, nonostante il vocabolario più ridotto nella L2 (spagnolo), il punto fulcrum sia più lungo nella L2 che nella L1 (inglese), implicando che più parole vengono prodotte verso la fine del minuto, dove si concentrano le parole di bassa frequenza che occorrono spesso in una lingua sola. Qui è evidente che l’ipotesi dell’interferenza respinge quella dei vocabolari più ridotti. Infine, quasi metà dei bilingui ha usato parole della propria L1 durante il compito nella L2. Quest’intrusione linguistica errata costituisce la prova forse più solida che il deficit dei bilingui è dovuto all’interferenza, più che ai link deboli o ai vocabolari più ridotti (Sandoval, Gollan, Ferreira, & Salmon, 2010).

1.2.4 Esperienze Tip-of-the-tongue

Diversi studi (Gollan & Acenas, 2004; Gollan, Montoya, Fennema-Notestine, & Morris, 2005; Michael & Golan, 2005) fanno riferimento alle esperienze tip-of-the-tongue (TOT), un fenomeno relativo alla scioltezza verbale ridotta, che vengono sperimentati più spesso dai bilingui che dai monolingui. Le esperienze TOT sono momenti di fallimento di richiamo verbale, caratterizzati da una sensazione di un possibile richiamo imminente di una parte della parola ricercata, ovvero:

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Tip-of-the-tongue states (TOTs) are word retrieval failures characterized by a feeling of imminent recall and by a greater than chance probability of accurately reporting partial information about the target word (e.g. the first phoneme).4 (Gollan & Acenas, 2004, p 246)

Il tasso di esperienze TOT continua a essere più alto anche per i bilingui adulti, indicando uno svantaggio a livello di vocabolario, non solo in età precoce, ma anche nei bilingui di età avanzata. Vale a dire, comunque, che lo svantaggio dei bilingui nei confronti dei monolingui sparisce sotto determinate condizioni. In primo luogo scompare quando ai bilingui è permesso ricorrere alla loro esperienza con parole in diverse lingue, ossia quando il test punta su parole affini (Golan & Acenas, 2004; Michael & Golan, 2005). Inoltre, va menzionato che anche nomi propri hanno un’influenza positiva sulla riduzione dei TOT sperimentati dai bilingui (Michael & Golan, 2005).

1.3 Vantaggi del multilinguismo

Herdina & Jessner (2002) confermano l’esistenza di una fase nel passato in cui il bilinguismo veniva considerato negativamente. Citando Hakuta (1986), distinguono tre fasi nella storia delle ricerche sul bilinguismo. Nella prima fase ci si concentrava soltanto sul cosiddetto effetto dannoso che il multilinguismo aveva sulla cognizione, considerandolo un handicap, mentre nella seconda fase non veniva visto né come un vantaggio, né come uno svantaggio, bensì gli effetti venivano considerati neutrali. Infine è risultato chiaro che il multilinguismo implica vantaggi su diversi livelli e che ha un effetto di valore additivo. In altre parole, si è manifestato uno sviluppo che parte da un’immagine del bilinguismo piuttosto negativa per sfociare verso un’immagine alquanto positiva, in cui i vantaggi del multilinguismo superano i presunti svantaggi.

Carranza (2009) si riferisce a Diaz (1983), evidenziando che gli studi che ricorrono dal periodo prima del 1962 rivelano come il bilinguismo fosse considerato un handicap linguistico e che abbia degli effetti cognitivi dannosi. Come già menzionato nel capitolo precedente sui costi del multilinguismo, i multilingui possiedono in generale vocabolari più ristretti in ognuna delle 4 Le esperienze tip-of-the-tongue sono fallimenti di recupero verbale caratterizzati da una sensazione di richiamo

imminente e da una probabilità maggiore alla coincidenza di produrre informazioni parziali sulla parola ricercata (p.es. la prima fonema)

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loro lingue rispetto ai monolingui. Di conseguenza, il bilinguismo veniva considerato un ostacolo per lo sviluppo intellettuale esercitato nei compiti accademici, visto che il potenziale intellettuale veniva considerato in base alle abilità verbali (Díaz, 1983).

