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Studi preliminari all’edizione de Il Thesoro della volgar lingua di Reginaldo Accetto

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Studi preliminari all’edizione de Il Thesoro

della volgar lingua di Reginaldo Accetto

Master thesis

Italian Language and Linguistics

Leiden University

Academic year 2019/2020

Claudia Weij

s1511246

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Un ringraziamento speciale al mio relatore dr. Claudio Di Felice, per il suo supporto, la sua conoscenza e le sue indicazioni che mi hanno guidato nella stesura di questa tesi.

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INDICE

Introduzione 04

Capitolo 1: Biografia e Pubblicazione 06

1.1 Biografia di Reginaldo Accetto 06

1.2 Un frate e la lingua volgare 08

1.3 Giuseppe Cacchi 11

Capitolo 2: Metodologia 13

2.1 Recupero degli esemplari 13

2.2 Fasi della ricerca 14

Capitolo 3: Analisi 17

3.1 Aspetto fisico e varianti 17

3.2 Struttura testuale 19

3.3 Analisi linguistica 20

Capitolo 4: Collazione 34

4.1 Errata corrige 34

4.2 Le varianti 34

4.3 Varianti intenzionali vs. varianti incidentali 38

Conclusione 40

Bibliografia 42

Sitografia 44

Appendice I: Trascrizione critica 45

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INTRODUZIONE

Il Cinquecento è un periodo interessante nello sviluppo della lingua italiana, per essere più precisi, delle lingue volgari italiane. È l’epoca in cui si riapre la discussione riguardo alla cosiddetta questione della lingua, il dibattito riguardante la scelta di quale modello linguistico adoperare nella letteratura. Lo studio dei linguisti e delle loro opere di questa epoca si limita spesso ai grandi nomi come Pietro Bembo, Gian Giorgio Trissino o Giovanni Francesco Fortunio, invece all’ombra restano autori meno conosciuti e perciò meno studiati. Uno di questi è Reginaldo Accetto, un frate napoletano che è un contemporaneo dei sopra menzionati e che, oltre alla sua vita ecclesiastica, si occupava dello studio della lingua volgare, dando particolarmente attenzione alla pronuncia e di riflesso anche alla resa grafica del volgare.

In questa tesi studieremo il lavoro principale di Accetto, il Thesoro della volgar lingua1 pubblicato a Napoli presso Giuseppe Cacchi nel 1572. Il nostro obbiettivo di ricerca è di effettuare alcune ricerche preliminari di tipo storico e bibliografico sul trattato che attende ancora di essere inquadrato nell’ambito della cosiddetta questione dell’ortografia della lingua volgare.

La questione ortografica

Nel Cinquecento si riapre la discussione sulla cosiddetta questione della lingua, il dibattito riguardante la scelta di quale modello linguistico adoperare nella letteratura della penisola italiana. Nell’ambito di questa discussione si sviluppa anche il dibattito sulla sua ortografia, ossia sulla necessità di trovare un sistema grafico efficace per rappresentare la sua pronuncia. Ci concentriamo sull’ortografia in quanto il nostro Accetto dedica il suo Thesoro proprio ad essa.

L’importanza dell’ortografia è già segnalata da Fortunio nelle sue Regole, che la considera parte della grammatica al contrario della tradizione umanistica (Richardson, 2016). Di contro, Bembo nelle sue Prose della volgar lingua, che tanto hanno influenzato le

1 Titolo completo: Il thesoro della volgar lingua. Del reuerendo padre fra Reginaldo Accetto da Napoli,

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discussioni sul volgare, affronta la questione solo occasionalmente, quando suggerisce la grafia di certe parole, ma senza entrare nel merito della questione.

Gian Giorgio Trissino svolge un ruolo importante nella questione ortografica. Nel 1524

scrive la sua Epistola delle lettere nuovamente aggiunte alla lingua italiana, in cui propone una riforma del modello ortografico fondato su una pronuncia influenzata, oltre che dal fiorentino, dalla lingua cortigiana. Trissino cerca di riformare l’alfabeto volgare tra l’altro con l’adozione di vocali e consonanti greche, ossia la ε e la ω rispettivamente per la e e la o aperta, ma le sue riforme incontrano critiche feroci da parte dei toscani tra cui anche Claudio Tolomei. Egli combatte le riforme ortografiche del Trissino nel suo Polito e propone l’eliminazione dei retaggi etimologici e l’aggiunta di “tredici nuovi suoni: e aperta, o aperta, i semiconsonante e consonante, u semiconsonante, v consonante, l, n e s palatali, s e z sonore, c e g velari” (Di Felice, 2003: p. 50). Le soluzioni ortofoniche ideate da Tolomei vennero riapplicate nella Grammatica de la lingua italiana di Alessandro Citolini (1572-74), il primo a proporre un sistema ortografico di trenta lettere.

Orazio Lombardelli è un altro studioso nel campo della riflessione linguistica e si concentra, tra l’altro, sulla lingua volgare del Cinquecento. Scrive varie opere linguistiche tra cui Della pronunzia toscana (Firenze: nella stamperia ducale 1568) e I fonti toscani (Firenze: Giorgio Marescotti 1598). Quest’ultimo con l’obiettivo di classificare e descrivere i diversi aspetti che caratterizzano il miglior modo d’uso del volgare toscano, in cui spazia dal campo grafico-fonetico a quello retorico-letterario, ma è considerato interessante anche nello studio dell’ortografia. Inoltre Lombardelli scrive l’Arte del puntar gli scritti (Siena: Luca Bonetti 1585), in cui formula delle regole nell’uso dell’interpunzione.

Obiettivi della ricerca

Vale la pena sottolineare che la grammatica di Accetto non è stata finora oggetto di studi specifici e appare interessante in quanto si concentra sull’ortografia del volgare, a differenza della maggioranza delle grammatiche del periodo. Gli obiettivi della ricerca sono i seguenti:

• Collazionare le copie della princeps secondo i metodi della bibliografia testuale. • Trascrivere filologicamente il trattato.

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CAPITOLO 1

Autore e Pubblicazione

Come menzionato nell’introduzione i linguisti meno conosciuti restano spesso all’ombra dei grandi nomi. Non solo per quanto riguarda il loro lavoro, anche le informazioni sulla loro vita personale e professionale sono scarse. Gli studi su Bembo o Fortunio sono numerosi ed estesi; c’è una vasta quantità di informazione a cui possiamo accedere, come La lingua italiana, profilo storico (Bologna: il Mulino 2002) di Claudio Marazzini o gli articoli di Brian Richardson in The Italianist, tra cui The creation and reception of Fortunio’s Regole grammaticali (1516) (36.3, 2016: pp. 359-374). Invece, la ricerca di studi su Accetto non produce tanti risultati. Infatti, troviamo soltanto un’entrata del Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani interamente dedicata al frate napoletano ed alcune fonti indirette in cui si fa riferimento ad egli, come, ironicamente, in un articolo che parla di Bembo: La fortuna del Bembo a Napoli e altri temi di storia linguistica rinascimentale di Paolo Bongrani.2 Per giustizia dobbiamo ammettere che questa grande differenza di attenzione è in linea con i contributi allo studio e allo sviluppo della lingua (volgare) nel Cinquecento. Il contributo di Accetto al dibattito linguistico dell’epoca non è comparabile a quello di Bembo, comunque vale la pena studiare il lavoro di Accetto per il suo ruolo negli ambienti religiosi napoletani. Prima di entrare nei dettagli, dedichiamo un paragrafo alla sua vita e in seguito diamo qualche informazione su Giuseppe Cacchi, lo stampatore del Thesoro.

1.1 Biografia di Reginaldo Accetto

Le principali informazioni biografiche su Reginaldo Accetto sono esposte nell’articolo del Dizionario Biografico degli Italiani delle Treccani (da Alberto Asor Rosa, 1960). Asor Rosa nota che il cognome Accetto conosce più varianti grafiche: ‘Accetto’, ‘Acceto’ e ‘Aceto’. Troviamo perfino una quarta forma, ‘d’Accetto’, nel Breve compendio de gli piu illustri padri nella vita, dignità, uffici, e lettere ch'hà prodotto la prov. del Regno di Nap. dell' Ordine de

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predic.3 Comunque, presumiamo che ‘Accetto’ sia la forma più corrente, visto che questa ortografia è riportata sul frontespizio del Thesoro.

