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La Divina Commedia nella traduzione di Singleton, Durling e Hollander

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UNIVERSITEIT VAN AMSTERDAM FACOLTÀ DI SCIENZE UMANE

Tesi di laurea specialistica in Literary Studies: Letteratura italiana marzo, 2016

La Divina Commedia nella traduzione di

Singleton, Durling e Hollander

Un confronto tra sei passaggi dal poema

Autore: Jacqueline Hugen Relatore: dr. R.M.de Rooij

(2)

‘luctor et emergo’

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INDICE

Introduzione 4

1. Introduzione al corpus 6

1.1. Charles Singleton 6

1.2. Robert M. Durling e Ronald L. Martinez 8

1.3. Robert e Jean Hollander 10

2. Quadro teorico 13

2.1. Le opzioni formali per la Commedia in traduzione 13

2.2. Gli approcci ermeneutico e strumentale 14

3. Analisi del corpus 17

3.1. Inferno I, 1-18 17 3.2. Inferno XXI, 37-54 20 3.3. Purgatorio V, 88-108 24 3.4. Purgatorio XXX, 73-93 27 3.5. Paradiso XIV, 37-60 31 3.6. Paradiso XXXIII, 82-99 35 Conclusione 38 Bibliografia 42

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Introduzione

La Divina Commedia è stata tradotta in moltissime lingue per renderla accessibile ai lettori in tutto il mondo. La lingua in cui il numero più grande di traduttori si è misurato con la Commedia è sicuramente l’inglese, producendo, nel corso degli anni, una lista quasi interminabile di traduzioni, complete o parziali, in prosa o in versi (rimati o liberi), e di rielaborazioni moderne.

Evidentemente la traduzione di un’opera così complessa come la Commedia pone il traduttore davanti a tanti problemi. Tra questi si possono nominare il verso endecasillabo, la terza rima e la densità di significati presente nel testo di Dante. Per questa ragione, molti traduttori hanno scelto di sacrificare la rima e il verso, permettendosi di rimanere in questo modo più vicino alla lettera del testo. Altri, invece, hanno preferito avvicinarsi al sistema metrico del poeta fiorentino, cercando di conservare la musicalità e la poeticità del poema ma perdendo in questo modo parte del significato originale.

Partendo dai problemi traduttivi, mi propongo di indagare, in questa tesi, le diverse strategie che alcuni traduttori della Commedia hanno adottato per affrontare queste difficoltà e le soluzioni a cui sono arrivati. Vorrei, soprattutto, descrivere quali siano le differenze tra queste strategie e gli esiti raggiunti nella loro traduzione.

A tal fine, mi concentrerò su un corpus di tre traduzioni inglesi di grande rilievo, ossia quella di Charles Singleton (1970-1975), in prosa, di Robert Durling e Ronald Martinez (1996-2011), anch’essa in prosa, e di Robert e Jean Hollander (2000-2007), in versi liberi. I traduttori esaminati, americani, provengono tutti da un ambiente accademico avendo lavorato come professori universitari in rinomate università negli Stati Uniti. Si può dunque supporre, che i traduttori condividano lo stesso panorama scientifico e abbiano studiato la Commedia nello stesso modo e con la medesima intensità. Questa esperienza accademica li distingue da altri traduttori recenti del poema, come Robert Pinksy, poeta e scrittore. Ipotizzo che le tre traduzioni in questione, paragonate ad altre, formino un corpus piuttosto omogeneo, il che mi presenterà con la possibilità di entrare ancora di più nei dettagli e di analizzare meglio la strategia traduttiva utilizzata, mentre una scelta per un traduttore proveniente da un’esperienza totalmente diversa porterebbe sicuramente a differenze più grandi, dovute non solo alla strategia traduttiva ma anche per esempio alla conoscenza del testo di partenza.

Ho selezionato sei passaggi della Divina Commedia, cioè Inferno I, 1-18; Inferno XXI, 37-54; Purgatorio V, 88-108; Purgatorio XXX, 73-93; Paradiso XIV, 37-60; Paradiso

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XXXIII, 82-99, di cui studierò la traduzione, dal momento che contengono molte espressioni o parole non ben traducibili letteralmente o di significato ambivalente, nomi, o, soprattutto nel Paradiso, tanti neologismi e latinismi. Per una giustificazione più approfondita della mia scelta per i diversi passaggi rimando al terzo capitolo. Ho appositamente scelto di esaminare due passaggi da ogni cantica potendo in questo modo meglio paragonare, nella mia conclusione, le differenze riscontrate tra le tre cantiche. Ho cercato selezionare i brani in modo che, a seconda della narrazione, formino delle unità, per cui la lunghezza può variare.