Tale immagine negativa e distorta del bilinguismo può essere giustificata, in quanto si basava sugli scarsi risultati dei bilingui nello svolgimento dei compiti verbali e accademici. Tuttavia, si noti che un gran numero di bilingui presi in esame prima degli anni ‘60 provenivano da gruppi di minoranza socio-economicamente svantaggiati, come ad esempio famiglie immigrate in cerca di una vita migliore (Díaz, 1983; Oller & Pearson, 2002). Oller & Pearson (2002) affermano che la povertà coincide spesso con una scarsa formazione dei genitori, un’autostima ridotta e un minor incentivo linguistico in confronto alle famiglie socio-economicamente più elevate. Dall’altra parte invece, i bambini monolingui con cui i bilingui venivano comparati erano spesso provenienti da una classe superiore e dominante (Díaz, 1983). A causa delle incongruenze negli studi di quegli anni si può assumere che gli svantaggi del bilinguismo possono essere considerati poco affidabili (Bialystok, 1988; Carranza, 2009; Cummins, 1978, 1979; Díaz, 1983).

Nelle sezioni che seguono ci si concentrerà sul lato positivo del multilinguismo, illustrando i vari vantaggi che lo caratterizzano se confrontato con monolinguismo. Prima di tutto, apprendere una terza lingua risulta più facile per i bilingui che apprendere una seconda lingua per i monolingui. Inoltre, il bilinguismo ha effetti positivi sulla funzione del sistema esecutivo, e sulla consapevolezza metalinguistica. Infine, è stato dimostrato che i bilingui possiedono una riserva cognitiva più grande dei monolingui.

1.3.1 Apprendimento di nuove lingue

Il primo vantaggio inerente al bilinguismo è l’apprendimento facilitato di una terza lingua. L’acquisizione di una nuova lingua, e più specificamente nel caso dei bilingui di una terza lingua, comprende un arricchimento linguistico, poiché sia in modo quantitativo che in modo qualitativo il sistema linguistico viene incrementato (Safont, 2005). È stato dimostrato che i bambini che parlano regolarmente più di una lingua sono in vantaggio quando si tratta dell’apprendimento di nuove lingue (si veda Abu-Rabia & Sanitsky, 2010; Brohy, 2001; Cenoz, 2003; Cenoz, 2013; Edele, Kempert, & Schotte, 2018; Jaspaert & Lemmens, 1990; Sanz, 2000). I bilingui hanno infatti sviluppato una comprensione di strutture linguistiche

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Cenoz (2003) si riferisce all’acquisizione di una terza lingua descrivendola come il processo di acquisizione di una nuova lingua, dopo l’acquisizione simultanea o consecutiva di due altre lingue nel passato. Stabilisce che l’acquisizione delle prime due lingue può essere anche ancora in corso quando quella della terza nuova lingua inizia. Inoltre, l’acquisizione di una terza lingua può accadere in diversi contesti. Si possono infatti distinguere ricerche condotte sull’acquisizione della terza lingua in ambiente scolastico (Abu-Rabia & Sanitsky, 2010; Brohy, 2001; Sanz, 2000), ma anche in contesto migratorio (Edele, Kempert, & Schotte, 2018; Jaspaert & Lemmens, 1990).

Brohy (2001) ha condotto una ricerca in Svizzera con monolingui tedeschi e bilingui tedeschi-romanici (lingua regionale in Svizzera) immersi in un programma scolastico bilingue. Sia i monolingui che i bilingui hanno cominciato a imparare il francese nel primo anno della scuola superiore. Poi, nel secondo anno della scuola superiore sono state valutate le competenze del francese. È risultato chiaro che, nonostante un’attitudine meno positiva dei bilingui nell’approccio a tale lingua, le differenze tra le competenze dei bilingui e dei monolingui per quanto concerne leggere, ascoltare, parlare e scrivere sono risultate significative. Anche Sanz (2000) ha lavorato sull’acquisizione di una nuova lingua nel contesto scolastico. Ha comparato l’acquisizione dell’inglese da parte di monolingui spagnoli e bilingui spagnolo-catalani, partecipanti ad un programma scolastico bilingue. Con l’analisi della regressione multipla ha dimostrato che il bilinguismo influenza l’acquisizione di una nuova lingua in un modo positivo, indipendentemente da altri fattori come l’esposizione o la motivazione.