La data ed il luogo della sua nascita non possono essere dati precisamente, ma è certo che Accetto nacque nei primi decenni del Cinquecento, probabilmente a Napoli da famiglia di Massa Lubrense. Il compendio di Niccolò Toppi del 1678 sostiene questa origine massese: “REGINALDO ACCETTO di Massa lubrense dell’Ordine de’Predicatori.”4 Eustachio D’Afflitto5 invece esprime i suoi dubbi riguardo a questa origine: “Quasi tutti gli Scrittori, che parlan[o] di lui, lo dicono nato nella Città di Massa, detta Lubrense, vicina a Sorrento, ma senza addurne alcuna pruova. Egli si disse da Napoli nel Frontispizio del suo Tesoro della Volgar lingua; ed Egli dovea meglio degli altri saperlo. (1782: p. 12) ... Perchè dirsi da Napoli, e non da Massa, se in questa e non in quella Città fosse nato?”(1782: p.13).

Accetto ricevette la sua educazione dai domenicani in San Pietro Martire (Napoli) dove ottenne il titolo di Sacrae Theologiae Magister,6 dopodiché fu membro del magistero del convento di San Domenico Maggiore dove spese una gran parte della sua vita, prima da professore dei novizi, poi baccelliere7 fino a diventare reggente. È probabile che nei suoi anni di insegnamento educò Giordano Bruno, che trascorse il suo noviziato al convento di S. Domenico Maggiore.8

Continuò la sua carriera ecclesiastica entrando nel collegio dei dottori di teologia dello Studio domenicano di Napoli come predicatore e studioso di retorica e teologia. È in questo periodo che scrisse il suo Thesoro della volgar lingua. Asor Rosa nota che l’operetta è di “scarso valore storico e scientifico”, e che inoltre appare “ingenua nel suggerire una forma piuttosto che un’altra della parola”, definendolo una “specie di zibaldone lessicale e ortografico.” Oltre al suo lavoro nel campo della lingua Accetto pubblicò alcune opere religiose, tra cui Predica del Santissimo nome di Dio, fatta… nella veneranda chiesa di S. Pietro Martire

3 Cfr. Valle, T., (1651). Breve compendio de gli piu illustri padri nella vita, dignità, uffici, e lettere ch'hà

prodotto la prov. del Regno di Nap. dell' Ordine de predic. ... fino al presente anno 1651. Napoli: Secondino

Roncagliolo, p. 266.

4 Cfr. Toppi, N., (1678). Biblioteca napoletana, et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli, e del regno

delle famiglie, terre, città e religioni, che sono nello stesso regno. Dalle loro origini, per tutto l'anno 1678. Opera del dottor Nicolò Toppi patritio di Chieti, ... diuisa in due parti. Napoli: Antonio Bulifon, p. 269.

5 Cfr. D’Afflitto, E., (1782). ACCETTO (Reginaldo), in Memorie degli Scrittori del Regno di Napoli, vol. 1.

Napoli: Simoniana, pp. 12-14.

6 Sacrae theologiae magister (STM) è un grado accademico attribuito dal maestro generale dell’ordine

domenicano ai membri più distinti nello studio della teologia (Ereticopedia, 2014, in <http://www.ereticopedia.org/magister-sacrae-theologiae>).

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(1578), Salutationes ad SS. Nomen Dei dicendae a con fratribus societatis eius (1581), e una serie di trattati: Rettorica nuova, Trattato dell’anno santo, Trattato del celibato dei sacerdoti e Ricchezze spirituali della Chiesa militante, tutti a Napoli.

Riportiamo qui di seguito le informazioni nel compendio9 di Teodoro Valle da Piperno (1651: p. 266):

Del P. Frà Reginaldo d’Accetto Napolitano, Teologo, e gran Predicatore, e d’alcun’altri Padri, che fiorirno in detto tempo. Frà Reginaldo d’Accetto Napolitano, figlio del Regal Conuento di S. Pietro

Martire di Napoli, Maestro in Teologia, agregato trà gli Dottori del Collegio, Baccelliere ordinario, e poi Rege[n]te nel studio generale di S. Domenico di Napoli. Gran Teologo, e gran Predicatore. Scrisse in bellissimo stile vn libro detto tesoro della lingua volgare. Vn trattato dell’Anno santo. Vno del Celibato. Vn libro dell’Ortografia della lingua volgare.10 Vn’altro della Rettorica nuoua. Vno delle

ricchezze spirituali della Chiesa, ed altri Opuscoli. Andò all’altra vita nel suo Conuento l’anno 1590.

1.2 Un frate e la lingua volgare

Dato il fatto che Accetto fu docente di teologia, una disciplina tradizionalmente insegnata in latino, resta ancora la domanda come mai un frate domenicano si sia interessato alla lingua volgare da scrivere un trattato linguistico come il Thesoro. Proviamo a ricostruire e ipotizzare come si è sviluppato il suo interesse per la lingua volgare.

Accetto spiega che scrisse il lavoro partendo dall’idea che potrebbe essere utile per ognuno, “da qualsiasi paese”, che vuole imparare la lingua volgare, quella che egli definisce “scienza di ben parlare, e correttamente scriuere” (c. A3r). Considerando questo, possiamo individuare un motivo di ordine didattico, dopo tutto lui fece l’insegnante. Comunque, questa volontà di creare un opera informativa non spiega la scelta dell’argomento.

Un altro aspetto di cui dobbiamo tenere conto ipotizzando sul suo interesse nei confronti del volgare, è il fatto che Accetto faceva parte dell’ordine dei Predicatori. Laura Fenelli riferisce che già nel Tredicesimo secolo i frati predicatori iniziarono ad usare la lingua volgare nelle loro prediche rivolgendosi in modo più diretto ai laici.11 In più, nota che “legato alla predicazione, fondamentale fu il ruolo dei frati nella risistemazione, diffusione e volgarizzazione del patrimonio agiografico preesistente” (Fenelli, 2013: p. 380). Infatti, è nelle loro opere che “per

9 Intitolato Breve compendio de gli piu illustri padri nella vita, dignità, uffici, e lettere ch'hà prodotto la prov.

del Regno di Nap. dell' Ordine de predic. ... fino al presente anno 1651. Napoli: Secondino Roncagliolo.

10 È molto probabile che questa opera è infatti il Thesoro, come menziona anche Eustachio D’Afflitto già nel

1782: 'Potrebbe questa Operetta non esser differente dalla suddetta intitolata il Tesoro... ' (in Memorie degli

Scrittori del Regno di Napoli... vol. 1. Napoli: Simoniana, p. 14).

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la prima volta, sono registrati sermoni in volgare...” (ivi: p. 379). Considerando questo, è probabile che nell’ambito dei suoi impegni di predicatore, Accetto abbia ambito a creare uno strumento utile a rispondere alle domande linguistiche e alle necessità dei suoi confratelli. Rita Librandi12 ricorda che “la spinta all’affermazione della fede si avvarrà spesso tra i Domenicani di una grande fiducia nelle possibilità del volgare, diffuso sia attraverso la predicazione, sia per mezzo di volgarizzamenti e compilazioni di argomento religioso” (Librandi, 1993: p.343). Claudio Marazzini13 enfatizza che nei campi della predicazione e della catechesi emerge il dibattito su quale lingua usare nel mondo ecclesiastico, in quanto questi sono gli ambiti che coinvolgono i fedeli. Egli spiega che:

La predicazione era quindi una sorta di oasi del volgare, unico momento in cui la comunicazione diretta con il fedele richiedeva l’uso di una lingua largamente comprensibile. Ciò non toglie che ancora esistesse la predicazione in latino, ma di fatto essa era destinata solo a un pubblico d’élite, quale simbolo di uno

status culturale elevato, o per circostanze particolarmente solenni. (Marazzini, 2004: p. 134)

Infatti, nei decreti del Concilio di Trento furono sostenute le predicazioni in volgare. In più, nell’ambito dello stesso Concilio fu enfatizzato che i parroci “non dovevano assolutamente sottrarsi” a questa abitudine. Nonostante questo punto di vista positivo riguardo all’uso del volgare nella Chiesa, la lingua ufficiale restò il latino fino al Seicento. Poiché il latino aveva un carattere internazionale, facilitava la diffusione delle idee della Chiesa, all’opposto della lingua volgare, che differisce da paese a paese e che dunque non era adatta alla trasmissione internazionale in modo omogeneo (ivi: pp. 133-134).

Nonostante questo primo tentativo di implementare la lingua volgare nella predicazione, restava ancora la decisione di quale forma doveva avere, considerato che “la predicazione si presentava come un settore in qualche modo vergine, ricollegabile, evidentemente, alle regole dell’oratoria antica, ma sostanzialmente nuovo, a differenza dell’oratoria politica e giudiziaria […]” (ivi: p. 136).

Il fatto che i testi religiosi in volgare non erano scarsi nella seconda metà del Cinquecento è dimostrato da Paolo Trovato14 che sostiene che “i preti e i frati costituiscono comunque per i tipografi del tempo una nicchia di mercato sicura. Oltre ai testi latini necessari per le esigenze

12 Cfr. Librandi, R., (1993). L’italiano nella comunicazione della Chiesa e nella diffusione della cultura

religiosa, in Storia della lingua volgare, a cura di Serianni, L. & Trifone, P. Torino: Giulio Einaudi editore, 1°

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del culto, le officine producono numerosi testi in volgare” (1993: p. 47). I testi di cui parla sono soprattutto raccolte di prediche e manuali di confessione, in altre parole tutti i testi che si presentano nel campo della predicazione e dell’omelia.

