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La protesta in italiano come lingua straniera, competenze pragmatiche e interazionali inerenti l'atto della protesta

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LA PROTESTA IN ITALIANO COME

LINGUA STRANIERA

Competenze pragmatiche e interazionali inerenti l'atto della protesta

Date: 02/07/2018

Author: Antonio Ruben Perrone Student number: 11632607

Universiteit van Amsterdam (UvA) Supervisor: dr. S.C. Ineke Vedder

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Indice

Abstract ………..3

1 INTRODUZIONE ………..3

2 IL QUADRO TEORICO ………...4

2.1 GLI ATTI LINGUISTICI ………..5

2.1.1 L’apprendimento della pragmatica ………...7

2.1.2 Fraintendimenti culturali ………..8

2.2 LA PROTESTA ………..9

2.2.1 I modificatori ………..12

2.3 LA CONVERSAZIONE INTERCULTURALE ………..13

2.3.1 La competenza interazionale ………..14

2.3.2 Le strategie interazionali: I turni ………14

2.3.3 Verticalizzazione, abbandono del turno e pause ………...15

2.3.4 Le ripetizioni ………..17

2.3.5 Digressioni e sequenze parentetiche………...17

2.4 STUDI RILEVANTI PER LA RICERCA………..………...………...18

3 METODOLOGIA……….22 3.1 DOMANDE DI RICERCA ………..22 3.2 IPOTESI ………...23 3.3 I TASK ……….24 3.3.1 Il test linguistico ……….24 3.3.2 Il task interattivo ………25 3. 4 I PARTECIPANTI ………...26 4 RISULTATI ………...27 4.1 I risultati linguistici ………..28 4.2 I risultati pragmatici ……….29

4.3 Analisi sul grado di familiarità ……….33

4.4 L’analisi delle strategie interazionali ………36

5 DISCUSSIONE ……….41 5.1 I modificatori pragmatici ………..41 5.2 Le Strategie interazionali ……….44 6 CONCLUSIONI ………...46 BIBLIOGRAFIA ……….48 SITOGRAFIA ………..51 APPENDICE ………...52

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Abstract

The following article represents an exploratory research in the field of acquisitional and interlinguistic pragmatics. It has been designed to examine the use of pragmatic modifiers and interactional strategies within the speech act of protest in Italian L2. Main goal of the study consists in establishing what kind of relationships there are among linguistic, pragmatic and interactional competences. 19 Dutch university students, attending bachelor and master courses of Italian language, have performed an interactive oral task and a global language proficiency test. The transcription of the oral task have been used to analyze the use of modifiers and communicative strategies, while the other test has been given to establish the level of L2 proficiency. The study ends then with a discussion of the results and some implications for further researches.

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1 INTRODUZIONE

Vari studi di linguistica acquisizionale hanno stabilito che lo sviluppo della competenza pragmatica si trova a stretto contatto con quello della competenza grammaticale (Kasper / Rose 2002; Rose / Kasper 2001; Nuzzo, 2007; Vedder, 2007). La natura che lega tali relazioni, tuttavia, non è ancora del tutto chiara. Si pensi infatti che, dal punto di vista pragmatico, anche apprendenti L2 con competenze linguistiche elevate non riescono ad approcciarsi allo stesso livello di un parlante nativo (Vedder, 2007). A queste due competenze, ad ogni modo, si può accostare un altro tipo di competenza, denominata competenza interazionale. Attraverso di essa non si attuano scelte inerenti il modo in cui viene espresso un determinato atto linguistico, bensì strategie riguardanti le dinamiche con cui si effettua la comunicazione, intesa come un avvicendarsi di turni tra diversi utenti (Bazzanella, 1994). Si crede che accostare lo studio di tale competenza a quello riguardante la competenza pragmatica possa fornire interessanti spunti di riflessione (Santoro, 2016), e che l’osservazione del rapporto tra competenza linguistica e interazione possa invece confermare alcune teorie che si sono testate in ricerche precedenti (Bazzanella,1999; Ciliberti, 1996; Wiberg, 2004).

Questa ricerca rappresenta, per tanto, uno studio condotto nell’ambito della pragmatica acquisizionale incentrato sull’atto della protesta. Esso inoltre si può identificare come uno studio di carattere qualitativo e esplorativo, in quanto si è provato ad affiancare due diverse tipologie di analisi: una riguardante le competenze pragmatiche e l’uso dei modificatori interni ed esterni, l’altra inerente le competenze interazionali e l’uso di alcune strategie interazionali come per esempio l’abbandono del turno, pause, ripetizioni e digressioni metalinguistiche. Le due analisi, in particolare, si sono entrambe sviluppate in relazione alle competenze linguistiche globali dei partecipanti, risultanti da un test linguistico. Tutto ciò al fine di stabilire una rete di collegamenti tra competenze linguistiche, pragmatiche e interazionali. Diciannove apprendenti di madrelingua neerlandese si sono prestati alla causa, effettuando inizialmente un C-test per definire il loro livello di padronanza della lingua italiana. In seguito gli apprendenti si sono cimentati in un task orale interattivo, caratterizzato da due role play basati sull’atto linguistico della protesta, e differenziati in base al grado di familiarità. Le trascrizioni dei role play sono state poi utilizzate per: 1) individuare il repertorio di modificatori pragmatici adottato dai partecipanti per mitigare la protesta; 2) individuare una serie di strategie interazionali adottate per interagire all’interno di una protesta. In aggiunta, si crede sia opportuno specificare che la presente ricerca può essere considerata come il seguito di un’altra ricerca esplorativa (Term Paper) condotta dallo scrivente a gennaio 2018. Si vuole precisare tale aspetto sin da subito poiché il seguente studio e la ricerca precedente

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possiedono un certo numero di aspetti, riguardanti il metodo di ricerca e il quadro teorico, in comune.

2 IL QUADRO TEORICO

Dopo aver stabilito quali saranno le caratteristiche principali di questo studio e gli aspetti che si indagheranno, si vorrà fornire prima di tutto un certo numero di nozioni riguardanti la disciplina denominata pragmatica. Se si ricerca il termine pragmatica sull'enciclopedia ciò che si può leggere a riguardo consiste in:

Settore degli studi linguistici e semiotici che si occupa del rapporto fra i segni e i loro utenti, ovvero dell’uso dei segni, che ha sempre luogo in un contesto. (treccani.it)

Il termine in questione fu introdotto dal filosofo Morris (1938) nel testo Foundation of a Theory of Sign. Egli suddivise, sostanzialmente, il sistema dei segni del linguaggio in tre categorie, riportate qui di seguito:

• ‘Sintassi: studia le relazioni tra i segni fra di loro; • Semantica: studia le relazioni tra i segni e gli oggetti;

• Pragmatica: studia le relazioni tra i segni e i parlanti’. (Bettoni, 2006: p. 74)

Tuttavia, per avere una prima teoria riguardo la pragmatica e ciò che essa studia, si deve pensare al contributo che il linguista/filosofo inglese John Austin apportò negli anni '50 del secolo scorso. Professore di cattedra ad Harvard, Austin tenne un ciclo di conferenze nel 1955 denominato How to Do Things With Words, il quale fu poi, nel 1962, pubblicato postumo (Austin, 1962). Esso rappresenta le fondamenta di ciò che si è formulato in merito agli studi sull'agire linguistico (Nuzzo, 2007). Austin, perciò, può essere considerato un pioniere degli studi pragmatici e in particolare uno dei creatori della teoria che costituisce uno dei principali riferimenti teorici in questa ricerca: la Teoria degli atti linguistici. Dopo il contributo di Austin, tale teoria fu perfezionata dal filosofo John Searle (1969), con il libro intitolato Speech Acts, dove si riportarono sostanzialmente parziali modifiche a ciò che il suo collega Austin aveva anticipato (Searle, 1969). É opportuno precisare, ad ogni modo, che per ciò che riguarda la lingua italiana nello specifico, 'non si è mai prodotta una tassonomia completa sugli atti linguistici (Sbisà, 1978), ed è perciò consuetudine riferirsi per essa al filone di pensiero collegato alle teorie di Austin e Searle (Nuzzo, 2007:12, Perrone, 2018:5).