Abu-Rabia & Sanitsky (2010) hanno anche condotto uno studio sui vantaggi del bilinguismo relativi all’acquisizione di una nuova lingua, ma più concretamente hanno esaminato l’effetto della padronanza delle ortografie in più lingue sull’acquisizione di una terza lingua. Hanno studiato 40 studenti bilingui russo-ebraici e 42 monolingui ebraici del sesto anno elementare che imparano l’inglese. Attraverso un processo valutativo includendo vari test che valutano tra l’altro la scelta e la conoscenza ortografica, la consapevolezza fonologica, l’ortografia e la comprensione della lettura, è risultato chiaro che la padronanza di ortografie in diverse lingue è infatti vantaggiosa per l’acquisizione di una terza lingua. I soggetti bilingui ottengono un punteggio significativamente più elevato in confronto ai monolingui nella maggior parte dei test inglesi.

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In generale tutte le ricerche menzionate qui sopra (Abu-Rabia & Sanitsky, 2010; Brohy, 2001; Cenoz, 2003; Sanz, 2000) dimostrano l’effetto positivo del bilinguismo nell’apprendimento di una terza lingua. Dall’altro lato, le ricerche sugli effetti del bilinguismo sull’acquisizione di una terza lingua in contesto migratorio (Edele, Kempert, & Schotte, 2018; Maluch, Kempert, Neumann, & Stanat, 2015) sono spesso meno univoche (Cenoz, 2013; Edele, Kempert, & Schotte, 2018). Edele, Kempert, & Schotte (2018) hanno condotto uno studio sugli effetti del bilinguismo di immigrati che acquisiscono l’inglese come terza lingua. Le competenze della lingua inglese da parte di studenti immigrati, ossia bilingui russo-tedeschi e bilingui turco-tedeschi, sono state comparate con quelle di studenti monolingui tedeschi. I monolingui tedeschi hanno una competenza linguistica media, mentre i bilingui sono stati divisi in due gruppi sia in base al livello alto o basso di bilinguismo equilibrato, che in due gruppi in base alla competenza nella L2. Nella comparazione tra bilingui e monolingui risulta necessaria questa suddivisione dei bilingui. I risultati dimostrano tuttavia che il grado di bilinguismo, ma soprattutto la competenza dei bilingui nella L2, è determinante per il vantaggio dei bilingui nel processo dell’acquisizione della terza lingua. In conclusione, può essere sintetizzato che le competenze elevate dei bilingui nella lingua dell’istruzione, la L2, in questo caso il tedesco, corrispondono a vantaggi e prestazioni migliori nella terza lingua rispetto ai pari monolingui. Ciò viene confermato anche dallo studio condotto da Maluch, Kempert, Neumann, & Stanat (2015). Nella loro ricerca vengono comparate le competenze linguistiche in inglese di vari gruppi di bilingui (ovvero, bilingui arabo-tedeschi, turco-tedeschi, cinese-tedeschi, polacco-tedeschi e un gruppo di bilingui eterogeneo) con quelle di monolingui polacco-tedeschi. Dopo aver controllato variabili come l’età, il sesso, le competenze cognitive generali, la situazione socioeconomica, la formazione dei genitori, la conoscenza culturale e le competenze linguistiche in tedesco e la lingua d’istruzione, solo tre dei cinque gruppi bilingui si sono rivelati in vantaggio rispetto ai monolingui nell’acquisizione dell’inglese. I bilingui polacco-tedeschi hanno il vantaggio più grande, seguiti dai bilingui cinese-polacco-tedeschi e il gruppo di bilingui eterogeno, mentre negli altri due gruppi non è stato trovato alcun vantaggio. Inoltre, i bilingui arabo-tedeschi e turco-tedeschi si sono dimostrati capaci in egual misura di quanto i loro pari monolingui tedeschi nell’imparare la lingua inglese. In sostanza, si può stabilire che bilingui che parlano una lingua di minoranza a casa sono in generale in vantaggio quando si

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tratta dell’acquisizione di una terza lingua. Vale a dire comunque che la lingua d’istruzione ricopre un ruolo decisivo nella presenza o assenza del vantaggio nella terza lingua.

Un approccio alternativo, “focus sul multilinguismo”, per l’analisi dell’effetto del bilinguismo sull’acquisizione di una terza lingua è stato proposto da Cenoz (2013). Questo approccio si focalizza su tre elementi: il parlante multilingue, il repertorio linguistico completo e il contesto. Innanzitutto, con questo approccio alternativo, il parlante multilingue viene analizzato in modo tale da non essere considerato come la somma di diversi parlanti monolingui, tenendo anzi conto sia della sua scioltezza verbale in ognuna delle sue lingue, che del modo in cui la nuova lingua viene inserita nel repertorio linguistico esistente. In più il ‘focus sul multilinguismo’ presta attenzione a tutte le lingue dell’individuo invece di focalizzarsi solo sulla terza e nuova lingua, tenendo conto delle connessioni e delle interazioni tra le lingue. Infine, anche il fattore contestuale viene considerato importante in questo modello, perché i monolingui esercitano e sviluppano le loro lingue tramite interazione sociale.