Ho utilizzato per la mia analisi l’edizione della Commedia di Giorgio Petrocchi, come hanno fatto anche i tre traduttori. Per una spiegazione più approfondita della mia selezione di questi passaggi rimando all’introduzione anteposta all’analisi di ogni passaggio.

Per quanto riguarda la metodologia mi sono basata in parte sulla traduttologia e sulle teorie di diversi studiosi, come Lawrence Venuti, di cui ho studiato in modo particolare l’analisi degli approcci ermeneutico e strumentale della traduzione. Un approfondimento di questo argomento si trova nel secondo capitolo.

Una delle fonti più importanti di cui farò uso nella mia ricerca è Divine Comedies for

the New Millennium, a.c.d. Ronald de Rooy1, in cui sono stati raccolti altri studi simili al mio,

per esempio di Paolo Cherchi e dello stesso Robert Hollander. Per le fonti teoriche riguardanti

la traduttologia ho usato tra le altre The Translation Studies Reader di Lawrence Venuti2.

È in questo quadro che si colloca il presente studio, che è suddiviso in tre capitoli. Nel primo capitolo introdurrò il corpus. Nel secondo spiegherò quale sia il quadro teorico in cui si colloca questo studio. Nel terzo capitolo mi concentrerò sull’analisi dei sei passaggi e dei problemi traduttivi presenti in essi. Infine, arriverò a una conclusione sulle differenze tra le strategie applicate e le soluzioni trovate dai traduttori.

1 Ronald De Rooy, a.c.d., Divine Comedies for the New Millennium, Amsterdam University Press, Amsterdam,

2003.

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1. Introduzione al corpus

In questo primo capitolo mi propongo di introdurre brevemente i traduttori esaminati e le loro traduzioni (1.1-1.3).

1.1. Charles Singleton

La prima traduzione della Commedia su cui mi focalizzerò è quella di Charles S. Singleton, effettuata tra il 1970 e il 1975. Singleton (1909-1985) era un dantista di fama mondiale e anche un grande studioso di Boccaccio. Ha insegnato alla John Hopkins University dal 1939 al 1985, dove è stato fondato in onore di lui il Singleton Center for the Study of Pre-Modern

Europe.3 La sua traduzione della Commedia ha acquistato fama in tutto il mondo e ha

contribuito enormemente allo studio e alla comprensione del poema nel mondo anglosassone. Singleton è stato, tra i traduttori studiati in questo saggio, il più veloce in assoluto: ha impiegato, tra il 1970 e il 1975, solo cinque anni per completare l’intera traduzione con un ampio commento. La traduzione è in prosa, con l’originale italiano, nella versione di Petrocchi, a fronte. Singleton non ha aggiunto alla traduzione né una introduzione generale, né una presentazione o un riassunto a inizio canto, il che lo distingue da molti altri traduttori. Il traduttore spiega questa assenza solamente alla fine del primo volume, nella breve nota alla traduzione, dicendo che ‘The best “introduction” to the Divine Comedy, it has long seemed to me, is no Introduction at all. Let the reader face the poem directly, begin his reading now, and

see if Dante can be new again this morning – and how new’4.

È notevole come Singleton stesso descriva la sua traduzione:

Of English translations of the Comedy there is no end in sight; and one may well wonder why yet another should be added to that ceaseless flow. The answer must be that translation is interpretation, and that the version in prose here presented is but one more answer to the perennial question: How do we read this verse, this tercet, this canto? What do we conceive its essential meaning to be? Simple English prose (the ideal has been to make it as simple as Dante’s own “humble” style – as he termed it, writing to Can Grande) can give but a partial answer, but it can and does give that.5

Chandler B. Beall, riferendosi a questa citazione di Singleton, commenta che ‘It is unpretentious; it attempts to narrate with scrupulous accuracy what the original sings; in this

3 John Hopkins University, CHARLES S. SINGLETON CHAIR IN ITALIAN STUDIES,

https://webapps.jhu.edu/namedprofessorships/professorshipdetail.cfm?professorshipID=70 (consultato il 28 gennaio 2015).