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2.1 GLI ATTI LINGUISTICI

Detto ciò, si veda ora cosa implica tale teoria: essa stabilisce che tutti gli enunciati possiedono delle forze distinte (secondo Austin 3 forze precisamente), denominate forza locutiva, illocutiva e perlocutoria. La prima si riferisce al significato, in senso esclusivamente linguistico, che uno e più termini possiedono; la seconda rappresenta il significato "concreto" che un enunciato vuole trasmettere, ossia la volontà di affermare qualcosa, oppure chiedere, ordinare, promettere, rifiutare ecc (Nuzzo, 2007); la terza, infine, costituisce l'effetto o la conseguenza che l'atto linguistico produce nei confronti dell'interlocutore. Ciò che risulta centrale nella teoria di Searle è rappresentato dalla forza illocutoria, ossia ciò che viene indicato anche col nome di significato pragmatico (2007). Può risultare utile a questo punto fornire una delucidazione attraverso la presentazione dei seguenti esempi:

'Locuzione Illocuzione

[1]Arrivederci. saluto

[2]Scusa non volevo! scusa

[3]Puoi passarmi il pane? richiesta

[4]Puoi provare così. consiglio

[5]Chiudi la porta! ordine

[6]Sei ancora in ritardo! protesta' (Nuzzo, 2007)

Le frasi appena riportate, dunque, costituiscono sia un atto locutivo (ci si può riferire ad esse come locuzioni), sia un atto illocutorio, come già affermato in precedenza del resto. Considerare pertanto un enunciato dal punto di vista pragmatico significa comprendere il significato non solo comunicativo, ma anche ciò che esso vuole veicolare concretamente in un determinato contesto. Quest'ultimo svolge un ruolo di primario ordine all'interno della pragmatica (Nuzzo, 2007). Il contesto, infatti, rappresenta la variabile che identifica e determina l'atto illocutorio stesso. Si pensi ad una specifica frase, essa può variare il suo significato pragmatico in base al contesto con cui essa è associata.

Si veda la seguente frase: [7]. E’ tardi!

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Con una frase del genere, difatti, si può esprimere una richiesta verso un conoscente (è tardi, sbrighiamoci!), si può voler dare un ordine al proprio figlio per esempio (è tardi, non puoi più uscire di casa), oppure un consiglio (è tardi, magari è meglio rimandare), oppure ancora una lamentela (è tardi, ormai il volo l'abbiamo perso).

Può succedere, inoltre, che enunciati differenti posseggano, al contrario, la stessa forza illocutiva:

'[8]Sei in ritardo! [9]Sai che ore sono?

[10]Sono due ore che ti aspetto!

[11]Finalmente sei arrivato! ' (Nuzzo, 2007)

Ciò che si osserva negli esempi sopracitati, d'altro canto, può corrispondere a diversi soluzioni per esprimere la stessa lamentela. La differenziazione a livello locutivo appena visionata (esempi 8,9,10,11), potrebbe essere causata, seguendo ciò che si è stabilito in precedenza, dal contesto comunicativo, oppure da altre variabili extralinguistiche. D’altronde, in aggiunta al contesto, si può tener conto all’interno di un enunciato, dal punto di vista pragmatico, anche della distanza sociale tra i parlanti, del grado di imposizione(Brown & Levinson, 1987/Ottaviani & Vedder, 2017). Ecc (si ritornerà in seguito su tali aspetti dettagliatamente).

Ad ogni modo, non sempre gli atti linguistici possiedono una sufficiente forza illocutoria, nel senso che non riescono a veicolare il significato pragmatico di un enunciato. Ciò vale anche per la forza perlocutoria quando, per esempio, non si riesce a produrre un effetto concreto nell’interlocutore. Normalmente, perché un atto linguistico venga ritenuto efficace, devono esistere alcune condizioni (Searle, 1969). Esse sono:

• Condizioni preparatorie: sono inerenti alle conoscenze, le volontà e le aspettative del parlante e del suo interlocutore. Ad esempio, una richiesta possiede come condizione la volontà del parlante di ottenere qualcosa, a suo favore, dal destinatario di tale atto; una protesta invece prevede che il parlante preferisca che il destinatario non faccia una determinata azione oppure che rimedi all’azione già compiuta (Bettoni 2006: 71-136; Nuzzo 2007; Bettoni / Rubino 2007).

• Condizioni di felicità: riguardano il significato convenzionale dell’atto linguistico e le intenzioni del parlante. La protesta, per esempio, viene causata da un atto che viola le norme

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comportamentali, le quali danneggiano il parlante o terzi. Una richiesta, invece, risulta sincera se il parlante vuole effettivamente che il destinatario faccia quanto richiesto(Bettoni 2006: 71-136; Nuzzo 2007; Bettoni / Rubino 2007).

• Condizioni sociali: riguardano i ruoli sociali di chi prende parte ad un determinato atto linguistico. Per esempio, si prevede che il ruolo di un cameriere sia quello di soddisfare se possibile le richieste dei clienti (Bettoni 2006: 71-136; Nuzzo 2007; Bettoni / Rubino 2007). In relazione a tali fattori, pertanto, entra in gioco il concetto di strategia pragmatica. Essa, infatti, risulta essere fondamentale al fine di esprimere al meglio la forza illocutoria o perlocutoria, di soddisfare le condizioni relative ad un determinato atto, e infine di rispettare le variabili extralinguistiche presenti. A questo punto, si crede sia opportuno aprire una breve parentesi: La disciplina della pragmatica non rappresenta un settore di studio compatto e per tale ragione non risulta semplice delineare in modo netto le sue suddivisioni interne. Esse sono in ogni caso la pragmalinguistica, la quale ‘si rapporta alla grammatica dal momento che consiste in forme linguistiche che hanno determinate funzioni’ (Bettoni, 2010: 91-92), la sociopragmatica, legata invece in modo saldo alla disciplina della sociologia (Bettoni, 2010). Si deve tenere a mente, infatti, che ‘la conoscenza di una lingua, prendendo in prestito i termini usati da Nuzzo, include anche la capacità di operare delle scelte in relazione al contesto comunicativo in cui ci si trova’ (2007: 11). Si parla in questo senso di competenza pragmatica, la quale prevede da una parte la conoscenza delle consuetudini e delle norme sociali appartenenti ad una specifica cultura (aspetto sociopragmatico), dall’altra la conoscenza dell’utilizzo delle strutture linguistiche (aspetto pragmalinguistico) che devono essere operate per adottare delle strategie, e cioè delle strutture che modificano gli enunciati in relazione al contesto e ai fattori extralinguistici (Nuzzo, 2007: 23). La presente ricerca e le analisi che verranno operate al suo interno, come detto in precedenza, sono collegate agli studi di pragmalinguistica.

2.1.1 L’apprendimento della pragmatica

Secondo Bettoni (2006), si può attuare un’ulteriore divisione all’interno della disciplina della pragmatica. Alle due sottocategorie già citate, infatti, vi si può aggiungere la pragmatica interculturale, la pragmatica contrastiva e la pragmatica intraculturale. La prima si occupa dello studio della relazioni tra nativi e non nativi di un specifica lingua e cultura; la seconda analizza invece le differenze pragmatiche negli usi linguistici di due lingue e due culture differenti (anche più di due); la terza esamina invece le norme che determinano l’utilizzo di una lingua nel contesto culturale ad essa appartenente (per es. la pragmatica italiana messa in pratica dagli italiani) (Bettoni,

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2006:93). Ciò che questo studio vuole analizzare, come ribadito poc’anzi, è in stretta relazione alla pragmalinguistica, ma anche alla pragmatica interculturale, in quanto vi è un’analisi riguardante le competenze pragmatiche di un gruppo di parlanti L2. nell’ambito interculturale, infatti, l’apprendimento delle regole verbali e non verbali dal punto di vista pragmatico rappresenta un impegno significativo per un parlante non nativo (Bettoni, 2006). Ciò succede perché le abitudini culturali espresse tramite una lingua possono essere differenti rispetto ad un’altra (aspetto contrastivo). A tal proposito risulta cruciale, perciò, ottenere la competenza pragmatica durante l’apprendimento di una lingua straniera. Detto ciò, infatti, si volgerà verso la spiegazione di un altro aspetto relativo agli atti linguistici e in particolare alla possibile mancanza o scarsità di conoscenza pragmatica da parte di un appendente L2. Ciò, per esempio, può avvenire all’interno di enunciati attuati tra un parlante nativo ed un non nativo. Di conseguenza, si parlerà ora del concetto di fraintendimento culturale (Nuzzo & Gauci, 2012).