Cenoz (2013) stabilisce che in generale i bilingui imparano una terza lingua più facilmente di quanto i monolingui imparino una seconda lingua riferendosi a tre fattori in particolare che i bilingui possiedono, ossia consapevolezza metalinguistica, strategie d’apprendimento e un repertorio linguistico totale più ampio dei monolingui. Tuttavia, alcuni studi (Jaspaert & Lemmens, 1990; Maluch, Kempert, Neumann, & Stanat, 2015) hanno ottenuto risultati contrastanti, ovvero che i monolingui sono migliori o ugualmente capaci quanto i bilingui nell’acquisizione di una nuova lingua. Malgrado ciò, vale a dire che altri fattori oltre al bi/monolinguismo possono influenzare il processo dell’acquisizione di una nuova lingua. Anche le variabili socioeconomica e socioeducativa e le competenze ottenute precedentemente nelle altre lingue possono avere un ruolo in tale processo. Inoltre, anche il metodo di valutazione della terza lingua o la distanza linguistica possono essere la causa di risultati divergenti (Cenoz, 2013; Maluch, Kempert, Neumann, & Stanat, 2015). Infine, Edele, Kempert, & Schotte (2018) ritengono che l’ambiguità dei risultati di studi in questo campo possa essere attribuita ai diversi livelli della competenza nella L2 nei bilingui. Maluch, Kempert, Neumann, & Stanat (2015) mettono in evidenza che, per evitare risultati ambigui in future ricerche sui vantaggi dei bilingui nel campo dell’acquisizione di una terza lingua, bilingui con sfondi culturali diversi devono essere chiaramente distinti, perché i bilingui non devono essere considerati come un gruppo eterogeneo.

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1.3.2 Funzione del sistema esecutivo di controllo

Bialystock (2008) mostra che il bilinguismo ha un ulteriore vantaggio: ha un effetto positivo sul controllo esecutivo di un individuo. Il controllo esecutivo viene definito da Pliatsikas & Luk (2016, p. 4) come “a set of skills sustaining goal-directed behaviour”5. Bialystok, Craik &

Luk (2012) aggiungono che si sviluppano piuttosto tardi e che scompaiono anche relativamente presto con l’avanzare dell’età. Bialystock (2008) menziona una ricerca di Miyake et al. (2000) in cui si stabilisce che uno dei processi primari del sistema esecutivo di controllo è l’inibizione (Miyake et al., 2000) che coinvolge la capacità di ignorare determinati elementi mentre controlla e focalizza l’attenzione su altri. Gli effetti dell’inibizione si manifestano ad esempio nel sopprimere una risposta evidente o abituale quando essa è in contraddizione con la risposta migliore (Bialystok & Martin, 2004). Bialystok & Martin (2004) hanno studiato l’attenzione e l’inibizione nei bambini bilingui usando il dimensional change card sort test. Il dimensional change card sort test è un test in cui ai bambini viene chiesto di classificare cartoline che gli vengono presentate secondo diversi criteri. Ogni cartolina ha due dimensioni, ossia una di colore e una di forma. Per la classificazione sono previsti due compartimenti, ognuno segnato con lo stimolo d’obbiettivo secondo il quale le cartoline vanno riciclate, ovvero il colore o la forma. Il test pertanto consiste di due momenti: durante il primo le cartoline vanno categorizzate secondo il criterio di colore, ovvero la prima dimensione (‘Le carte verdi vanno qui e quelle gialle lì’), mentre nel secondo vanno categorizzate secondo il criterio di forma (‘Le carte con triangoli vanno lì, mentre quelle con stelle vanno lì’) (Zelazo et al., 1996; Bialystok & Martin, 2004; Bialystok, 2008). Il test è stato usato in diversi studi (Zelazo et al., 1996; Bialystok & Martin, 2004). È interessante notare che vi sono tre processi diversi che giocano un ruolo in questo test: rappresentazione, inibizione di una risposta e inibizione concettuale. La rappresentazione consiste nella codifica gerarchica di regole e nella rappresentazione di caratteristiche degli stimoli. L’inibizione di una risposta e l’inibizione concettuale sono in ordine rispettivo la capacità di ignorare un movimento precedente e quella di ignorare un’immagine rappresentata precedentemente (Bialystok & Martin, 2004).