4 Dante Alighieri, Inferno, trad. Charles Singleton, Princeton, Princeton University Press, 1970, p. 371. 5 Ivi, p. 372.

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it nearly always succeeds, and still it flows with its own pleasing elegance and ease.’6 Daniel J. Donno nota che ci sono solo pochi momenti dove l’inglese si fa forzato e sgraziato. Secondo Donno, la traduzione di Singleton è ‘straightforward, clear and confident’ e ‘the desire to make Dante as accessible as possible without misrepresentation of any kind is

everywhere in evidence’.7

Per la sua traduzione, Singleton si è basato, in gran parte, sul lavoro dei suoi predecessori, come indica anche lo stesso traduttore nella sua ‘Note on the Italian text and the translation’ a fine libro. Altri, tra cui gli Hollander, hanno chiarito questo riconoscimento, indicando le similarità tra la traduzione di Singleton e quella di John Sinclair: ‘[...] a tremendous amount of Singleton's translation conforms word-for-word to Sinclair’s, as

anyone may see simply by opening the two volumes side by side.’8

Più che sulla traduzione stessa del poema si è scritto sull’ampio commento che accompagna la traduzione. Morton W. Bloomfield scrive che

the richest, most original, and most important part of the edition is Part II which consists of almost 700 pages of notes and quotations (all incidentally with English translations when needed) which provide by far the best background material on the Inferno available in English in one place. It will be indispensable for all students of the poem.

Anche Beall nota che ‘[the notes] offer an extremely rich and varied set of annotations which call upon earlier commentaries, medieval and modern, including Singleton’s own, and, in the

last volume, the new and vast Enciclopedia dantesca (still incomplete).’9 Tutti i recensori

notano l’importanza della traduzione in inglese di passaggi scritti in italiano o in latino che compaiono nelle note, per renderli disponibili a un pubblico ampio, anche ai lettori con conoscenza solo dell’inglese.

Ci sono, però, anche osservazioni critiche sul commento. Bloomfield afferma che grazie all’attenzione esclusiva di Singleton per gli aspetti storici e linguistici del poema,

manca a volte la dovuta attenzione agli elementi allegorici e filosofici della Commedia.10

Chandler B. Beall conferma che ‘Singleton’s “essential meaning” is one that sticks close to

6 Chandler B. Beall, The Divine Comedy by Dante Alighieri, Charles S. Singleton; La Divina Commedia by

Dante Alighieri, C.H. Grandgent, Charles S. Singleton (Book Review), in “Comparative Literature”, Vol. 28,

No. 2 (Spring 1976), p. 164.

7 Daniel J. Donno, The Divine Comedy. Vol. 22 (in 2 vols.), Purgatorio. I: Italian Text and Translation. II:

Commentary. Tr. with a commentary by Charles. S. Singleton (Book Review), in “Renaissance Quarterly”, Vol.

28, No. 2 (Summer, 1975), p. 220.

8 Dante Alighieri, Inferno, trad. Jean Hollander, Robert Hollander, New York, Anchor, 2002, p. xiv. 9 Chandler B. Beall, The Divine Comedy, cit., p. 164.

10 Morton W. Bloomfield, Dante Alighieri, The Divine Comedy. Vol. I: Inferno. I: Italian Text and Translation.

II: Commentary. Translated, with a commentary, by Charles S. Singleton; Dante’s Inferno. Translated with notes and commentary by Mark Musa (Book Review), in “Speculum”, Vol. 48, No. 1 (Jan., 193), p. 128.

(8)

the text and is fairly literal’, e ‘Not often do [the annotations] concern themselves with aesthetic matters, with literary criticms, with the poetry on the left-hand page. Nor do they take into account the interpretations and speculations of those who read meanings into Dante’s text.’11

1.2. Robert M. Durling e Ronald L. Martinez

La seconda traduzione della Commedia che mi propongo di studiare è quella di Robert Durling, con il commento di Ronald Martinez.

Robert Durling (1929-2015) era uno studioso e traduttore americano, conosciuto, tra l’altro, per la traduzione delle Rime Sparse di Petrarca. Lavorava come professore di letteratura italiana e inglese presso la Università di California a Santa Cruz. Durling era uno

studente di Singleton, il cui corso sulla Commedia ha ‘letteralmente cambiato la sua vita’12.