Un altro aspetto fondamentale nella diffusione del volgare nel mondo ecclesiastico è il fatto che la Chiesa la usava come strumento di conciliazione comunicativa con le masse. Rita Librandi menziona pure che “le sedi vescovili promossero la volgarizzazione della dottrina, fornendo anche modelli scritti per la predicazione volgare” (1993: p. 339).

Considerando tutto questo, è spiegabile che Accetto si è stato interessato alla lingua volgare e che con il suo trattato ha tentato a delineare un primo passo da seguire per adottare la lingua volgare in lavori di natura religiosa, in particolare nell’ambito della predicazione.

Sappiamo che Accetto ha dedicato tanto tempo alla composizione del Thesoro:

Per questo hauendo io molt’anni spesi in componere, & ordinare il Thesoro dell’Orthografia della Uolgar fauella, & hauendo quello mostrato à molti miei amici in tal scienza giuditiosi, e peritissimi: quali dopò l’hauer quello letto, e comprobato con li uersi & autoritadi allegate conformi alle regole della Thoscana fauella, cauate dalle dotte osseruationi del Petrarca, m’han persoaso, ch’io uoglia darlo in luce… (Accetto, 1561: c. A2v)

Accetto accenna ad un progetto editoriale più grande (che probabilmente comprendeva altri trattati) di cui ha dovuto sospendere la stampa per i suoi impegni di insegnamento:

per le lettioni della sacra Theologia, che mi conuien fare ogni dì, ritrovandomi bacilliere ordinario di questo dotto, & honorato studio di S. Domenico di Napoli, no[n] hò possuto per hora seguitar l’incominciata impresa di sta[m]pare. (ivi: c. A3v)

Una ragione per scrivere un lavoro di questo tipo è il fatto che, secondo Accetto, le grammatiche disponibili del volgare erano o di “tanta brevità”, che poco frutto rendono o “di tanta lunghezza, che dopò l’hauerli molto tempo studiati, l’intelletto ne resta confuso” (c. A4v). Questa lacuna di un manuale ben strutturato con regole chiare sembra essere stata l’ispirazione per il Thesoro. Riguardo a questo aspetto scrive:

[…] mi disposi un dì di giouar con la mia penna alli bisogni di tanti nobili, & eccellenti ingegni, raccogliendo in picciolo uolume, qua[n]to di buono, di bello, di dotto, e d’osseruanza degno, è stato osseruato regolatamente dal Petrarca, & da gli altri dotti osseruatori delle sue regole, e quello ordinare con facil modo, breuità di regole, copia di uersi, & autoritadi dell’authore. (c. A4v)

Da questo brano possiamo dedurre che lo scopo del Thesoro è di offrire un’opera compatta con le regole del volgare sulla base dello stile petrarchesco. Nella lettera ai lettori (presente nell’esemplare napoletano) elabora quest’aspetto:

[…] e questo è il Petrarca il cui dolce parlar, vago stile, & osseruate regole hauendo voluto immitare moltissimi studiosi per l’adietro, come il Bembo, il Fortunio, l’Accarisio, il Dolce, & altri innumerabili

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osseruatori, dottissimi à lor tempi; i quali auenga, che con lor regole, & auertimenti, di grand’vtilità sian stati al mondo, non per ciò (forse dal lungo viaggio impediti) giunsero mai al lor desiderato segno, hò voluto, con quanto, dalla natura, & arte m’è stato concesso di chiaro, e dolce stile, ordinato muodo, pienezza de dottrina, breuità de regole, e compia de luoghi, ò versi dell’autore, accostarme alquanto più à quel disiderato fine; à cui gli altri mirarno: & adunare soccintamente quel tanto, che necessario è alla Uolgar Orthografia. (c. a3r)

È chiaro che Accetto considera Petrarca la più alta autorità nel campo della lingua volgare. È davvero il suo grande esempio, come risulta dalle sue parole:

Onde veggend’io, che per la diuersità delli dotti maestri, e moltitudine, delle regole date differenti, la volgare lingua, gran guasto patiua, ciaschun’al suo modo trahendola, hò voluto ad vn sol maestro dar l’honore, come à colui, ch’à tutti glialtri (senza altrui ingiuria) antepor si può: e questo è il Petrarca... (c. a3r)

Accetto dedica il suo Thesoro a Paolo Giovio, il vescovo di Nocera, usando queste parole: “vostra Reverendissima Signoria, si per lo suo celebrato nome Paolo Giovio, non meno di gloria, e chiara fama degno, della felice memoria di Paolo Giovio suo Cio,15 à tutta Europa notissimo” (c. A3r). In realtà, si tratta del pro-zio di Paolo Giovio: Giulio Giovio. Foà (2001) riporta che: “Nell'agosto 1551, durante il periodo in cui si trovava al seguito di Paolo Giovio in Toscana, il G[iulio] divenne coadiutore dello zio al vescovato di Nocera, che, alla morte di questo, nel 1552, il G[iulio] ereditò direttamente; più tardi, alla fine del 1560, egli stesso lo lasciò nelle mani del nipote Paolo Giovio il Giovane, figlio del fratello Alessandro”.16

1.3 Giuseppe Cacchi

Accetto pubblicò la sua grammatica presso la tipografia di Giuseppe Cacchi, un aquilino che passò qualche anno a Napoli dove ha imparato il mestiere di stampatore (Cioni, 1972).17 Ricevette la sua educazione probabilmente da Orazio Salviani, un tipografo ed editore che gli insegnava il lavoro e che aveva una grande conoscenza dell’arte della stampa e del mondo commerciale dei libri.

Dopo aver finiti gli studi ritornò a L’Aquila negli anni Sessanta con l’intenzione di aprire una bottega da stampatore ed una libreria. Iniziò la sua carriera di tipografo con la stampa di un lavoro scritto da lui stesso: Breve historia delle città nobili del mondo et di tutta Italia…con il principio della guerra dei Longobardi; col modo de la elezione dell’Imperatore et la

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descrizione de l’Africa dell’Asia et Europa. A causa di diverse ragioni, tra cui la censura ecclesiastica e la situazione economica, decise di lasciare la città di nascita e tornò a Napoli nel 1569 con la speranza che la censura meno repressiva e la grande classe colta gli avrebbe portato maggiore prosperità economica.

Negli anni Settanta pubblicò opere di diversi scrittori, come Bernardo Telesio (De his qui in aere fiunt et de terrae motibus, De mari, 1570),18 Uberto Foglietta (Ex universa

historia rerum suorum temporum (1571) e Berardino Rota (Berardini Rotae viri patricii, Carmina, Delle egloghe pescatorie, 1572). È in questi anni che stampò anche il Thesoro di Accetto (1572), che emerge nella sua produzione quale testo in volgare.

Negli anni successivi alternò il suo soggiorno tra Napoli e L’Aquila. Non possiamo dire con certezza quando morì, ma è probabile che la sua morte coincida con l’anno della sua ultima pubblicazione, Natione et costumi di Giovan Battista del Tufo, nel 1593.

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CAPITOLO 2

Metodologia

In questo capitolo presentiamo in che modo è stata condotta la ricerca. L’intenzione principale di questa tesi è elaborare alcune ricerche preliminari per l’edizione del Thesoro, lo faremo percorrendo alcune fasi con lo scopo di raggiungere gli obbiettivi esposti nell’introduzione.

2.1 Recupero delle copie

Prima di poter iniziare la ricerca abbiamo dovuto contattare le biblioteche in cui si trova un esemplare del Thesoro e chiederle di inviarci una riproduzione digitale del trattato. In più, abbiamo fatto un viaggio in Toscana, dove abbiamo visitato le biblioteche di Firenze e di Pisa. Non abbiamo incontrato problemi facendo le copie nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, invece nella Biblioteca Universitaria di Pisa non abbiamo potuto consultare il Thesoro a causa di un guasto ai meccanismi degli scaffali compatti. Gli esemplari della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e della Biblioteca Statale di Cremona sono riprodotti in Google books.19 La Biblioteca Universitaria di Napoli e la Biblioteca comunale Passerini Landi di Piacenza ci hanno spedito le fotoriproduzioni di un’ottima qualità. Dunque, in totale abbiamo a nostra disposizione cinque esemplari.