Nello studio di Bialystok & Martin (2004) viene affrontata la distinzione tra due processi cognitivi che occorrono diversamente nello sviluppo di monolingui e bilingui, ossia l’analisi di

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rappresentazioni e il controllo di attenzione (si veda anche Bialystok, 1993). L’analisi viene definita da Bialystok & Martin (2004, p. 325) come “the process of constructing mental representations that are increasingly capable of recording information that is detailed, explicit and abstract”6. Il controllo di attenzione è invece “the process by which attention is selectively

directed to specific aspects of a representation, particularly in misleading situations”7 (Bialystok & Martin, 2004, p. 325).

Risulta chiaro che i bilingui sono in vantaggio rispetto ai monolingui nel dimensional change card sort test quando gli stimoli sono categorizzati in base alle dimensioni percettive, non in base alle dimensioni semantiche. Nell’ultimo caso i bilingui e i monolingui presentano risultati equivalenti (Bialystok & Martin, 2004). Il vantaggio del bilinguismo va attribuito a un’inibizione concettuale maggiore. In altre parole, è stato dimostrato che i bilingui sono più allenati nell’inibizione dell’attenzione da una rappresentazione precedente e nell’inibizione dell’attenzione da segnali ingannevoli. Bialystok & Martin (2004) si referiscono a Green (1998) stabilendo che questo allenamento di cui godono i bilingui consiste nella coesistenza di due lingue di cui i bilingui ne sopprimono una continuamente. Infine Bialystok (2008) mette in evidenza che lo sviluppo di capacità nel risolvere problemi che contengono indicazioni ingannevoli (misleading cues) si manifesta a un’età minore nei bambini bilingui che in quelli monolingui.

1.3.3 Consapevolezza metalinguistica

La capacità dei bilingui di inibire l’attenzione e di canalizzarla su determinati elementi può essere osservata anche nel campo metalinguistico. Carranza (2009) si riferisce nel suo studio a diverse ricerche (Cromdal, 1999; Cummins, 1978; Feldman & Shen, 1971) in cui il bilinguismo viene messo in relazione ai vantaggi nel campo metalinguistico. Innanzitutto viene presa in esame la consapevolezza sintattica di un individuo e di seguito il lavoro si concentra sulla consapevolezza del concetto di ‘parola’. Cromdal (1999) stabilisce che i bambini bilingui sanno meglio riconoscere la relazione arbitraria tra una parola e il suo referente: per i bilingui è più facile concentrarsi sulla forma di una parola, visto che la sanno separare meglio dal suo

6 Il processo della costruzione di rappresentazioni mentali che risultano sempre più capaci di riccordard

informazioni dettagliate, esplicite e astratte

7 Il processo tramite il quale attenzione viene indirizzata selettivamente su aspetti specifici di una

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significato. Questa capacità viene spiegata –come il vantaggio dei bilingui nel dimensional change card sort test – riferendosi al processo continuo che ha luogo nella mente bilingue quando viene oppressa una delle loro lingue, mentre viene parlata l’altra.

Carranza (2009) cita Cromdal (1999) definendola la consapevolezza sintattica “the ability to detect and correct grammatical errors by focusing on the form of a sentence”8 (Carranza, 2009, pp.71-72). In primo luogo, è stata dimostrata, tramite test di giudizio della grammaticalità (grammaticality judgment tasks), l’abilità maggiore dei bilingui nel fare selezioni applicando conoscenze. Ad esempio, i bilingui sono capaci di selezionare e correggere più frasi grammaticalmente e semanticamente scorrette rispetto ai monolingui (si veda anche Bialystok, 1986; Bialystok & Majumder, 1998; Cromdal, 1999). I test di giudizio di grammaticalità valutano la consapevolezza sintattica tenendo conto della misura di controllo e della capacità analitica presente in un individuo. Risulta chiaro quindi che i bilingui sorpassano i monolingui nel giudizio della grammaticalità. Questo indica che le competenze selettive si sviluppano prima nei bilingui che nei monolingui. Lo sviluppo precoce di queste competenze si manifesta nei bilingui perché, volendo far corrispondere il loro uso linguistico con la lingua del contesto, sono costretti a ipotizzare continuamente strutture linguistiche cambiandole ed elaborandole (Carranza, 2009).