2.1.2 Fraintendimenti culturali

Si è appurato, dunque, che per sapersi esprimere non basta la competenza linguistica. Ad essa si devono aggiungere (o meglio acquisire se si parla di apprendenti) delle conoscenze che sono in stretta relazione con le norme culturali della lingua in cui ci si esprime. Tale compito non è semplice da realizzare, e per un parlante L2 risulta essere ancora più complesso (Nuzzo & Gauci, 2012). Secondo ciò che suggerisce Vedder (2007), tali competenze sono difficili da ottenere anche tra apprendenti di livello avanzato. La mancata conoscenza e quindi comprensione delle consuetudini pragmatiche di una lingua seconda, inoltre, può essere rappresentata da un determinato fenomeno attribuibile alla conversazione tra nativo e non-nativo, ovvero un fraintendimento culturale. Esso, in altri termini, consiste in una sorta di equivoco di natura pragmatica che si verifica all’interno di un dialogo tra i parlanti sopracitati. Secondo Hua & Kramsch (2016) ‘bisogna ad ogni modo tener anche conto di svariati fattori extra-linguistici che causano questa tipologia di equivoco, come per esempio il sesso, l’età, la religione, la classe sociale; ma anche le relazioni di potere che intercorrono tra un parlante nativo, esperto nella comunicazione, e quello non-nativo non esperto (Bernstein, 2016). La presenza dei sopracitati fattori rende di conseguenza un atto linguistico come quello della protesta un evento problematico per il parlante L2. In aggiunta, si noti come spesso tali parlanti adottino una strategia particolare per sopperire alla loro mancanza di competenza, ovvero quella del transfer pragmatico. Questa strategia viene definita da Kasper & Roever (2005) come la tendenza ad “applicare alla L2 delle norme pragmalinguistiche e sociopragmatiche della L1”(Ottaviani & Vedder, 2017: 3). Essa può attuarsi a livello conscio ed inconscio, con esiti tra l’altro differenti, attribuibili spesso alla distanza culturale che intercorre tra i

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parlanti. Nello specifico, si attribuisce un transfer positivo quando l’utilizzo delle norme pragmatiche della propria lingua nativa favorisce un ‘corretto’ comportamento pragmatico nella L2 (dovuto alla vicinanza culturale delle due lingue), mentre si parla di transfer negativo quando l’applicazione della stessa strategia produce un ostacolo nella comunicazione, causato questo dalle significative divergenze culturali dei parlanti (Ottaviani & Vedder, 2017).

2.2 LA PROTESTA

Come si è potuto leggere nel capitolo introduttivo, il presente studio è incentrato su un atto linguistico specifico, ovvero quello della protesta. Esso è causato dalla ‘volontà del parlante (in questa ricerca parlanti L2) di far notare una trasgressione, attuata dall’interlocutore, delle norme comportamentali di una cultura o di una comunità linguistica’. Tale aspetto rappresenta, come si è affermato prima, una delle condizioni di felicità di questo atto linguistico. Ad ogni modo, si vorrà notare che la protesta è considerata come uno degli atti linguistici più problematici per un apprendente (Nuzzo, 2007), dal momento che, prima di tutto, essa richiede un alto grado di competenza pragmatica (Nuzzo, 2007), e inoltre, vi sono alcune particolarità che la caratterizzano. Infatti, secondo ciò che suggeriscono alcuni studiosi (Bettoni, 2006: 71-136; Bettoni & Rubino, 2007; Nuzzo, 2007) la protesta rappresenta un ‘macro atto comunicativo’, dal momento che essa non finisce con una singola coppia di turni/atti, richiedendone bensì quattro. Si vedano di seguito:  un atto espressivo e/o uno direttivo da parte di chi protesta.

 la reazione da parte di chi è ‘accusato’.  la negoziazione dei due interlocutori.

 la risoluzione, positiva o negativa (Valentini, 2010. p 1).

Ci si soffermi ora sul primo atto/turno: si può notare come si sia riportato che esso può essere un atto espressivo e/o direttivo per il parlante. Questo poiché all’interno di una protesta si attua solitamente un giudizio negativo (componente espressiva) verso un interlocutore, e in aggiunta si ha la richiesta di un atto di riparazione (componente direttiva) (Searle, 1976). La presenza della componente direttiva costituisce anche la sostanziale differenza che esiste tra protesta e lamentela, quest’ultima caratterizzata, infatti, da una sola componente: quella espressiva (Bettoni, 2006; Boxer, 2010; Laforest, 2002). Per ciò che riguarda il secondo atto, ossia la reazione dell’interlocutore, vi si possono avere sostanzialmente due possibili opzioni: l’accettazione del fatto che una determinata regola comportamentale è stata infranta, oppure la sua negazione (Laforest, 2002). In aggiunta, si potrebbe ulteriormente suddividere le due possibili opzioni, dal momento che l’accettazione del

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infrazione può essere intera o parziale, mentre alla negazione della protesta si può accostare la non presa in considerazione. Si veda ciascuna delle opzioni citate nello specifico:

L’accettazione totale delle protesta prevede solitamente che il destinatario di tale atto si prenda la responsabilità della critica subita e che, in seguito, esso provi a scusarsi per il suo comportamento non consono. Per ciò che riguarda l’accettazione parziale invece, sebbene vi sia in essa anche l’accettazione alla critica ricevuta, è caratterizzata solitamente da una giustificazione dell’atto compiuto oppure da un tentativo di minimizzare l’entità del danno recato (Laforest, 2002). La negazione, come si può evincere dal termine stesso, consiste in un tentativo di disconoscere la propria colpa in merito ad una determinata azione. Essa, in aggiunta, può sfociare nel tentativo di colpevolizzare l’altro parlante (o anche terzi) per la critica posta in precedenza, oppure nel minimizzare la sua entità (Laforest, 2002). Infine, la non presa in considerazione prevede che il destinatario della protesta ignori completamente tale atto rimanendo per esempio in silenzio oppure, se si è davanti ad una protesta indiretta, che quest’ultimo ignori la forza illocutiva dell’atto linguistico in questione (Laforest, 2002).

Tornando ora ai turni presenti generalmente in una protesta, si proseguirà con un breve accenno riguardo la negoziazione e la risoluzione, positiva o negativa che voglia essere. Queste parti dell’atto linguistico qui preso in considerazione risultano essere fondamentali, in quanto molto spesso all’interno di esse si deve attuare il maggior sforzo per evitare che, per esempio, una protesta possa tramutarsi in un litigio (Laforest, 2002). Detto ciò, infatti, bisogna notare come questo atto rappresenti un enunciato estremamente impegnativo, a livello di competenza pragmatica, dal momento che esso costituisce un serio rischio per la faccia, si parla in questo senso di protesta vista come FTA (Face Threatening Act).

Si ritiene opportuno, a questo punto aprire una breve digressione riguardo al FTA: per fare ciò si deve partire dagli studi sociologici attuati da Erwin Goffman (1967) e il concetto di face che egli ideò. Con tale termine lo studioso intende ciò che ogni individuo esibisce all’interno di un evento comunicativo e nella dimensione psico-sociale tra individui, ovvero l’immagine di se stesso (Goffman, 1967). Tali concezioni sociologiche, ad ogni modo, sono state in seguito adattate alla pragmatica interculturale di Brown e Levinson (1987). Secondo questi ultimi, infatti, con il termine di faccia ci si riferisce ad una serie di atti che il parlante opera al fine di salvaguardare la propria identità da quella altrui, o in altri termini, la difesa del valore sociale positivo che ognuno rivela attraverso il suo comportamento. Vi sono inoltre due varianti di face (oppure faccia in italiano): quella positiva indica l’appartenenza ad un determinato gruppo e l’importanza a livello sociale che si riveste nei confronti di quest’ultimo, la negativa, al contrario, simboleggia l’autonomia e le

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libertà personali che un individuo possiede.

Per ciò che concerne la protesta, dunque, essa costituisce un atto linguistico minaccioso per la faccia positiva del parlante, in quanto in essa vi è un concreto rischio di risultare scortese qualora non si utilizzassero delle strategie pragmatiche adeguate al contesto situazionale. Inoltre, secondo ciò che affermano Brown e Levinson (1987), in una protesta si mette a repentaglio anche la faccia positiva e negativa del destinatario, dal momento che si mette in discussione il ruolo sociale di tale individuo (faccia positiva) e le sue libertà individuali (faccia negativa).

Tutte le particolarità che si sono commentate finora, dunque, rendono la protesta un atto linguistico pragmaticamente ostico per un apprendente L2 (Nuzzo, 2007; Ottaviani & Vedder, 2017). Egli, infatti, deve riuscire a calibrare gli aspetti sociologici sopracitati, deve inoltre saper valutare i fattori extralinguistici e, infine, ha bisogno di saper applicare all’atto linguistico in questione le strutture linguistiche adeguate. La variabili extralinguistiche, come già accennato, possono essere il grado di familiarità tra parlanti, il grado di imposizione, la distanza sociale. Per grado di familiarità si intende la conoscenza reciproca che esiste tra i partecipanti ad un atto linguistico . Due esempi contrastanti riguardo a questa variabile possono essere un dialogo con un amico intimo e un dialogo con uno sconosciuto. Per grado di imposizione si intende la rilevanza che l’atto illocutivo possiede per gli interlocutori. Un esempio in questo senso può consistere in una protesta per ottenere un posto a sedere occupato da un’altra persona (basso grado di imposizione) e la protesta per avere indietro una somma in denaro (alto grado). Infine la distanza sociale è in stretta relazione ai ruoli sociali che i parlanti rivestono quando dialogano (es. parlare con un avvocato e parlare con il fruttivendolo).