In totale si trovano diciotto esemplari in diverse biblioteche che sono documentati nel catalogo di Edit1620:

Biblioteca comunale Planettiana - Jesi (PLAN A IV 12/01) Biblioteca civica Romolo Spezioli - Fermo (VAR. A), (3 I 8 2 3)

Biblioteca delle Collezioni d'arte e di storia San Giorgio in Poggiale - Bologna (VAR. B),

19 La copia di Roma è a questo indirizzo:

<https://books.google.it/books?id=dXdPmgIBGDAC&pg=PA2-IA1&lpg=PA2-

IA1&dq=thesoro+della+volgar+lingua&source=bl&ots=abmy- vJUjO&sig=ACfU3U3h43_CxuNuU4BxAtuDU6kxIISAEw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwi-4d3JvuzlAhWF-aQKHahTArcQ6AEwDnoECAgQAQ#v=onepage&q=thesoro%20della%20volgar%20lingua&f=false>. Quella di Cremona è a questo indirizzo:

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<https://books.google.it/books?id=dXdPmgIBGDAC&pg=PA2-IA1&lpg=PA2-(SILVANI 0300 02906)

Biblioteca comunale - Como (64.7.35) Biblioteca statale - Cremona (FA.XII.1.21/5)

Biblioteche riunite Civica e A. Ursino Recupero - Catania

Biblioteca Apostolica Vaticana - Stato città del Vaticano (Stamp.Cappon.IV.302) Biblioteca nazionale centrale - Firenze (PALAT.12.B.A.4.2.34)

Biblioteca statale - Lucca (B.ta 856/1)

Biblioteca universitaria - Napoli (VAR. A), (RARI 0154)

Biblioteca oratoriana del Monumento nazionale dei Girolamini - Napoli (A 1 0092 0002) Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli (V.F. 38 C 30 (2)

Biblioteca della Società napoletana di storia patria - Napoli (CUOMO 500.04. 04.27) Biblioteca centrale della Regione siciliana Alberto Bombace - Palermo21

Biblioteca comunale Passerini Landi - Piacenza (A. 06. 021) Biblioteca universitaria - Pisa (H d. 9. 56 1)

Biblioteca nazionale centrale - Roma (VAR. A, B), (42. 7.C.9.3 & 6. 4.E.13) British Library - London (General Reference Collection 72.e.12.)

Il catalogo del SBN (Servizio Bibliotecario Nazionale) presenta la stessa lista di biblioteche.22

2.2 Fasi della ricerca

Il primo passo della ricerca sarà di trascrivere interamente il testo, in modo da adattarlo ai criteri moderni. In questa ricerca abbiamo scelto un approccio conservativo. Per mantenere le caratteristiche originali del testo, riportiamo sempre in apparato le scelte che abbiamo fatto. In più, indichiamo in apparato le correzioni che propone Accetto nell’errata. Anche varianti linguistiche che troviamo nei diversi esemplari saranno riportate in apparato. Va detto che nel periodo di Accetto “non si sono imposte abitudini costanti, o regole condivise da tutti, a proposito di quei segni e spazi ordinatori (divisione delle parole, apostrofi e accenti, interpunzione, maiuscole, capoversi) che aiutano a cogliere i valori lessicali, sintattici e metrici del testo…” (Inglese, 1999: p. 40.). Considerato questo, abbiamo ammodernato la trascrizione

21 Il Thesoro non si trova nel catalogo in rete della biblioteca. 22 Consultabile all’indirizzo:

<https://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?saveparams=false&db=solr_iccu&select_db=solr_iccu&searchForm=opac %2Ficcu%2Ffree.jsp&resultForward=opac%2Ficcu%2Ffull.jsp&do_cmd=search_show_cmd&nentries=1&rpnla bel=+Tutti+i+campi+%3D+thesoro+della+volgar+lingua+%28parole+in+AND%29+&rpnquery=%2540attrset %2Bbib1%2B%2B%2540attr%2B1%253D1016%2B%2540attr%2B4%253D6%2B%2522thesoro%2Bdella%2

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solo dove necessario, per favorire la leggibilità del testo. Si veda l’appendice per tutti i criteri di trascrizione.

La presenza delle versioni digitalizzate spiega la scelta della copia di Roma come base per la trascrizione, visto che ci ha permesso di lavorare sulla trascrizione prima dell’arrivo degli altri esemplari.

Il secondo passo è l’analisi contenutistica del Thesoro. La domanda principale di questa parte sarà: come è strutturato il trattato e quali aspetti dell’ortografia sono affrontati? Vedremo a quali punti Accetto dedica in particolare la sua attenzione. In una seconda parte di questo capitolo analizziamo le regole ortografiche proposte da Accetto. Visto che egli non aveva a sua disposizione un sistema ortografico univoco, aveva dovuto trovare altre soluzioni per descrivere i suoni della lingua volgare. In più, inquadreremo il suo lavoro nell’ambito della questione ortografica confrontandolo con quello dei suoi contemporanei.

La terza fase della ricerca riguarda la collazione degli esemplari. Essa si concentrerà sull’errata, vedremo quali correzioni sono state apportate e in quali esemplari. In più, analizzeremo altre varianti emerse dalla collazione.

Inizialmente, avevamo l’intenzione di fare un confronto visivo, affiancando gli esemplari sullo schermo del computer. Comunque, questo metodo può essere poco preciso, visto che è facilmente soggetto ad errori di lettura. Conor Fahy spiega nei suoi Saggi di bibliografia testuale che:

La collazione viene eseguita normalmente affiancando all’esemplare da collazionare la copia di controllo, consistente in una riproduzione fotografica o fototipica di un esemplare della stessa edizione scelto come riferimento, e confrontando poi i testi parola per parola – una procedura questa che spesso diventa faticosa e soprattutto molto lunga. (1988: p. 105)

Pertanto, applichiamo il metodo illustrato da Fahy, cioè mediante l’uso di fogli trasparenti. È stato Giles Barber23 a introdurre quest’approccio nel campo della filologia. Questa maniera aiuta la lettura e permette di collazionare le copie in modo più dettagliato, come menziona Fahy: questa soluzione offre al critico testuale la possibilità di portare con sé agevolmente la copia di controllo di cui ha bisogno per effettuare la collazione di esemplari esistenti in biblioteche speciali sparse nel mondo: in tal modo la collazione può essere eseguita con la semplice sovrapposizione della fotocopia sull’esemplare da collazionare anziché confrontare, alla maniera tradizionale, due libri affiancati [...] (Fahy, 1988: p. 106)

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Noi, invece, non sovrapponiamo i fogli trasparenti su copie cartacee, ma direttamente sugli immagini digitali sullo schermo del computer, in questo modo possiamo adattare le dimensioni a quelle della copia sul foglio trasparente.

Abbiamo scelto la riproduzione fotografica con più alta qualità come copia di controllo, cioè quella di Napoli.

La parte conclusiva di questa ricerca sarà dedicata ai risultati della collazione bibliografica e tirare delle conclusioni plausibili.

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CAPITOLO 3

Analisi

In questo capitolo analizziamo brevemente la struttura e l’aspetto fisico del trattato, dopodiché faremo un’analisi contenutistica del Thesoro.

3.1 Aspetto fisico e varianti

La princeps del Thesoro è stampata in forma in quarto, cioè significa che ogni carta è costituita da otto pagine. La cartulazione segue un sistema alfabetico, in cui ogni fascicolo è segnalato da una lettera sulla prima e sulla seconda carta, esse sono: A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M, N. In totale è costituita da diciassette fascicoli, che equivalgono a quarantanove pagine che sono segnate dal numero sul recto. Segnaliamo che tra le pagine 17 e 20 c’è un’irregolarità nella cartulazione. Dopo la pagina 17v seguono le pagine 20r e 20v, 19r e 19v, 18r e 18v, 21r, dopodiché la numerazione riprende l’ordine regolarmente. Il contenuto di queste pagine invece è perfettamente regolare e ha un ordine logico.

Le pagine preliminari invece non hanno questa numerazione, ma sono segnate con le maiuscole ‘A’ e ‘B’ e le minuscole ‘a’ e ‘b’. Troviamo nel catalogo del SBN la formula collazionale in cui è indicata dalla lettera greca pi24 che queste pagine preliminari non seguono la segnatura regolare: πA⁴ B², a⁴ (- a1,2) b² A-M⁴ N². Va detto che questa formula è basata sulla copia

ideale,25 cioè quell’esemplare più perfetto come inteso dall’autore e dallo stampatore. La prima parte, πA⁴ B², a⁴ (- a1,2) b², indica il pre-testo, invece la seconda parte, A-M⁴ N², indica il testo con segnature regolari.

Notiamo che gli esemplari non presentano varianti nel frontespizio e nella dedica. È interessante l’introduzione ai lettori che ha due versioni. Le carte cancellanda (a1,2) sono composte con carattere corsivo e iniziano col titolo Alli benigni et generosi lettori, le carte cancellantia invece mostrano una piccola variazione nello stesso titolo: Alli benegni, e generosi lettori, ma il testo rimane lo stesso. Notevole è la compresenza dei fogli cancellans (cc. A4r-B1r) e una parte del cancellandum (cc. a1,2) nell’esemplare di Cremona.