Ronald Martinez (1948) è professore di italiano alla Brown University di Providence (RI), studioso e traduttore, tra l’altro di Goldoni, e ex studente di Robert Durling, che ha guidato la sua tesi di dottorato nel 1977 all’università di California, a Santa Cruz.

I due, Durling come traduttore e Martinez come commentatore, hanno impiegato un periodo relativamente lungo per la traduzione dell’intera Commedia: mentre la prima cantica è stata pubblicata nel 1996, la terza e ultima è del 2011. La traduzione è in prosa, con l’originale italiano, in versione petrocchiana, a fronte. Hanno scelto di aggiungere comunque i numeri dei versi di ogni primo verso di una terzina perché ‘this format continually reminds the reader that the original is in verse’13.

È rimarchevole come gli stessi Durling e Martinez caratterizzino la loro traduzione, soprattutto per quanto riguarda la strategia di echeggiare in inglese la tensione presente nel testo di Dante:

The translation is prose, as literal as possible, following as closely as practicable the syntax of the original; there is no padding, such as one finds in most verse translations. The closely literal style is a conscious effort to convey in part the nature of Dante’s peculiar Italian, notoriously craggy and difficult even for Italians. Dante is never bland: his vocabulary and syntax push at the limits of the language in virtually every line; there must be some tension, some strain, in any translation that respects the original. While we hope the translation reads well aloud, there is no effort to mirror Dante’s sound effects –meaning and syntax are much more important for our purposes. Latin

11 Chandler B. Beall, The Divine Comedy, cit., pp. 164-5.

12 Alex C. Telander, An Interview with Robert M. Durling,

https://bookbanter.wordpress.com/2011/04/15/an-interview-with-robert-m-durling-april-2011/ (consultato il 28 gennaio 2015).

13 Dante Alighieri, The Divine Comedy of Dante Alighieri, Inferno, trad. R. Durling, R. Martinez, Oxford,

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words and phrases are left untranslated and are explained in the notes; they add an important dimension.14

Questa “poetica” viene confermata da Tom Peterson, in una recensione comparativa della traduzione dell’Inferno di Durling/Martinez e di quella di Robert Pinsky, uscita alcuni anni prima. Peterson sottolinea sia gli aspetti positivi che quelli negativi dello stile di Durling, affermando che la traduzione è quasi assolutamente fedele alla sintassi dantesca. Secondo lui, però, questa assoluta fedeltà all’originale e il conseguente rifiuto da parte del traduttore di interpretare i versi, risultano, a volte, in traduzioni poco chiare. La traduzione di parole provenienti dal latino con l’equivalente inglese di provenienza latina, invece, portano in certi

momenti a uno stile poco vivace.15 Si noti, a questo punto, l’opinione di Theodore J. Cachey,

Jr., che pare in parte discordare da Peterson, sostenendo che la traduzione di Durling e Martinez sia meno neutrale da un punto di vista ermeneutico, dal momento che i traduttori si

permettono un ‘interpretive license for their translation and commentary’.16 In un altro punto

dello stesso saggio Cachey ammette però che ‘idiosyncratic annotations and renderings of this type are relatively few and far between’, mentre poco dopo dice che ‘interpretive engagement

of the translation evidenced by these [examples] characterizes the annotations as well’17.

Cachey condivide comunque l’opinione di Peterson che il volume presenti in generale una resa letterale del testo.

Ci sono comunque, secondo Peterson, numerosi passi magnifici nella traduzione di Durling, la quale è in sintonia con il pensiero di Walter Benjamin secondo cui un traduttore dovrebbe ‘incorporate the original’s mode of signification, thus making both original and the

translation recognizable as fragments of a greater language’18. Ciò richiede che le singole

parole più che le frasi formino la base della traduzione. Peterson conclude che ‘Durling has achieved such a rendering, daring at times to delve into the archaic and strangely Latinate roots of a certain English word, not because of its obscurity but its precise replication of the

density and polyvalence of Dante’s usage’.19

14 Ibidem.

15 Tom Peterson, The Inferno of Dante, in “Annali d’Italianistica”, Vol. 15 (1997), pp. 349-351.

16 Theodore J. Cachey Jr., The Divine Comedy of Dante Alighieri, 1: Inferno, ed. and trans. Robert M. Durling.

Introduction and notes by Ronald L. Martinez and Robert M. Durling, in “Speculum”, Vol. 74, No. 2 (Apr.,

1999), pp. 402.