Tornando ora alla protesta, si è detto che oltre a tutte le variabili finora citate si devono saper applicare delle strutture linguistiche idonee. Tali strutture linguistiche hanno il compito di mitigare o rafforzare una protesta. La conoscenza della pragmalinguistica, in questo senso, rappresenta ciò di cui un parlante L2 ha bisogno per riuscire ad attenuare il pericolo per la faccia, sua e del suo interlocutore all’interno, per esempio, di una protesta. Egli, perciò, necessita l’ottenimento delle competenze di utilizzo di un determinato gruppo di strutture linguistiche, le quali vengono denominate modificatori pragmatici.

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2.2.1 I modificatori

Si sono osservati gli aspetti fondamentali che caratterizzano una protesta a livello pragmatico. Si è detto inoltre che, per evitare di sembrare scortesi, è bene che all’interno dell’atto linguistico in questione ci sia il tentativo di mitigare i propri enunciati. Per fare ciò si deve ricorrere alle strutture linguistiche denominate modificatori pragmatici. Essi possono rivestire una funzione mitigatrice, attenuando perciò la forza illocutiva dell’atto linguistico, oppure una funzione rafforzativa, la quale invece intensifica la forza illocutiva (Ottaviani & Vedder, 2017). All’interno di questo studio, in ogni caso, essi verranno visionati ed esaminati secondo la tassonomia sull’atto della protesta di Nuzzo (2007), ricavata a sua volta da quella di Trosborg (1995) e contestualizzata alla lingua italiana. I modificatori pragmatici relativi all’atto linguistico della protesta, e in generale a tutti gli atti linguistici, sono:

• Modificatori interni (mitigatori e rafforzatori) • Modificatori esterni (atti di supporto)

I primi sono delle strutture linguistiche presenti all’interno della proposizione principale costituente l’atto linguistico. Essi, come detto in precedenza, possono diminuire o intensificare la forza illocutiva di tale atto. Per ciò che riguarda i secondi, ovvero i rafforzatori, essi ‘si distinguono generalmente a livello lessicale tra parolacce ed enfatizzazioni’. Si è appurato (Bettoni, 2006; Bettoni & Rubino, 2007; Nuzzo, 2007; Ottaviani & Vedder, 2017) che al fine di risultare cortesi con un interlocutore ed evitare di creare un pericolo per la faccia dei parlanti ciò che risulta cruciale è il ruolo che rivestono i mitigatori interni. In questo studio (ma anche negli studio condotto da Nuzzo) essi sono stati ulteriormente divisi in base alla loro classe di appartenenza, e perciò distinti in mitigatori lessicali, discorsivi e morfosintattici. Si vedano a questo punto individualmente:

• Mitigatori lessicali: ‘termini aggiuntivi che controbilanciano l’impatto dell’affermazione’ (Barron, 2003; Nuzzo, 2007; Trosborg, 1995). Alcuni esempi sono: forse, gentilmente, magari, credo, un po’, per favore (marca di cortesia).

• Mitigatori discorsivi: espressioni che delineano un legame con l’interlocutore a livello discorsivo (2017), fungono da indicatori di fine turno dialogico, oppure riempiono le pause dovute ad imbarazzo (Barron, 2003; Nuzzo, 2007; Trosborg, 1995). Altri esempi qui di seguito: non credi?, verò?, sai, sai?, allora, insomma, veramente, ma.

• Morfosintattici: specifici tempi e modi verbali che rendono la protesta meno diretta (Ottaviani & Vedder, 2017). Per esempio: condizionale, imperfetto, congiuntivo, pronome

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reverenziale Lei, è possibile?, verbi modali (potere, volere, dovere).

La seconda categoria di modificatori, ovvero le strutture denominate con il nome di atti di supporto, si sviluppano invece negli enunciati a livello interfrasale. In altri termini, essi sono costituiti da frasi che si trovano fuori dalla proposizione principale e hanno la funzione di agevolare la sua realizzazione. Normalmente sono costituiti da rabbonitori, preparativi e giustificatori. I primi sono utilizzati al fine di poter mitigare la seguente risposta dell’interlocutore (Trosborg, 1995; Nuzzo, 2007), i secondi anticipano la protesta o il tipo di atto linguistico preso in questione, i terzi forniscono, in questo caso, la motivazione dietro alla protesta. Gli atti di supporto, ad ogni modo, non sono stati suddivisi all’interno dell’analisi effettuata ma sono stati considerati come unica classe di modificatori.

2.3 LA CONVERSAZIONE INTERCULTURALE

Dopo aver discusso ampiamente a livello teorico di una parte di ciò che si è analizzato all’interno di questo studio, si vorrà passare ora ad un altro aspetto che caratterizza questa ricerca, inerente la seconda tipoligia di analisi che è stata effettuata. Ciò di cui si vuole discutere ora, sebbene si trovi in stretta relazione alla pragmatica (Edmondson, 1981), si concentra invece sulla conversazione che avviene tra parlanti e su come essa viene organizzata. Come suggeriscono Sacks et al. (1974) all’interno della conversazione in generale vi sono delle regole ben precise in relazione alla sua organizzazione. Una tra queste consiste nel turn-taking, o ciò che in italiano viene definito organizzazione dei turni. Si parla, nello specifico, del modo in cui i parlanti si approcciano alla comunicazione in relazione ad un determinato evento comunicativo. Secondo Sacks, inoltre, uno degli aspetti cardine del turn- taking consiste nel avere un parlante per volta, possibilmente senza sovrapposizioni o interruzioni. Bisogna notare, tuttavia, che all’interno di numerosi conversazioni ciò non avviene, soprattutto all’interno di conversazioni spontanee (Sacks et al, 1974; Bazzanella, 1994). Questo vale per la conversazione tra parlanti nativi, ma è ancora più vero per la comunicazione interculturale, cioè tra parlanti nativi e non (Wiberg, 2004). All’interno di questo capitolo si vedrà a livello teorico come un apprendente LS (lingua straniera) organizzi il discorso in relazione all’utilizzo di alcune strategie interazionali (SI) adoperate per continuare la conversazione (Wiberg, 2004). Prima di passare a ciò si ritiene sia utile, ad ogni modo, soffermarsi su un altro concetto, ovvero quello della competenza interazionale.

2.3.1 La competenza interazionale

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competenza, la quale si trova in stretta relazione con essa (Edmondson, 1981). Ci si riferisce a ciò che viene definito come competenza interazionale. Con essa si intende la capacità di saper organizzare una conversazione. Tale competenza non è facile da padroneggiare, soprattutto se si effettua in una lingua seconda o straniera. Ciò può succedere perché, in prima istanza, il livello di interlingua (in particolare se non elevato) determina in modo fondamentale la buona riuscita del contributo che si vuole apportare all’interno di un dialogo (Santoro, 2016). Inoltre, e con questo si apre una breve parentesi, si deve considerare in aggiunta l’influenza che la L1 esercita sul modo di interagire di un parlante (Bazzanella, 1994). Si pensi, per esempio, al popolo italiano o generalmente alle culture mediterranee: si sa che queste culture tendono a interrompere maggiormente un parlante all’interno di un discorso (Zamparelli, 2007) rispetto ad altre culture dove, per esempio, tale azione linguistica viene considerata in modo negativo e quindi attuata in minor portata (Zamparelli, 2017). Il parlante di una determinata cultura, tra l’altro, reagisce inconsapevolmente a tutto ciò (Wiberg, 2004). Si può suggerire, quindi, che anche per quanto riguardi l’interazione verbale la L1 possa avere una certa influenza sull’utilizzo della L2 (Bazzanella, 1994).

Tornando invece alla complessità in relazione al livello linguistico, un dialogo tra parlanti nativi e non-nativi viene generalmente marcato come asimmetrico (Liddicoat, 2016), in quanto i partecipanti a tale atto comunicativo possiedono competenze linguistiche differenti. Come suggerito da Wiberg (2004), e rifacendosi anche a ciò che è stato affermato da Bazzanella (1994), all’interno di tale dialogo il ‘parlante non-nativo si trova in difficoltà a proseguire il dialogo faccia a faccia, ricorrendo perciò a strategie che diversificano il suo intervento linguistico da quello che produrrebbe un nativo’ (Wiberg, 2004: 3). Questa particolarità tra l’altro accade anche perché, come suggerito da Bernstein (2016), è lo stesso parlante nativo a rendersi conto della sua posizione di ‘vantaggio’ nei confronti dell’apprendente L2 in termini di ‘potere’ linguistico. Ad ogni modo, in un contesto del genere, i parlanti non-nativi, come è stato già detto, utilizzano delle strategie interazionali al fine di sopperire alla loro posizione di svantaggio nella comunicazione. Esse verranno spiegate nel breve paragrafo seguente.