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Un altro aspetto notevole è la presenza di una lettera ai lettori che inizia per Alli lettori, studiosi della present'opera, che troviamo esclusivamente nell’esemplare di Napoli (c. a3). Gli altri esemplari a nostra disposizione invece non ce l’hanno: è probabile che esistano altri esemplari in cui è inclusa questa lettera.

Va detto inoltre che si distinguono due stati del Thesoro, di cui lo stato A è indicato dalla formula [10], 49, [1] c. ; 4°, invece lo stato B con [10], 48, [2] c. ; 4°.26 Si nota che stato B ha 48 pagine invece di quarantanove, in quanto l’ultima pagina non è cartulata.

Negli esemplari di Roma, Firenze e Piacenza appare una nota manoscritta accanto alla marca tipografica (c. 49v) che recita: De voluntate authoris et licentia superiorum.

Sul frontespizio dell’esemplare di Piacenza invece troviamo la seguente nota manoscritta: Est S.ti Sisti Plac. ... D. Cherub.o Alb. Plac. Poss.t (Est Sancti Sisti Placentiae ... Dominus Cherubino Albrizzi Placentiae possedit). Si tratta di un riferimento al privilegio.

Riassumiamo le differenze fisiche tra gli esemplari nella tabella seguente:

RO FI NA PIA CR

Alli benegni, e...

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(Cancellans, cc. A4r-B1v) Alli benigni, et... (Cancellandum, cc. a1,2) - - - - x Alli lettori, studiosi... (c. a3) - - x - - Numerazione della c. 49. - x x - x Nota manoscritta (c. 49v) x x - x - 3.2 Struttura testuale

Nell’introduzione ai lettori del Thesoro Accetto indica che è composto di “cento cinquanta otto regole, e cento uenti otto auertimenti” (c. B1r), in realtà ha annoverato solo ventitré regole.27 Sembra plausibile ritenere che Accetto aveva l’idea di riportare queste regole nei trattati che dovevano seguire il primo, visto che conclude con “fine del primo trattato” (c. 49r). Questo fa pensare che ci sono altri trattati che verosimilmente riguardavano altri parti della grammatica. Comunque, per qualsiasi ragione, Accetto non ha mai completato il suo lavoro, malgrado la sua intenzione di consegnare altri trattati a Paolo Giovio: “hò uoluto dar questo primo trattato fuori innanzi…” (c. A3v), “…li manderò gl’altri…” (c. A3v). Nella citata lettera ai lettori nell’esemplare di Napoli, egli fa esplicitamente riferimento a sette trattati “...quali son’istese da cinquanta regole con circa trenta auertimenti...” (c. a3v). Dopodiché nella lettera sono esposti sette aspetti della lingua che sarebbero stati trattati separatamente, che sono le lettere, i nomi, i verbi, i participi, i pronomi, i punti e gli accenti. Anche in altri luoghi del Thesoro egli fa riferimento a questi ‘altri trattati’: “Diuidemo la presente opera in Sette Trattati...” (c. 3r). Pertanto, Accetto è riuscito a realizzare solo il primo, quello che oggi conosciamo come Il Thesoro.

Accetto ha strutturato la sua grammatica dividendo gli argomenti in regole e avvertimenti, in modo simile all’uso di capitoli e paragrafi. I titoli hanno lo stesso carattere tipografico del testo, ma, collocati al centro della pagina, si capisce che servono a dividere gli

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argomenti. I titoli non sono numerati ma semplicemente elencati nella tavola in cui “tutti i capi delle cose trattate son posti istesamente, à cui hò aggiunta la tauola seconda repertoria, terminate secondo il numero delle carte, col numero dell’alfabeto, alla quale hauendo ricorso, ciascun giuditioso trouerà subito, quel che li farà bisogno” (c. B1r).

Approssimativamente, il Thesoro può essere diviso in due parti. La prima (cc. 1r-24v) tratta temi linguistici più generali, come l’ortografia (cc. 1r-3r), la natura e la definizione di ‘volgare’, quindi aspetti più specifici relativi alla scrittura, come la lettera, l'elemento e la sillaba. In più, considera la distinzione tra vocali e consonanti (cc. 10r-11r), concentrandosi sulle realizzazioni fonetiche. Seguono alcuni paragrafi su fenomeni specifici, come il dittongo (cc. 14r-v). La sezione seguente invece si concentra sulle differenze morfologiche tra il latino e il volgare. Inoltre, fornisce un paragrafo sull’uso dell’apostrofo (cc. 23v-24v), esponendo quali situazioni richiedono il suo uso.

La seconda parte del trattato (cc. 25r-49r) è composta dalle regole basate sulle lettere dell'alfabeto. Nella tavola sono esposte ventitré regole, corrispondenti con ventidue lettere, in quanto la lettera r è trattata in due regole separate. Queste regole sono suddivise in avvertimenti (in forma di sotto-paragrafi) in cui sono trattati alcuni casi specifici. Per esempio la regola della a, è suddivisa in quattro avvertimenti, di cui il primo spiega come si comporta quando è prima dell'articolo. Il terzo ed il quarto avvertimento invece trattano il suo mutamento in e, oppure in o quando è prima alla u, per esempio graue diventa greue e auro cambia in oro. Appare chiaro che Accetto si riferisca in maniera anacronistica a fenomeni antichi di evoluzione dal latino. Così sono strutturate tutte le sue regole.

Infine, segnaliamo la presenza di un’errata corrige (cc. B1r-B2r), in cui le indicazioni dei luoghi nel testo sono alquanto caotiche, visto che consta di quattro colonne che apparentemente si leggono affiancate. Inoltre, non è chiaro quali sono le indicazioni alle pagine in cui correggere e quali sono i numeri delle pagine stesse da correggere.

3.3 Analisi linguistica

In questa analisi seguiremo l’ordine degli argomenti come sono nel Thesoro. Analizzeremo le teorie di Accetto e le soluzioni che ha trovato per descrivere fenomeni fonetici. Come guida

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odierna riguardo alla tematica della fonetica useremo Graffi – Scalise (2002),28 mentre, per quanto riguarda l’evoluzione dal latino al volgare faremo riferimento a Patota (2002).29

Ortografia

Accetto spiega che la parola orthografia ha origini greche e va tradotta letteralmente con ‘retta scrittura’. Interessante è la distinzione che egli fa tra il soggetto e l’oggetto dell’ortografia (c. 1r-v). Con il primo vuole indicare che l’ortografia diventa attraverso l’human intelletto una scienza regolativa e direttiva. Si riferisce ripetutamente con una metafora al concetto dell’artificial corpo di scrittura proportionato, con cui indica una sintassi ben costruita, in altre parole, l’ortografia e tutto ciò che comprende ci permette di mettere su carta i nostri pensieri. L’oggetto dell’ortografia invece pertiene la retta scrittura e riguarda le lettere, le sillabe, le parole (dittioni) e la pronuncia (parlamento). Pertanto, Accetto evidenzia il rapporto biunivoco tra gli aspetti grafici e fonetici, infatti menziona che anche gli accenti ne fanno parte, in linea con la concezione odierna, in cui vanno anche considerati i segni paragrafematici come elementi dell’ortografia. Gli accenti sono particolarmente interessanti per noi, visto che, come menziona anche Accetto, servono ad indicare come pronunciare le parole ed a distinguere tra i possibili significati. Tutto sommato, la classificazione proposta nel Thesoro, non distinguendo questioni puramente grafiche da quelle fonetiche, corrisponde solo parzialmente a quella odierna: In grammatica, l’ortografia è l’impiego corretto dei segni grafematici (lettere e combinazioni di lettere) e paragrafematici (interpunzione e segni come virgolette, trattini, ecc.) propri della scrittura di una lingua. (Demartini, 2011)

In più, Accetto indica che è proprio l’ortografia che distingue una lingua dall’altra, in quanto ogni lingua richiede un’altra composizione, un’altra pronuncia ed altri accenti.

Le lettere dell’alfabeto

Accetto definisce la lettera come una minima particella della voce articolata. In altre parole, è la parte più piccola e indivisibile della parola (c. 9r). In più, considera ogni lettera un suono distinto, che può essere rappresentato dalle lettere dell’alfabeto. Riguardo alle lettere, distingue tre aspetti caratterizzanti, che sono: il nome, la figura e la potestà. Il nome riferisce

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semplicemente alle denominazioni a, bi, ci, ecc. Con la figura invece, indica l’aspetto con cui sono rappresentate, per esempio la o ha una figura rotonda e la i una figura retta. La potestà infine, riguarda il modo in cui va pronunciata una determinata lettera, in altre parole il suo suono distinto.