17 Ibidem.

18 Walter Benjamin, The Task of the Translator, in Selected Writings, Volume 1, 1913-1926, ed. M. Bullock,

Michael W. Jennings, Harvard College, Harvard, 1996, pp. 260.

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De Rooy parla di ‘soberly “colloquial” o soberly “academic” prose’20, il che è in armonia con le parole di Theodore J. Cachey, Jr. che lo nomina ‘a new scholarly prose rendering, something that had not been attempted since Charles S. Singleton’s translation

[…]’21. Lo studioso conclude che ‘Durling and Martinez have succeeded in making a timely

and authorative contribution to the contemporary canon of Dante translations’.22

La traduzione di Durling viene accompagnata dalle note di Durling stesso e di Martinez, poste alla fine del canto e relativamente numerose e dettagliate (Durling e Martinez stessi affermano nella “Note on the Notes” che le annotazioni sono ‘fuller than those found in many

current translations’23). Secondo gli autori, esse sono destinate al lettore che legge la

Commedia per la prima volta, per cui non mirano ad una completezza accademica, ma lasciano spazio a interpretazione e discussione. Cachey nota che Durling e Martinez si distanziano in questo senso dal ‘Singleton volumes’ air of objective scholarship detachedly

imparted’24. Alla fine dei volumi troviamo le “additional notes”, che sono, come dice Cachey

giustamente, una forma ibrida tra annotazione e saggio critico.

1.3. Robert e Jean Hollander

Robert Hollander (1933) è professore emerito di letteratura europea, di francese e d’italiano,

ed ha lavorato, tra l’altro, all’università di Princeton.25 È uno dei più noti dantisti ancora in

vita, avendo pubblicato più di 100 articoli su Dante, ma anche su Boccaccio e altri scrittori, ed è direttore sia del Dartmouth Dante Project che del Princeton Dante Project.

Sua moglie, Jean Hollander (1928), è autrice, poetessa e professoressa di letteratura a Princeton, Brooklyn College, Columbia University e Rider University, ed è stata la direttrice

dell’Annual Writers’ Conference al College of New Jersey per 23 anni.26

I due hanno impiegato in totale sette anni per finire la loro traduzione delle tre cantiche, pubblicando quella dell’Inferno nel 2000 e il Paradiso, nel 2007. La traduzione è in versi liberi/non rimati, con l’originale italiano, in versione petrocchiana a fronte, anche se Hollander a volte discorda dallo studioso italiano nelle note. Gli Hollander hanno scelto di aggiungere i numeri dell’ultimo verso di ogni terzina, e dunque non del primo, come Durling.

20 Ronald de Rooy, Divine Comedies for the New Millennium. Humbleness and Hubris, in Divine Comedies, cit.,

p. 12.

21 Theodore J. Cachey Jr., The Divine Comedy, cit., p. 401. 22 Ibidem.

23 Dante Alighieri, The Divine Comedy, trad. R. Durling, R. Martinez, cit., p. v. 24 Theodore J. Cachey Jr., The Divine Comedy, cit., p. 403.

25 Princeton University, Robert Hollander, http://www.princeton.edu/fit/people/display_person.xml?netid=bobh

(consultato il 28 gennaio 2015).

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La forma metrica scelta dagli Hollander è quella del verso libero e gran parte è in “blank verse”. Robert Hollander ha ampiamente spiegato la scelta per il verso libero in ‘A New Translation of Dante’: ‘rhyme, the eventual challenge for any translator of Dante into verse [...], was immediately discarded as inevitably forcing a maximum of distortion of the original’. In un chat su internet i due scrivono: ‘We find that the loss that occurs in finding rhymes so forces the sense that it is better to surrender on that front and try to be most faithful to the shadings of sense in the original. People disagree about this, but that is where we

stand’.27Anche il “blank verse” è stato evitato dagli Hollander, per due ragioni: ‘a lesser but

still unacceptable degree of necessary distortion and an archaic feel for a contemporary

reader, faced with lines that are unremittingly in regular meter’.28 Sul risultato finale dice: ‘In

my opinion, our work has mainly succeeded in not short-changing Dante’s sense for English sound’ ma deve comunque ammettere che ‘had each of us produced his or her own

translation, the two resulting Dantes would have been very different texts’.29

Come affermano gli stessi Hollander, Robert si è occupato principalmente della correttezza della traduzione e la sua fedeltà all’originale italiano, mentre la moglie Jean come poetessa si è occupata della forma e del metro della traduzione.