2.3.2 Le Strategie Interazionali: I Turni

Capita spesso che nelle conversazioni informali e spontanee l’organizzazione dei turni di parola non sia lineare e che si possa riscontrare perciò la presenza di interruzioni e/o sovrapposizioni (Wiberg, 2004). Ciò che accade, in altri termini, è che i partecipanti di un atto linguistico o non rispettino i confini del turno del parlante (ciò che è stato denominato da Sacks et al. 1974 come Inserimento Pre Termine, IPT), e che creino così una sovrapposizione; oppure che il

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parlante avente il turno non riesca a concluderlo, abbandonandolo e dando il via al seguente IPT. Le motivazioni per le quali può accadere ciò possono essere, in relazione a chi compie l’IPT, la volontà di far notare che si è già compreso il discorso fatto dall’interlocutore anticipandolo, la volontà di aggiungere un’informazione aggiuntiva (Bazzanella, 1994), oppure il desiderio di fornire un supporto linguistico al proprio interlocutore (Wiberg, 2003). Le cause di un abbandono del turno, invece, possono essere la non sufficiente competenza linguistica e pragmatica (Ciliberti, 1996; Wiberg, 2004), ma anche l’ansia, la paura, lo stress e in generale gli aspetti caratteriali di ogni individuo.

Ad ogni modo, ciò che interessa maggiormente in questa ricerca non è tanto la figura del parlante che crea la sovrapposizione dialogica e/o quella del ‘interlocutore dominante’, bensì quella del ‘dominato’ (Linell, 1990), all’interno di conversazioni asimmetriche con parlanti nativi e non-nativi (Wiberg, 2004). Sembra utile, tuttavia, far notar in aggiunta che l’aspetto di asimmetricità in un dialogo può essere causato anche da fattori extra-linguistici riconducibili alla distanza sociale e/o al potere intellettuale che l’interlocutore ‘dominante’ esercita (Wiberg, 2004: 3). Alcuni esempi in merito sono le interazioni tra polizia/sospettato (Linell & Jönsson, 1991), oppure tra professore/studente durante un esame (Ciliberti, 1999). Detto ciò, si passerà ora alla descrizione delle strategie interazionali (SI) che il parlante dominato compie nel tentativo di mantenere attiva la conversazione e prendere tempo, oppure per richiamare una sorta di aiuto linguistico da parte del suo interlocutore. Esse sono:

• La verticalizzazione.

• Gli abbandoni del turno e le pause. • Le ripetizioni.

• Le Digressioni Metalinguistiche (DM).

• la Sequenza Potenzialmente Acquisizionale (SPA) e la Sequenza Parentetica Interazionale (SPI).

2.3.3 Verticalizzazione, abbandono del turno e pause

La verticalizzazione consiste in una strutturazione dell’informazione su più turni, i quali sono intervallati da alcuni segnali discorsivi di feedback (si, no, mhm) dell’interlocutore ‘dominante’ (Wiberg, 2004). Al suo interno, inoltre, vi si possono trovare delle pause che, avvertite dall’interlocutore come troppo lunghe, possono portare all’abbandono del turno. Si vedrà qui di seguito un esempio di verticalizzazione riportato dal corpus delle trascrizioni del task interattivo. Si noti che la lettera R sta per ricercatore, mentre la S per studente. Inoltre, le parole tra [] indicano i termini pronunciati dai due parlanti simultaneamente. Il segno (.) o (..) indica una pausa, mentre il

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segno :: dopo una vocale indica invece un allungamento di quest’ultima, il quale può essere considerato anch’esso come una pausa.

Es: n. 1

R: Ehi Ciao Nina! Come stai? Dimmi! Che succede?

S: Ehmm Ciao Ehh (..) Ehh (..) io domani ho un esame, [mhh::]

R: [Ok]

S: Ehh (.) potresti suonare un po' più bassa la chitarra? [per favore]

R: [Ahh ok!]

Come si può osservare dall’esempio appena mostrato l’apprendente struttura il suo discorso in più turni, aspettando che il suo interlocutore dia dei segnali discorsivi di sostegno. All’interno di questa verticalizzazione, come spiegato in precedenza, vi sono delle pause che portano a degli abbandoni di turno, i quali vengono ripresi subito dopo il segnale discorsivo del ricercatore. Si crede che tale strutturazione del discorso possa essere intesa come strategia interazionale di un apprendente, dal momento che un nativo in una situazione analoga potrebbe esporre il tutto in maniera più lineare (Wiberg, 2003). In ogni caso, si può parlare di verticalizzazione e abbandono del turno dovuto a pause prolungate anche in modo differente. Si veda il prossimo esempio:

Es: n. 2

S: Ciao! C'è un problema. R: Che problema?

S: Ehh:: domani ho un esame. [Ma::]

R: [Ok in bocca al lupo]

S: Adesso stai suonando la chitarra [e io::]

R: [Sì:: è] vero. Ti piace?

S: Si è molto:: molto buono ma adesso volevo:: volevo dormire.

In questo esempio il ricercatore non si limita a fornire solo un feedback discorsivo, egli infatti aggiunge nuove informazioni all’enunciato prodotto dallo studente. Un altro aspetto interessante è che un abbandono del turno avviene a livello di sintagma. Infatti, esistono due tipologie di abbandono del turno: una a livello di enunciato e l’altra a livello di sintagma. La prima consiste in un abbandono del turno dopo un enunciato completo con la presenza di una congiunzione, una preposizione o un connettore (come in esempio n.2) a terminare il turno (Wiberg, 2004). La seconda, invece, avviene quando si divide l’enunciato all’interno di un sintagma nominale o verbale, per esempio: ‘si ok ma il::’. Secondo Wiberg (2003) quest’ultimo può

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significare che l’apprendente ha bisogno di tempo per poter ricordare un’informazione grammaticale o uno specifico termine che non gli sovviene in quel momento (Hulstijn, 2002). In questo senso, ‘l’abbandono del turno a livello di sintagma, in particolar modo se non completa il discorso, può indicare una mancanza di competenza lessicale o grammaticale (Wiberg, 2004). In questa ricerca si terra conto principalmente della funzione di richiesta d'aiuto che l’abbandono del turno può indicare, attuato, tra l’altro, da un parlante con carenze sia lessicali sia grammaticali (Wiberg, 2004). Per ciò che riguarda la verticalizzazione, come si è potuto vedere le due strategie sono strettamente correlate fra loro e spesso un certo numero di abbandoni, ripresi in sequenza, formano il fenomeno della verticalizzazione. Ad ogni modo, si ritornerà a discutere di ciò in seguito durante l’analisi nel capito n.4.

2.3.4 Le ripetizioni

Le ripetizioni rappresentano delle strategie interazionali di accomodamento e convergenza, ovvero dei tipi di strategie che vengono messe in atto da degli interlocutori al fine di raggiungere un certo risultato comunicativo (Grosso, 2016). In questo studio ci si concentrerà sulle ripetizioni relative alla produzione e alla comprensione di parlanti non nativi. Esse, ad ogni modo, si distinguono in autoripetizioni ed eteroripetizioni. Le autoripetizioni, come si può evincere dalla parola stessa, sono ripetizioni che l'apprendente produce all'interno del suo stesso turno al fine, per esempio, di accordare le forme verbali o i sintagmi nominali presenti nel suo turno di enunciazione (Wiberg, 2004). Esse vengono definite a volte con il nome di autocorrezioni, dal momento che il parlante ripete uno specifico termine con delle piccole variazioni fonetiche al fine di accordare il genere, il numero o la coniugazione di un verbo (Ciliberti, 1996). Le eteroripetizioni, invece, consistono in ripetizioni, formulate di solito dall'apprendente, di ciò che è stato affermato dall’altro interlocutore dell'atto comunicativo in via di svolgimento (Wiberg, 2004). Nonostante vengano utilizzate a volte anche tra parlanti nativi, le eteroripetizioni rappresentano un fenomeno veramente comune nelle SI degli apprendenti L2. Tuttavia, riguardo a queste ultime, Wiberg ha suggerito che può capitare, all’interno della comunicazione tra nativo e non-nativo, che sia il primo a utilizzare l’eteroripetizione. Ciò avverrebbe al fine di segnalare la ricezione del messaggio con una sottofunzione di rassicurazione (Wiberg, 2004:11). Si continuerà a discutere anche riguardo queste strategie nel capito n. 4.