È chiaro a questo punto che Accetto non distingue tra grafemi e fonemi. Per mancanza di un sistema ortofonetico, usa semplicemente le lettere dell’alfabeto latino per indicare i suoni.

Accetto afferma che la lingua volgare ha preso le sue lettere dal latino, comunque non vanno adoperate tutte. Considera proprie dell’alfabeto volgare le seguenti: a, b, c, d, e, f, g, i, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u, x, z, (c. 9r). L’h non va considerata come lettera, ma soltanto segno di aspirazione che serve a rafforzare il suono, come ora, hora, ma che può anche cambiare il suono, come ci, chi (c. 32v). Menziona che la k è sconosciuta alla lingua volgare, invece va usata la combinazione ca, per esempio in Carlo. La stessa fine ha fatto la y greca che scompare e va sostituita dall’i.

Oggigiorno, k e y non vanno considerate lettere dell’alfabeto italiano, in quanto la lingua conosce cinque lettere avventizie, cioè usate occasionalmente, che sono la j, k, w, x e la y. Esse sono presenti soltanto in prestiti dalle lingue antiche (latino e greco). Comunque, come menziona Accetto, il suono [k] fa parte del repertorio fonetico del volgare (e anche dell’italiano moderno), quando la c è prima della a. Va detto che a questo punto non elabora sufficientemente, mostrando i limiti della sua descrizione, visto che ci sono altre situazioni in cui la c causa la formazione del suono [k], notiamo l’occlusiva velare /k/ quando la c è seguita dalle vocali a, o, u, oppure in combinazioni consonantiche come ch o q.

Inoltre, colpisce che Accetto considera la x lettera dell’alfabeto volgare, in quanto oggi, come abbiamo visto, è considerata lettera straniera.

Vocali e consonanti

Accetto individua vocali e consonanti. Egli indica soltanto cinque vocali corrispondenti a cinque suoni vocalici (a, e, i, o, u), chiaramente condizionati dall’adozione esclusiva dell’alfabeto latino, quando oggi ne distinguiamo sette (a, e, ɛ, i, o, ɔ, u). Comunque, la sua definizione coincide in parte con quella moderna, in quanto definisce le vocali come quei suoni che hanno “uirtù di sonare, e donar tempo, spirto, e tenore, alla uoce” (c. 10r). Questa virtù di

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sonare è, infatti, uno dei tratti distintivi delle vocali, cioè la vibrazione delle corde vocali causata dal flusso d’aria che esce inostacolato dalla cavità orale e fa sonore le vocali.

Inoltre, afferma che le vocali forniscono il fondamento delle parole, al contrario delle consonanti che servono soltanto ad appoggiare le vocali. Secondo Accetto, le vocali rendono possibile riprendere fiato nella pronuncia, difatti sostiene che una delle loro virtù è di “donar tempo” alla voce e che “il pronuntiator delle lettere hà bisogno delle uocali tramezzate, ove egli il fiato repigli, & passi oltre” (c. 10r), forse riferendosi alle vocali di fine parola.

Tra le cinque vocali fa la distinzione tra due libere (la a e la o) e tre serve, cioè servili (la e, i e la u). Le prime sono definite libere, perché non servono a costruire i suoni di nessuna consonante, né in posizione anteriore, né in posizione posteriore. La sua definizione non ha molto senso, finché non chiarisce la funzione di quelle servili: la i aiuta a fare il suono della x: ix, nello stesso modo la e completa la zeta e la u è sempre a disposizione della q, come in qua o aquila. Quelle libere invece non hanno questa funzione e sono pertanto libere.

Accetto divide le quindici consonanti in tre tipi: mute, mezzevocali e liquide/chiare. Sono categorizzate come mute la b, c, d, f, g, p, q, t e la z. Afferma che esse sono caratterizzate dalla produzione senza suono delle vocali che le accompagnano. Secondo Accetto vanno pronunciate be, ce, de, ef, ge, pe, qu, te, zeta. Per esempio, tristo, in cui il primo suono sarebbe il te che produce teristo, in quanto la vocale è senza suono e viene pronunciata tristo. Fa riferimento al fonema consonantico /t/, che lega alla /e/, basato sull’idea che la lettera alfabetica è denominata te, comunque è un’affermazione impropria, in quanto te (l’oggigiorno ti) è solo una denominazione del grafema t.

Individua sette mezzevocali, che sono la f, l, m, n, r, s e l’x. Secondo Accetto queste consonanti “non son tanto imperfette, quanto le sopradette, ne tampoco godono tanta perfettione di suono, che possano essere dette uocali; onde mezzeuocali son chiamate, perche nelle compositioni ritengonò il lor suono” (c. 10v), per esempio quel, amor, fiamma, anno, xanto. A prima vista mezzavocale sembra accennare al concetto moderno di semivocale, ma non è così, in quanto fa riferimento alla costrizione del flusso espiratorio: infatti, possiamo distinguere un tratto comune, cioè la produzione di questi fenomeni nella parte anteriore della bocca. Di fatto, quattro delle sette che categorizza come mezzevocali sono alveolari (s, n, l, r). In più, la f e la s sono entrambe fricative, e la m e la n sono tutte e due nasali.

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Il terzo tipo di consonante che distingue sono quelle liquide o chiare. Colpisce che queste sono in parte le stesse delle mezzevocali, in quanto vanno categorizzate come tale la l, m, n e la r. Afferma che il loro suono rimane chiaro quando posizionate con altre consonanti o vocali.

La voce

Accetto definisce la voce come un “suono pronuntiato dalla bocca dell’huomo, con immaginatione di significare alcuna cosa” (c. 12v) e spiega che nel produrla entrano in azione le seguenti parti dell’apparato fonatorio: i polmoni, la lingua, la gola, il palato, quattro denti primi e due labbra. Ricorda che queste parti non funzionano tutte allo stesso momento, ma a seconda del suono che producono. Nella prima definizione è fondamentale la comprensione che i suoni prodotti dall’apparato fonatorio devono “significare alcuna cosa”: in termini moderni diremmo che i suoni devono avere una funzione distintiva, cioè essere fonemi.

Inoltre, Accetto fa la distinzione tra voce articolata e inarticolata. Con il primo accenna a voci che sono pronunziate “con alcun sentimento”, che portano significato e possono essere rappresentati con le lettere dell’alfabeto.

La voce inarticolata invece, va definita come un suono confuso e indistinto che non si può scrivere o leggere, per esempio il nitrito del cavallo o il belato della pecora.

Sillaba

Accetto definisce la sillaba come un insieme di più lettere che vanno pronunciate in un fiato, per esempio stra, sple o scri, in cui la cosiddetta forza del spirto (intensità della pronuncia, il moderno accento) è sulla vocale.

Accetto menziona che la sillaba può essere una sola vocale, per esempio la preposizione a. In parole più complicate invece, distingue tra sillaba aspra e dolce, spiega che “aspro è quando la sillaba è composta di molte consonanti, come scriuo, compro, inchiostro, ringratio, e dove entra la R, ò la X, come errore, Xantippo. Dolce è lo spirto, quando la sillaba contiene assai uocali anchor, che diuenghino consonanti, come pioggia, foggia, veggio, fà, stà, può, sò, viene, lione, e simili” (c. 13v). Non possiamo dire con certezza cosa intende per ‘vocali che diventano consonante’, ma è possibile che Accetto riferisca al fatto che le combinazioni vocaliche io, ia,

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ie formano un dittongo con le semiconsonanti /ja/, /jo/, /jɛ/ e /wɔ/. Però, questa ipotesi non vale per gli esempi dei monosillabi fà, stà, sò e lo iato lione.

In più, non spiega cosa intende per molte consonanti o assai vocali anchor, resta la domanda quante consonanti o vocali?

Dittongo

Accetto dedica un paragrafo al fenomeno dei dittonghi che definisce “le uoci quali si fanno quando si giungono due uocali insieme” (c. 14r).

Accetto afferma che “quando due uocali son pronuntiate sotto una intentione fanno il Dittongo” (c. 14r), per esempio au, io, oi in aura, poggio e tuoi. Sembra che intenda con l’indicazione sotto una intentione quello che potremmo definire ‘unico atto di pronuncia, in riferimento alla rapidità dei tempi di realizzazione’.

Quando invece due vocali son pronuntiate sotto più intentioni si fa quello che Accetto chiama il simphthongo, con cui indica la situazione in cui due vocali hanno ambedue il proprio suono. È probabile che accenna al moderno iato, che può essere definito come “l[a] combinazion[e] di due vocali appartenenti a sillabe diverse.”30

Nello stesso paragrafo Accetto fa riferimento alla distinzione tra l’uso della u come vocale e come consonante (l’odierna v). Afferma che la consonantizzazione della u è causata dalla posizione in cui si trova. Afferma, infatti, che quando la u è seguita da un’altra vocale, essa provoca il suo cambiamento in consonante: ad esempio, uano, ueggio, uoglio, sono tutte pronunciate come vano, veggio, voglio, pertanto è interessante la registrazione della scomparsa della pronuncia latineggiante di u per v.