Inoltre, il vantaggio dei bilingui in campo metalinguistico si può osservare anche nella consapevolezza del concetto di ‘parola’. In Carranza (2009) vengono elencati numerosi studi (Ianco-Worrall, 1972; Ben-Zeev, 1977; Cummins, 1978) che hanno usato il symbol or word substitution test per analizzare la capacità dei bambini nel considerare la lingua come un concetto arbitrario. Il symbol or word substitution test è un test dove una parola va sostituita con un’altra parola, inappropriata al contesto. Carranza (2009) si riferisce a Bialystok (2001) sottolineando che la sostituzione di una parola con un’altra è un compito che richiede controllo di gestione, visto che le esperienze precedenti raccolte con quelle parole vanno completamente ignorate. Carranza (2009) menziona anche altri studi (Feldman & Shen, 1971; Bialystok, 1988) che usano invece un object constancy task o un test sul concetto di ‘parola’ (concept of word task) per indagare la consapevolezza di arbitrarietà di lingua. I diversi studi menzionati qui sopra confermano che i bambini bilingui sono migliori nell’ignorare l’aspetto semantico e nel focalizzarsi sulle istruzioni formali, e confermano inoltre che hanno una consapevolezza

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maggiore di arbitrarietà di lingua (Bialystok, 2001; Carranza, 2009). Carranza (2009) sottolinea che questi vantaggi sono chiari soprattutto in quei compiti in cui, con la presenza di informazioni ingannevoli, bisogna inibire l’attenzione da certe informazioni e concertarla su altre.

1.3.4 Riorganizzazione strutturale nel cervello

Secondo alcuni studi, la struttura del cervello dei bilingui appare essere diversa rispetto a quella dei loro pari monolingui. Mechelli, Cinion, Noppeney, O'Doherty, Ashburner, Frackowiak, & Price (2004) spiegano che esiste una relazione tra le competenze linguistiche delle diverse lingue e il livello di riorganizzazione strutturale nel cervello. Spiegano con la seguente affermazione: “Our findings […] suggest that the structure of the human brain is altered by the experience of acquiring a second language”9 (Mechelli et al., 2004, p. 757).

Negli individui che parlano più di una lingua, la materia grigia nella corteccia parietale sinistra inferiore pare essere più densa. La corteccia parietale sinistra inferiore è un’area del cervello associata all’acquisizione di una seconda lingua. Il bilinguismo, quindi, favorisce un incremento della densità della materia grigia in quest’area. Questo cambiamento di densità si manifesta più chiaramente nei bilingui precoci che nei bilingui tardivi (Mechelli et al., 2004). In più, Bialystock (2008) pone in luce il fatto che l’esperienza ha un’influenza considerevole sulla struttura del cervello. Viene usato il termine esperienza in un senso lato.

Difatti, ad esempio, i tassisti di Londra, che hanno tanta esperienza con la navigazione, mostrano conseguentemente di avere aree ampliate dell’ippocampo, mentre l’uso regolare di quattro dita della mano sinistra, adoperate dai musicisti professionisti per suonare strumenti a corda, causa in loro una rappresentazione corticale rafforzata di queste dita. L’esperienza con due lingue infine è stata dimostrata stimolante per una densità maggiore della materia grigia nella corteccia parietale sinistra inferiore degli individui bilingui. Questa densità maggiore della materia grigia è vantaggiosa per i bilingui, in particolare con l’avanzare dell’età. In effetti, esperienze raccolte durante la vita, come l’acquisizione di una seconda lingua, portano a una riserva cognitiva e questa protegge contro un deterioramento cognitivo (Bialystok, 2008). La

9 I nostri risultati suggeriscono che la struttura del cervello umano viene modificata a cause dell’esperienza

Afbeelding

Figura 1: Strategie interazionali di Lanza (1992) (Nicoladis & Genesee, 1998, p.86)
Figura 2: Esempio di albero sintattico (Szmrecsányi, 2004, p. 1034)
Tabella 1: Analisi della microstruttura del linguaggio da Peristeri et al. (2017)
Tabella 2: Lunghezza media delle frasi semplici e complesse in italiano
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Referenties

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