2.3.5 Digressioni e sequenze parentetiche

Queste tre strategie sono correlate tra loro saldamente, in particolare le Digressioni metalinguistiche (DM) con la Sequenza potenzialmente acquisizionale (SPA) o la Sequenza

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parentetica interazionale (SPI). La prima consiste in una pausa che attua il parlante avente il turno, dovuta all’impossibilità di ricordare un determinato termine o struttura grammaticale. All’interno di tale pausa il parlante pronuncia costrutti del tipo ‘come si chiama?’, ‘non mi ricordo il termine’, ‘come si dice?’ oppure ‘come si dice in italiano?’. Tale digressione, inoltre, può sfociare per esempio in una SPA. Una Sequenza Potenzialmente Acquisizionale (denominata in tale modo e abbreviata in SPA da De Pietro et al., 1989) costituisce un momento comunicativo all’interno del quale un parlante non-nativo chiede, esplicitamente o implicitamente, un feedback al suo interlocutore parlante nativo. l’abbandono del turno che avviene infatti in questa sequenza è chiaramente causato da una lacuna linguistica, la quale viene sopperita dall’intervento del nativo che nel turno successivo fornisce l’informazione necessaria. La sequenza, in seguito, termina con un eteroripetizione formulata dall’apprendente L2. Tale sequenza costituisce ciò che De Pietro et al. (1989) ha anche definito come ‘contratto didattico tra parlante nativo e non-nativo’ (Wiberg, 2003: 9). Per quanto riguarda la SPI, invece, essa consiste in una sequenza parentetica interazionale (Wiberg, 2004), la quale risulta essere quasi identica alla SPA, se non fosse che quest’ultima termina senza una eteroripetizione. Si vedrà di seguito un esempio anch’esso proveniente dal corpus:

Es: n. 3

S: Allora se tu provi ad abbassare un pochino, il suono, io posso (.) usare queste:: cuffine (.) come hai detto? R: Le cuffie le cuffie.

S: Si ecco. Ehh per dormire.

Da notare che anche questo esempio di SPI possiede al suo interno una DM. Queste strategie, in ogni caso, sembra possano essere collegate a parlanti L2 con un livello di competenza linguistica non basso. Wiberg, infatti suggerisce che tali strategie diventino più costanti con un livello di interligua intermedio (2004: 15).

2.4 STUDI RILEVANTI PER LA RICERCA

Si crede sia opportuno a questo punto fornire alcune informazioni riguardanti: • Uno studio relativo alla pragmatica interlinguistica.

• La ricerca relativa all’atto della protesta in lingua italiana.

• Una ricerca riguardante l’analisi di alcune SI utilizzate da NNSs (non native speakers). • Uno studio esplorativo condotto in precedenza dallo scrivente in merito alle competenze

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protesta.

Come si è visto nei capitoli introduttivi, gli studi pragmatici sono alquanto eterogenei e analizzano vari aspetti, i quali conducono in seguito alla distinzione di varie discipline all’interno di questo vasto settore di studi. Si vuole far notare, tra l’altro, che la maggior parte di queste discipline si è sviluppata solo in tempi recenti, e per questo motivo ulteriori ricerche sono necessarie al fine di poter dare una risposta a numerose tematiche che non si sono potute ancora affrontare (Vedder, 2007). Lo studio presente è incentrato, considerevolmente, sull’analisi delle competenze pragmatiche di un gruppo di apprendenti L2. Pertanto, esso rientra nel campo della pragmatica interlinguistica. Un contributo rilevante riguardo tale materia è stato fornito da Anne Baron, con il suo testo Acquisition in Interlanguage Pragmatics: Learning how to do things with words in a study abroad context (2003). In esso si può notare come il primo e il secondo capitolo rappresentino un significativo contributo sulle teorie riguardanti la pragmatica, gli atti linguistici, le teoria della cortesia linguistica, la pragmatica contrastiva e interlinguistica. Il terzo capitolo è invece incentrato sugli aspetti riguardanti esclusivamente la disciplina interlinguistica, le questioni che essa si pone di risolvere come, per esempio, le dinamiche di apprendimento tra parlanti L2 in merito alle competenze pragmatiche. I restanti capitoli invece illustrano lo studio condotto dalla ricercatrice. Esso consiste in una ricerca longitudinale riguardante lo sviluppo delle competenze pragmatiche di 33 apprendenti di tedesco di origine irlandese. L’autrice investiga le strutture discorsive e i modificatori pragmatici che vengono acquisiti più facilmente o con più sforzo dagli apprendenti in merito agli atti linguistici della richiesta, dell’offerta e del rifiuto. Si affrontano, in aggiunta, le tematiche riguardanti il transfer della L1, gli stadi di sviluppo negli apprendenti e la relazione tra competenza linguistica e pragmatica. È opportuno notare, inoltre, che il testo di Barron rappresenta uno dei primi studi a esaminare dettagliatamente gli effetti prodotti da un’esperienza di studio all’estero in merito all’apprendimento della competenza pragmatica (Barron, 2003). Esso, infatti, ha apportato un significativo contributo alla ricerca sulla pragmatica interlinguistica e ha rappresentato una fonte di ispirazione per numerose ricerche successive (DuFon, 2003), compresa la presente.

Per quanto riguarda invece il contesto di ricerca italiano sugli studi pragmatici, è opportuno osservare come la ricerca in merito a tale disciplina si sia sviluppata solo recentemente. Esistono, infatti, poche ricerche in ottica acquisizionale e interlinguistica (per es: l’apprendimento dell’italiano L2). Uno dei pochi studi esistenti ad aver fornito un contributo notevole a riguardo è Imparare a fare cose con le parole. Richieste, proteste, scuse in italiano lingua seconda (2007) di Elena Nuzzo. Il testo consiste in uno studio longitudinale in merito agli atti linguistici della

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richiesta, della scusa e della protesta, da parte di tre apprendenti italiano L2 (Nuzzo 2005, 2007a, 2007b). Si noti infatti come all’interno del presente studio esplorativo vi si possano trovare numerosi aspetti riconducibili ai risultati ottenuti da Nuzzo. Un’altra ricerca utile per l’ideazione di questo studio, incentrata questa esclusivamente sull’atto linguistico della protesta, è quella condotta da Ottaviani & Vedder con titolo La protesta in italiano L2: un caso di autoapprendimento della pragmatica (2017). L’articolo sopracitato ha fornito anche esso un significativo supporto a questa ricerca. Vi sono, difatti, numerosi punti in comune tra i due studi, come la tipologia di analisi condotta (qualitativa ed esplorativa per entrambe le ricerche), l’atto linguistico preso in considerazione, la tipologia di partecipanti (studenti neerlandesi in entrambi i casi), i test pragmatici svolti e infine l’analisi delle stesse strutture pragmatiche (i modificatori). In ogni caso, la ricerca svolta da Ottaviani & Vedder analizza l’utilità, in termi didattici, di una piattaforma multimediale online, denominata LIRA (lira.unistrapg.it), la quale si prefigge di fornire ai propri utenti un supporto riguardo l’apprendimento della competenza pragmatica in italiano. Al suo interno, inoltre, si è dedicato abbastanza spazio alla descrizione di alcuni aspetti riguardanti l’insegnamento e l’apprendimento della pragmatica, l’atto della protesta e le possibili strumentazioni che si usano solitamente per la raccolta dati. Ciò che si è analizzato sono state le produzioni di 6 apprendenti neerlandesi di livello intermedio, tutti studenti di italiano presso l’Università di Amsterdam. In particolare, si è esaminato l’utilizzo dei modificatori interni e degli atti di supporto relativo ad alcune proteste nei confronti di un parlante nativo. L’analisi, tra l’altro, si è attuata in due momenti differenti, ovvero prima e dopo un periodo di autoapprendimento tramite LIRA, al fine di riscontrare un possibile miglioramento delle competenze pragmatiche degli apprendenti. Le proteste si sono differenziate, in aggiunta, in base al grado di familiarità tra parlanti (anche questo aspetto è comune tra le due ricerche). I risultati hanno invece mostrato che i benefici di LIRA risiedano soprattutto nello sviluppo della consapevolezza pragmatica per gli apprendenti, con conseguenze sia sulla ricezione che sull'elaborazione dell'atto di protesta. Infatti, si è potuto notare in essa che la maggior parte degli apprendenti, dopo aver studiato con l'ausilio di LIRA, è migliorata in concisione e chiarezza in merito a tale atto linguistico.