Accetto categorizza le seguenti combinazioni vocaliche come dittonghi:

AU Aura, Augostino, aurora

EU Europa, eucharia, euterpia

UO Huomo, suono, tuo

IE Hieri, uieni, tieni

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EI Sei, lei, miei

IO Dio, mio, cio

Menziona che il nesso ea, come in beato o creare, non è un dittongo per il fatto che è pronunciato sotto due intentioni, in altre parole in due sillabe. È il fenomeno che egli definisce simphthongo, noi invece iato. Secondo Accetto, quest’eccezione è dovuta alle origini barbare per cui parole con questa combinazione di vocali non sono declinabili (c. 14v). Altra ragione è il fatto che queste vocali formano i primi elementi della parola e sono indivisibili. Comunque, il suo ragionamento non sembra valido, visto che beato e creare hanno, infatti, origini latine.

Colpisce che, come dimostra la tabella precedente, non fa la distinzione tra il dittongo e il trittongo. Infatti, categorizza anche nessi vocalici come uoi o iei come dittongo. La stessa cosa vale per tuo, che infatti è un caso di iato.

Apostrofo

Dedichiamo particolare attenzione all’uso dell’apostrofo, in quanto rappresenta fenomeni tipici del parlato, come l’elisione vocalica, il troncamento di vocale e l’aferesi.

Accetto afferma che due vocali uguali, in cui l’una è l’ultima di una parola e l’altra è la prima della parola seguente, impediscono una pronuncia fluente. Propone alcuni esempi per chiarire la sua affermazione: chiara alma diventerebbe chiar’alma, ultime herbe che sarà ultim’herbe, ultimi inni che diventa ultim’inni e uostro occhio che cambia in uostr’occhio. La regola che possiamo trarre da questi esempi è che l’ultima vocale della prima parola è tolta ed è sostituita dall’apostrofo. Accetto menziona che questo uso dell’apostrofo serve a generare una prosa “dolce, spedita, soaue, e diletteuole, e la lingua sciolta” (c. 24r), inoltre spiega che le parole scorrono senz’asprezza. Il fenomeno descritto è quello a cui oggigiorno riferiamo con il termine ‘elisione’ (della vocale finale).

Finora, l’uso dell’apostrofo proposto nel trattato è ancora ammesso dall’uso moderno. In più, Accetto continua con l’affermazione che l’omissione della vocale finale della prima parola non vale esclusivamente in casi in cui le vocali sono uguali, ma anche quando sono diverse. Ad esempio, quando era diventa quand’era e la mano onde io scriuo cambia in la man’ond’io scriuo. L’esempio ogn’hora dimostra la pronuncia aspirata di h.

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Accetto non fa eccezione per l’articolo del plurale gli, che prima di una parola iniziante in i formerà combinazioni del tipo gl’inganni e gl’impacci. Oggigiorno, questa forma non è scorretta, “anche se ormai rara e da evitare per via del gusto arcaizzante che caratterizza quest[a] scelt[a].”31

I suoni del volgare

In questo paragrafo ci occupiamo delle soluzioni trovate da Accetto nella descrizione dei suoni del volgare. Va detto, che secondo lui ogni lettera rappresenta un suono specifico e quindi non fa la distinzione tra i concetti di grafema e di fonema. Nello schema seguente indichiamo quale suono attribuisce a ciascuna delle lettere dell’alfabeto e i corrispondenti possibili foni.

Iniziamo con le consonanti:

Lettera (grafema)

Descrizione del suono/indicazione della pronuncia Possibili equivalenti moderni (IPA) + esempi del

Thesoro

B suono puro, sciolto, e spedito, senza tenor di spirto [b] C pieno tenor di spirto, più impedito di quello della F e del G.

Doppiasi il C, in tutte parole terminanti in Cio, e Cia come abbraccio, abbracciato, braccio, caccio, cacciato, adaccio, addacciato, faccio, disfaccio, laccio,giaccio, e simili. Cosi ancho si fà, si se l’interpone l’aspiratione, come uecchio, uecchia, specchio, occhio, finocchio...

[ʧ]: abbraccio, faccio, giaccio. [k]: uecchio, occhio.

D suono puro, sciolto, e spedito, senza tenor di spirto [d]

F spirto pieno e pronto [f]

G spirto pieno e più pronto della F.

Questa lettera è consonante del numero delle mute si doppia regolatamente sempre, che dopò lei segue la particella, Io, Ia, e quando tra due uocali si pone: fuor di quelli uerbi e nomi, ch’appresso saranno detti; onde si dirà accreggio, creggio, deggio, alloggio, appoggio, fuggo, e struggo, seggio, haggio, ueggio, e simili: aggiungo, aggiunto, maggior, foggia, poggio, loggia, raggio, e tutti altri si possono dir à questa maniera leggiadramente, & aggrauare, agghiacciare si dice.

La L, si muta in G, come capelli, capegli.

[g]: aggrauare. [ʤ]: creggio, alloggio, poggio. [ʎ]: capegli [ɲ]: uergogno, ogni, ingegno.

L è molle, dilicata, piacevolissima, dolcissima [l]

M suono non molto aspro, lunato, si sente nelle parole, liquida/chiara

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N suono non molto aspro, lunato, si sente nelle parole, liquida/chiara

[n]

P suono purissimo e speditissimo [p]

Q è povero, morto suono, che ha sempre bisogno della u [k]

R di generoso spirto, ma aspro [r]

S di spesso suono, ma non molto puro [s]: assannato,

assalto, assumo. [ʃ]: lascio, bascio, liscio.

T suono purissimo e speditissimo [t]

X non ha suono senza la i [ks]: xanto,

Xantippo, xenofonte. Z di bellissimo spirto, piena riposata.

Mutasi la I, in Z, quando è accompagnata col T, cosi conoscentia, diligentia, costantia, presentia, ubedientia, temperantia, eloquentia, stantia, e simili, e farà

conoscenza, diligenza, costanza, presenza, ubedienza, temperanza, eloquenza, stanza, e simili.

[ʦ]: conoscenza, presenza, stanza [ʣ]: zappa, zanco, zanzara.

Le osservazioni sono piuttosto approssimative e tendono a dare norme dedotte dalle regolarità grafiche. Per esempio, Accetto osservando la grafia della g sostiene che “tra una uocale, & una consonante sempio G, si scriue, come sdegno, ingegno, spigno, uergogno, ogni, sogni, stringo, fingo, tingo” (c. 31v), non facendo alcuna distinzione tra i suoni palatali gn ([ɲ]) come in ogni e ng ([ɳ]) come in stringo.

Notiamo che le sue descrizioni non riguardano solo i suoni, ma anche la pronuncia, in quanto che questi concetti sono strettamente legati. Accetto usa delle parole comuni per descrivere i suoni della lingua volgare. Analizziamo quali definizioni usa e perché.

Colpisce che egli usa esattamente le stesse parole (suono puro, sciolto, e spedito, senza tenor di spirto) per descrivere il suono della B e della D, senza riferire al fatto che il suono [b] è infatti bilabiale e quello del [d] dentale. Comunque, ha fatto bene ad indicare che questi suoni appartengono alla stessa categoria, cioè quella delle occlusive.

La stessa cosa vale per la T e la P, che sono descritti nello stesso modo (suono purissimo e speditissimo). La descrizione è in parte uguale a quella della B e della D, in quanto usa in entrambi i casi le parole puro/purissimo e spedito/speditissimo. È chiaro che Accetto si focalizza soprattutto sul modo di articolazione e non sul luogo di articolazione. Puro vuole dire ‘chiaro, senza variazioni’, spedito invece ‘veloce’, indicando dunque che sia la T, sia la P sono pronunciate chiaramente e rapidamente.

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La F e la G hanno la stessa descrizione (spirto pieno e pronto), con la differenza che la G è infatti più pronto della F. Anche il suono della C ([k] in questo caso) è descritta come pieno tenor di spirto, ma più impedito di quello della F e del G. Assumiamo che Accetto è partito dall’idea che il grafema C può indicare l’occlusiva [k] che è prodotta nello stesso luogo del [g], in quanto sono tutti i due velari. Ha incluso anche la F in questa descrizione, il che a prima vista non ha senso, visto che il suono [f] è fricativo e labiodentale e non c’entra quindi con gli altri due suoni, [k] e [g]. È possibile che si riferisca al suono [ʤ] (creggio, alloggio), che è un’affricata e quindi non lontana dalla fricativa [f].