A questo punto si crede sia opportuno, dopo averlo brevemente riportato nel paragrafo introduttivo, soffermarsi su un’altra ricerca che ha apportato un contributo essenziale per questo lavoro, poiché essa ha rappresentato il primo tentativo di studio, attuato dallo scrivente, inerente l'analisi delle competenze pragmatiche di un gruppo di apprendenti L2 in merito alla protesta. La ricerca in questione è stata condotta a gennaio 2018 ed ha investigato l'uso dei modificatori pragmatici tra un esiguo gruppo (6 rifugiati africani residenti in Italia) di apprendenti italiano L2

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con un livello linguistico basso. Obbiettivo di tale studio era constatare la presenza o l’assenza della competenza pragmatica in relazione al livello linguistico dei parlanti, e alla capacità di variare la protesta in base al grado di familiarità e alla distanza sociale. I risultati hanno mostrato, seguendo perciò quello che si è potuto appurare da studi precedenti (Kasper / Rose 2002; Rose / Kasper 2001), che la competenza linguistica e pragmatica sono saldamente correlate fra loro. Inoltre, è emerso che tra apprendenti con livelli linguistici bassi la competenza pragmatica in L2 sia minima. Ciò comporta che gli apprendenti risultino alquanto aggressivi nelle loro proteste (si ricordi la Politeness Theory di Brown e Levinson), e che essi in aggiunta utilizzino in modo significativo la strategia del transfer pragmatico per protestare. Si potrebbe, in conclusione, asserire che il presente studio, come già detto, rappresenta un prolungamento dell’esperimento attuato mesi fa. Tuttavia, come si potrà vedere in seguito all’interno del capitolo che esplica il metodo di ricerca, vi sono delle sostanziali differenze tra i due studi condotti dal sottoscritto.

Prima di concludere questa parte teorica e passare alla descrizione dei metodi di ricerca e all’analisi effettiva, si vuole sottolineare brevemente l’influenza che un altro studio ha esercitato su questa ricerca. Si tratta dello studio condotto da Eva Wiberg (2004): Strategie interazionali dell’apprendente nel dialogo tra nativo e non-nativo. Il suo contributo per questa ricerca è stato significativo, in quanto attraverso la ricerca di Wiberg si è potuta ideare una parte del metodo di analisi presente in questo studio. Ci si riferisce, nello specifico, all’analisi attuata su alcune SI adottate dai partecipanti ai test pragmatici. La ricerca di Wiberg, in ogni caso, analizza le SI adoperate da un gruppo di studenti universitari svedesi frequentanti un corso di lingua italiana all’università di Lund in Svezia (Wiberg, 2004). L’obbiettivo dello studio è consistito nel verificare la possibilità di accostare l’uso di alcune strategie interazionali (verticalizzazioni, abbandoni del turno, pause, ripetizioni, SPI, SPA e digressioni metalinguistiche) ai criteri morfo-sintattici. Questi ultimi, si deve sapere, vengono solitamente considerati validi per determinare il livello linguistico di un parlante. In aggiunta, un altro quesito è stato il voler stabilire se la presenza di alcune SI sia costante oppure possa variare a seconda del livello di interlingua posseduto dagli informanti(Wiberg, 2004). L’analisi di tali strutture è stata attuata su un gruppo di 9 studenti con un livello linguistico intermedio. Il corpus di dati analizzato si è ottenuto invece tramite la registrazione di dialoghi avuti tra la ricercatrice e gli informanti a livello individuale. Inoltre, i dialoghi in questione sono stati tutti operati nel medesimo contesto situazionale, mentre i criteri ‘morfo-sintattici per stabilire il livello linguistico sono consistiti nell’analisi degli accordi entro il sintagma nominale, entro il sintagma verbale e l’accordo del participio per numero e persona’ (Wiberg, 2004: 6). La ricerca ha stabilito che gli apprendenti con un livello linguistico più basso

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sono più dipendenti dall’interlocutore e perciò utilizzano in quantità maggiore le SI. Gli informanti con un grado linguistico più elevato, invece, ricorrono solo ad alcune strategie, tralasciandone altre. Lo studio, in conclusione, afferma che l’analisi di alcune SI può essere equiparata all’analisi dei criteri morfosintattici usati per stabilire i livelli linguistici tra parlanti non-nativi. Detto ciò, bisogna far notare che lo studio di Wiberg non è privo di limitazioni. Una su tutte è la sostanziale assenza di un’argomentazione teorica che giustifichi il legame tra SI e i criteri morfosintattici. Ad ogni modo, si voglia ricordare che anche questa ricerca viene identificata come ‘esplorativa’ in merito all’analisi delle SI, dal momento che si è voluto accostare questo tipo di analisi a quella per le competenze pragmatiche. In questo senso la presente ricerca esplora degli ambiti della pragmatica in modo originale. Si crede, infatti, che questo contributo possa in qualche modo suggerire il percorso per ricerche future che adottino metodi di analisi simili a questo. Si passerà di seguito alla descrizione della ricerca.

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3 METODOLOGIA

3.1 DOMANDE DI RICERCA

All'interno di questa sezione vengono posti gli obiettivi che questa ricerca si impegna a raggiungere attraverso la formulazione di tre domande, le quali rappresentano i presupposti teorici sui quali l’intero lavoro si è basato. Le si possono leggere qui di seguito:

RQ1. Qual è il rapporto tra la competenza pragmatica, intesa come l’uso dei modificatori interni ed

esterni di un apprendente IFL (Italian Foreign Language), e il suo livello di competenza linguistica

misurata in base allo svolgimento di un C-test?

RQ2. Qual è il rapporto tra la competenza pragmatica, intesa come l’uso dei modificatori interni ed esterni di un apprendente IFL, e il grado di familiarità che intercorre tra i partecipanti di una protesta?

RQ3. Qual è il rapporto tra le strategie interazionali presenti in una protesta di un apprendente IFL e il suo livello di competenza linguistica, misurata in base allo svolgimento di un C-test? Dunque, sulla base di ciò che si è potuto affermare nei paragrafi precedenti si evince chiaramente che l'obbiettivo principale in questo studio risiede nell'analisi delle competenze pragmatiche e interazionali in relazione all'atto linguistico della protesta. Per misurare tale competenza è necessario prima di tutto analizzare il livello linguistico globale di un gruppo di parlanti attraverso un C-test, il quale può fornire dei valori abbastanza precisi e oggettivi (Khoshdel-Niyat, 2017). In seguito bisogna esaminare i risultati emersi da tale test con i dati inerenti le competenze pragmatiche, le quali sono misurabili attraverso l'osservazione dell'uso dei modificatori interni ed esterni (Nuzzo, 2007). È necessario, inoltre, verificare i dati dei test pragmatici in relazione a fattori extra-linguistici come il grado di familiarità tra parlanti (ricordiamo che per grado di familiarità si intende il livello di conoscenza reciproca che due o più parlanti possiedono in base a ciò che è stato affermato da Brown e Levinson 1987). Dopo di ciò, è opportuno attuare un’analisi delle strategie interazionali (SI) che un un apprendente IFL (colui che viene denominato anche come parlante non-nativo) può adottare all’interno di un dialogo asimmetrico(Liddicoat, 2016), e infine attuare un confronto tra tali strategie, o meglio il livello di competenza linguistica che risulterà dall’analisi dell’impiego delle strategie interazionali, e i risultati provenienti dal C-test (Vedder, 2007).

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3.2 IPOTESI

Si possono esprimere a questo punto le ipotesi riguardanti ciò che ci si aspetta di trovare dall’analisi dei role play. Si ipotizza che:

Ipotesi 1

• I livelli di competenza linguistica siano direttamente proporzionali al numero e il tipo di modificatori pragmatici utilizzati, e che quindi coloro che hanno ottenuto i punteggi più alti nel test linguistico siano anche gli individui con le competenze pragmatiche più elevate. Ipotesi 2

• Solo coloro che otterranno un punteggio elevato nel test linguistico sapranno differenziare, in riferimento all’uso dei modificatori, la protesta con alto e basso grado di familiarità attuata nei role play.

Ipotesi 3

• I livelli di competenza linguistica siano inversamente proporzionali al numero di strategie interazionali che normalmente applica un NNS, e che quindi coloro che hanno ottenuto i punteggi più alti nel test linguistico siano gli individui ad aver utilizzato meno le SI. Al fine di fornire una chiave di lettura completa, si vorrà aprire ora una breve parentesi per poter riportare ciò che è emerso da alcune ricerche in merito allo studio delle competenze pragmatiche. Si è potuto appurare infatti, che la competenza grammaticale, soprattutto per una lingua straniera, non implica automaticamente la presenza di una competenza pragmatica (Salsbury / Bardovi-Harlig 2000). Allo stesso tempo, si può tener presente che una bassa competenza grammaticale non debba per forza equivalere ad una bassa competenza pragmatica (Schmidt 1983; Olshtain / Blum-Kulka 1985). Sembra rilevante riportare, inoltre, come studi precedenti abbiano affermato che risulta estremamente difficile che le competenze nell'uso dei modificatori da parte di parlanti non nativi possano eguagliare quelle di parlanti nativi, anche qualora i primi posseggano un livello di padronanza sintattica relativamente alto (Bardovi-Harlig 2001; Kasper 2001).

Detto ciò si crede sia utile, in aggiunta, fornire adesso alcune ipotesi supplementari collegate alla seconda e alla terza domanda di ricerca. In base a ciò che lo scrivente ha potuto appurare dalla ricerca condotta precedentemente (Il term paper) si crede si possa riscontrare, per quanto riguarda i modificatori (la seconda ipotesi), che:

• I partecipanti dimostrino una maggiore mitigazione nei confronti di una persona sconosciuta, ovvero che si esprimano un maggior grado di cortesia nel role play a basso

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grado di familiarità.

Per ciò che riguarda invece le strategie interazionali (terza ipotesi) ci si aspetta invece che:

• Ci sia la presenza di un certo numero di strategie interazionali (SI) come la verticalizzazione, l’abbandono del turno, pause, etero-ripetizioni, autoripetizioni, digressioni metalinguistiche, SPA e SPI. (Wiberg, 2004).

3,3 I TASK

All'interno di questa ricerca si è previsto lo svolgimento di due tipologie di test da somministrare a dei gruppi di studenti neerlandesi di lingua italiana. I test in questione consistono in un test per la valutazione delle competenze linguistiche globali (C- test) e un test per la valutazione delle competenze pragmatiche (role play).

3.3.1 C- Test

Normalmente il C-test si sviluppa attraverso la lettura di almeno quattro testi brevi (quello utilizzato in questa ricerca ne ha cinque) nella lingua obbiettivo, i quali vengono modificati secondo una regola che prevede l’omissione della seconda metà di alcune parole all’interno dei testi, lasciando tuttavia inalterate la prima e l’ultima frase di ogni testo (Khoshdel-Niyat, 2017).

Si riporterà ora una frase presente nel test per dare un esempio più specifico:

L'uo_ _ è sta_ _ fermato da_ carabinieri pe_ un contr_ _ _ _ mentre er_ a bor_ _ di un_

L'uo_ _ è sta_ _ fermato da_ carabinieri pe_ un contr_ _ _ _ mentre er_ a bor_ _ di un_

macchina d_ grossa cilind_ _ _ _ .

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Obbiettivo del test è quello di far completare ai partecipanti il massimo numero di parole (in media 20 a testo), le quali sono stare tutte tratteggiate nella loro parte omessa. Inoltre, come si può notare anche dall’esempio riportato, il numero di lettere tralasciate in ogni parola può variare sensibilmente, da un minimo di 1 ad un massimo di 7. Per quanto riguarda il punteggio finale risulta utile sapere che anche una sola lettera errata equivale ad un errore e che tale errore, di conseguenza, comporta la perdita di un punto (Khoshdel-Niyat, 2017). Il compito del scrivente è consistito, invece, nella correzione di tutti i test e nella somministrazione delle valutazioni. Sembra opportuno aggiungere, inoltre, che il C-test si è sviluppato come modifica del più comune e ben noto Cloze-test, il quale viene spesso utilizzato per la valutazione delle competenze linguistiche (Grotjahn & Stemmer, 2002). Tuttavia, si crede che il C-test rappresenti uno strumento di lettura maggiormente efficace, dato che a differenza del Cloze-test in esso vi sono testi di vario genere. Il Cloze, infatti, si costituisce di un unico testo abbastanza corposo, all’interno del quale vi si trova l’omissione intera

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di alcune parole. La peculiarità del C-test comporta perciò la riduzione della possibilità di avere un partecipante avvantaggiato (ciò che si ritiene possa accadere nel cloze) per una eventuale conoscenza pregressa del testo preso in esame. In aggiunta, dato che le soluzioni accettabili nel C-test corrispondono generalmente a un’unica risposta, esse rendono la correzione più semplice e oggettiva (Khoshdel-Niyat, 2017).

3.3.2 Role play

Si passerà ora, invece, alla descrizione del test pragmatico, il role play. In altri termini, ciò che si è effettuato consiste nella registrazione di una serie di produzioni orali semi spontanee incentrate sulla protesta. La tipologia di role play in questione, tra l’altro, può essere definita come semi-aperta, in quanto da una parte gli apprendenti ricevono solo alcuni input iniziali riguardanti il contesto, i ruoli dei partecipanti e il tipo di protesta da effettuare, dall’altra vi è la figura del ricercatore che funge da interlocutore. In un role play chiuso o in un DCT (Discourse Completion Test), diversamente, si prevede la produzione orale di un solo turno, all’interno del quale si cerca di rispondere allo stimolo ricevuto (Ottaviani&Vedder, 2017). Si è preferito, perciò, utilizzare la tipologia di role play semi-aperto per fornire la possibilità agli apprendenti di esprimersi in modo più autonomo durante le registrazioni. Il destinatario della protesta, come si è detto, è stato interpretato ogni volta dallo scrivente. Occorre dire che si è sempre cercato di reagire alla protesta in un modo uniforme, e cioè attraverso una parziale accettazione della lamentela subita, seguita però da una giustificazione al gesto compiuto. In seguito nel comportamento del sottoscritto si è vista la presa di una posizione opposta a quella del protestante e il tentativo finale di arrivare ad un compromesso. I role play in questione sono due e si differenzieranno, come già accennato in precedenza, in base al grado di familiarità che intercorre tra i partecipanti all’evento comunicativo. Si vedano ora nello specifico:

a) Role play con alto grado di familiarità tra i parlanti (protestare con il coinquilino):

Sei a casa e bussi alla porta del tuo coinquilino che è impegnato a suonare la chitarra ad un certo volume. Protesti con lui per farlo smettere, dato che è già mezzanotte e domani mattina hai un esame importante.

b) Role play con basso grado di familiarità tra i parlanti (protestare con un cameriere): Sei seduto in una caffetteria e aspetti per avere un panino. Quando arriva il cameriere con il tuo cibo gli fai notare che tu lo avevi chiesto senza mayonese perché sei intollerante alle uova. Protesti quindi per averne un altro e fai valere le tue ragioni da cliente.

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Si noti tra l’altro che il Role play a) è già stato adoperato in un altro studio incentrato sull’analisi dell’atto linguistico della protesta (Bettoni, 2006). Ad ogni modo, all’interno del primo role play il ricercatore si è giustificato per il suo comportamento facendo notare che anche egli studia in quel momento per una performance in un concerto per il giorno seguente. Il dialogo si è perciò tramutato in una negoziazione e infine in un tentativo di ‘riparazione’. Nel secondo role play, invece, si può ancora notare la presenza di una giustifica iniziale da parte del ricercatore e in seguito un comportamento lascivo da parte di quest’ultimo, al fine di non mostrarsi accondiscendete verso il cliente. Anche questo role play termina, inoltre, con un tentativo di ‘riparazione’ tra le parti. Ad ogni modo, la ragione per la quale si è scelto di ideare dei role play e somministrarli a dei gruppi di studenti di italiano è, come si è fatto notare precedentemente, la volontà di analizzare l’impiego dei modificatori pragmatici interni ed esterni presenti nelle produzioni dei partecipanti ai test. L’analisi dei dati pragmatici, inoltre, si è effettuata secondo la classificazione ideata da Nuzzo (2007), la quale ipotizza una suddivisione in due sottogruppi per i modificatori interni, da una parte i mitigatori, i quali a loro volta si distinguono in tre sottoclassi (lessicali, discorsivi e morfosintattici); dall’altra i rafforzatori pragmatici, i quali però non verranno suddivisi a loro volta all’interno di questo studio. Infine, sembra opportuno aggiungere che la trascrizioni della totalità dei role play è stata riportata attraverso il sistema Jefferson (Fatigante, 2006).

3.4 I PARTECIPANTI

Si era previsto inizialmente di avere a disposizione tre gruppi distinti di studenti universitari neerlandesi che studiano la lingua italiana e frequentano il secondo anno del corso di laurea triennale delle Università di Amsterdam, Leiden e Utrecht. Tuttavia, durante la somministrazione dei test il gruppo di studenti di una delle 3 università ha deciso di non aderire più all’esperimento e, per questo motivo, si è deciso di aggiungere un nuovo gruppo di parlanti. Quest’ultimo è composto da parlanti ‘esperti’ frequentanti un master in lingua italiana presso l’Università di Amsterdam. Quest’ultimo gruppo ha alle spalle uno studio della lingua superiore ai quattro anni di corso. Inoltre, è opportuno precisare che alcuni studenti del Bachelor iscritti a secondo anno (3 in totale) hanno in realtà appreso la lingua italiana prima di iniziare a frequentare il corso in questione, precisamente durante una loro esperienza di studio in Italia della durata di due anni. Si crede che questi studenti, per tanto, debbano essere raggruppati all’interno del secondo gruppo, quello dei frequentanti il master in lingua italiana, poiché la loro competenza linguistica è più elevata rispetto al gruppo con solo 2 anni di apprendimento alle spalle. Ad ogni modo, si è riuscita a ottenere in fine la partecipazione di nove studenti frequentati tutti il secondo anno del Bachelor presso l’università di Leiden e Uva , e di 10 studenti aventi tutti più di 4 anni di studio della lingua italiana, per un totale

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