Accetto non distingue tra i suoni della M e la N, visto che tutte e due sono definite come non molto aspro, lunato, si sente nelle parole, liquida/chiara. Anche qui ha descritto il modo di articolazione, ma non ha tenuto conto del luogo di articolazione, perché il suono [m] è bilabiale, invece quello del [n] è dentale. Non aspro significa ‘liquido’, il che indica un suono dolce. È possibile che lunato riferisca alla forma delle labbra a luna. Chiara invece vuole indicare che i suoni sono pronunciati sempre allo stesso modo, senza variazioni.

Definisce la L come molle, dilicata, piacevolissima, dolcissima, comunque queste indicazioni non chiariscono il luogo di pronuncia. Dolce solitamente vuole dire ‘sonoro’, cioè in linea con il carattere dell’alveolare laterale.

La Q è caratterizzata come suono morto che è povero. Povero sembra riferire al fatto che la q è sempre accompagnata dal suono della u. Suono morto invece indica che il suono è occlusivo, perché l’aria viene fermata. Colpisce dunque che non ha definito gli altri suoni occlusivi descritti prima come morti. Questo fa pensare che Accetto non era consapevole di questo legame dei suoni.

Accetto afferma che la R è aspra e di generoso spirto. Aspra di solito indica un suono ‘sordo’, il generoso spirto invece riferisce al fatto che occorre molta aria per realizzare questo suono. La S è definita come di spesso suono, ma non molto puro. È probabile che di spesso suono voglia dire che si tratta di un suono marcato ed evidente. In più, è possibile che non puro faccia riferimento alla s palatale .

La Z infine, è descritta come suono di bellissimo spirto e pien[o] riposat[o]. Colpisce che non ha alcuna consapevolezza del fatto che i suoni [s] e [z] sono infatti tutti e due prodotti nello stesso luogo (l’alveolo) e che si distinguono solamente dal tratto sordo/sonoro. Riposato

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è impressionistica, perciò non ha valore scientifico, in quanto non è basata su osservazioni oggettive. Le vocali invece: Thesoro – Lettera (grafema)

Descrizione/indicazione della pronuncia Equivalenti moderni (IPA)

A più pieno spirto si manda fuor della bocca, che nissuna dell’altre, con più aperti labbri

[a] E non cosi prontamente si forma il suo spirto dalli labbri

come quel della sopradetta A

[e], [ɛ] I sottile, debole, leggiero, chinato, dolce, è posteriore

all’altre, e produce il suono suo piacevole

[i] O lo cui spirto si mandan fuori alquanto i labbri à modo d’un

cerchio, acciò ritondo sia, e sonoro.

[o], [ɔ] U con li labbri in cerchio, dilongandoli si forma lo spirto suo,

ristretto ne viene, chiuso e dilungato e toglie allo spirto

[u]

Riguardo alla A afferma che è pronunciata con più aperti labbri. Nota che la a è una vocale aperta quando parla di pieno spirto, cioè di ‘pieno flusso di aria’. La E invece, è prodotta non cosi prontamente come la a. È possibile che faccia riferimento alla leggera costrizione del passaggio dell’aria. Per quanto riguarda la I afferma che è posteriore all’altre, però la i è infatti un suono anteriore.

Riguardo alla O e alla U afferma che sono prodotte con i labbri à modo d’un cerchio e che la u è chiusa.

Accetto non distingue chiaramente tra e e o aperte e chiuse e riguardo alla o afferma che “questa uocale non si doppia mai in una istessa uoce” (c. 41r), ma si fatica a comprendere quando le altre vocali possono raddoppiare.

Per inquadrare le idee proposte da Accetto nell’ambito della questione ortografica cinquecentesca confronteremo i suoni individuati da lui con quelli proposti da Alessandro Citolini e Claudio Tolomei (cfr. Di Felice, 2003).

Tolomei propone nel suo Polito (1525) l’aggiunta di tredici nuovi suoni, essi sono: la e e la o aperta, la i semiconsonante e consonante, la u semiconsonante e consonante, le l, n, s palatali, la s e la z sonora e la c e la g velari. Queste soluzioni ortografiche vennero sostenute e riapplicate

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A differenza di Accetto, che non distingue tra grafemi e fonemi, Tolomei aveva già realizzato un sistema rappresentando i suoni possibili di un grafema. Di Felice indica che “giunse infine a elaborare due alfabeti”, di cui una “foneticamente approssimativo”, in quanto dimostra “caratteri parzialmente ortofonici” (2003: p. 50). Citolini invece, influenzato dalle proposte del maestro, propose un alfabeto di trenta lettere, di cui nove vocali e ventuno consonanti. Riguardo a questo Di Felice nota che “un’esatta corrispondenza tra suono e segno grafico sembra infatti informare questa tabella alfabetica, diversamente da quelle che Tolomei vergò nel ’47 e nel ’50 [...]” (ivi: pp. 57-58). È chiaro che sia Tolomei, sia Citolini avevano idee più profonde e elaborate riguardo alla relazione tra la grafia e il suono rispetto ad Accetto.

Per quanto riguarda le vocali, Accetto ne considera soltanto cinque, in quanto non distingue tra vocali aperte/chiuse, a differenza di Tolomei e Citolini. Tolomei infatti distingue la e e la o aperta da quelle chiuse. Citolini individua pure nove vocali, includendo due vocali liquide (u, i).

Accetto sembra avere alcuna nozione della differenza tra suoni sordi e sonori, indicandoli come aspri e dolci. Tolomei e Citolini usano gli stessi termini, ma con significati contrari, indicando suoni sordi come dolci e suoni sonori come aspri.

Nella tabella seguente indichiamo i suoni individuati di Tolomei e Citolini e vediamo se Accetto l’ha considerati.

Tolomei Citolini

e/o aperte 9 vocali, incluse 2 liquide, u, i

i (semi)consonante 3 i (vocale, semivocale, consonante)

u (semi)consonante 3 u (vocale pura, semivocale, consonante v)

c, g velari

g semplice (sorda e sonora)

l, n, s palatali

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2 z (sorda e sonora)

Riguardo alla I, Accetto indica che, quando seguita da una vocale, “entra in consonante” (c. 32r). Per esempio Ioanna diventa Gioanna. Si tratta dunque dello stesso fenomeno descritto da Tolomei e da Citolini della i consonantica ([j]), cioè la i semiconsonante. Accetto non fa questa distinzione esplicitamente, però è interessante vedere che è consapevole del fatto che la i può avere un carattere consonantico. La stessa cosa vale per la u, di cui afferma che “entra spesso in consonante” (c. 47r), per esempio uulgare. Colpisce però che non fa la distinzione tra la grafia della u e dalla v, nonostante abbia osservato che la pronuncia di u iniziale di parola tenda a essere pronunciato come v.

Per quanto riguarda la C, Accetto menziona che il suo suono è “mezzano tra lo G e CH” (c. 27r), accenna dunque al fatto che la C può produrre il suono [k], comunque Accetto indica che è la combinazione consonantica ch che produce questo suono. Tolomei invece propone l’adozione esclusiva della c velare ([k]).

In merito alla G, Accetto afferma che questa lettera può produrre diversi suoni rispetto alla posizione in cui si trova. Per esempio, la G si raddoppia quando è seguita da io o ia, come alloggio o foggia, ma aggiunge anche gli esempi fuggo e struggo. Questo fa pensare che secondo lui la g in alloggio produce lo stesso suono della g in fuggo. Non distingue dunque tra il suono palatale [ʤ] e il velare [g]. Accetto sostiene che “son fuor di questa regola, uergogno, agogno, sfogo, giogo, arrogo, priuilegio, sego, imago, palagio, disaggio, seluagio, maluaggio, bragia, adagio, regio, pregio, fregio, priego, piango, fango, luogo, niego [...]” (c. 31v). Nei primi due esempi che dà, la g produce, in combinazione con la n, il suono palatale nasale [ɲ], comunque seguono alcuni esempi che non attestano una profonda consapevolezza dei suoni possibili rappresentati dal grafema g. Tolomei invece suggerisce l’adozione della g velare e la n palatale (/ɲ/). Citolini distingue pure tre tipi della g: la g semplice sonora/sorda e la g sdrucciola.

Tolomei considera anche il suono palatale della l ([ʎ]), a cui si accenna nel Thesoro, senza individuarlo come suono distinto, in quanto Accetto sostiene che “la L, si muta in G, come capelli, capegli” (c. 38v).

Per quanto concerne la s e la z, sia Tolomei, sia Citolini distinguono quelle sonore da quelle sorde. Citolini suggerisce persino una terza variante della s, cioè quella palatale. Accetto non

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riconoscere il suono post alveolare [ʃ] in lascio. Riguardo alla Z invece, possiamo distinguere due suoni distinti, in quanto Accetto fa la distinzione generica tra la z in posizione iniziale (come zappa) e la z all’interno di parola (come conoscenza), che producono rispettivamente i suoni [ʣ] e [ʦ].

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