Gli Hollander indicano nella loro introduzione al primo volume che avevano originariamente l’intenzione di produrre una versione “pulita” e modernizzata della traduzione di John D. Sinclair (1939), utilizzata come versione di base anche da Charles Singleton, ma che per varie ragioni hanno deciso di intraprendere una nuova traduzione in versi della Commedia, che deve comunque molto a Sinclair e che echeggia così anche la

traduzione di Singleton.30 Secondo Joan Acocella, gli Hollander sono troppo modesti:

ripetono nel loro inglese molto di quello di Sinclair ma sono ‘both easier to read and more

artistic: [Jean Hollander] sings; Sinclair doesn’t’.31

Lo scopo degli Hollander è stato ‘to bring Dante into our English without being led into the temptation of making the translation sound better than the original allows’ e ‘to offer

a clear translation, even of unclear passages’.32 Si potrebbe dire che il primo scopo li

accomuna a Durling e Martinez, mentre il secondo di meno. Cachey asserisce che la

27 Wordsmith, A Chat with Robert Hollander and Jean Hollander,

http://www.wordsmith.org/chat/hollanders.html (consultato il 28 gennaio 2015).

28 Robert Hollander, A New Translation of Dante, in “Literary Review: An International Journal of

Contemporary Writing”, 2000 Fall, Vol.44(1), pp. 48-9.

29 Ibidem.

30 Dante Alighieri, Inferno, cit., pp. xiii-xiv.

31 Joan Acocella, A new translation of the Paradiso, in “The New Yorker”,

http://www.newyorker.com/magazine/2007/09/03/cloud-nine (consultato il 28 gennaio 2015).

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traduzione degli Hollander è quella più lucida e accurata attualmente disponibile in prosa o in versi.33

La critica ha analizzato soprattutto il copioso e precisissimo commento, che viene descritto sia come un punto di forza che come un punto di debolezza. Cachey nota che:

The way in which Hollander develops his commentary in relation to the previous commentary traditions is its distinguishing characteristic. Hollander leaves questions open and develops some kind of conversation with the commentary tradition. […] Hollander’s commentary is a commentator’s commentary. In its assiduous pursuit of the terms infinite debates, it appears to suggest that this is what reading Dante is about.

Secondo Charles Klopp, addirittura, ‘the translation should be considered a kind of additional note to the poem rather than a competing text’, nel senso che la traduzione stessa non è mirata a formare un’opera d’arte a sé stante ma per attirare il lettore alla Commedia. Rita Signorelli-Pappas crede che il commento sia eccessivo e parla di un ‘certain loss of momentum with the

primary text’34. Secondo Acocella le note di Hollander non sono destinate al lettore comune

ma ad accademici e studenti.35

33 Theodore J. Cachey Jr., Dante Alighieri. Inferno, trans. Robert Hollander and Jean Hollander, in

“Speculum”, Vol. 78, No. 1 (Jan., 2003). p. 158.

34 Rita Signorelli-Pappas, Imagining the Author’s Gaze: Ancient and Modern Exile Literature in Translation, in

“Literary Review: An International Journal of Contemporary Writing”, 2003 Summer, Vol.46(4), p.754.

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2. Quadro teorico

Vorrei entrare, in questo secondo capitolo, nel merito della teoria della traduzione. Le scelte fatte da un traduttore non sono mai, si suppone, casuali. Prima di tutto, e molto importante nel caso particolare della Commedia, è la scelta della forma metrica per la traduzione, la quale determina fortemente l’esito della traduzione. Nel primo paragrafo di questo capitolo (2.1) riassumerò brevemente le diverse opzioni formali e discuterò le scelte fatte dai traduttori esaminati in questo studio. Nel secondo paragrafo (2.2) mi occuperò degli approcci ermeneutico e strumentale, due approcci traduttivi su cui mi focalizzerò durante la mia analisi nel capitolo seguente e nella mia conclusione.

2.1. Le opzioni formali per la Commedia in traduzione

Una prima scelta che qualsiasi traduttore della Commedia deve per forza affrontare riguarda la forma metrica della sua traduzione. È meno facile servirsi della terza rima in un’altra lingua, come afferma Dorothy Sayers, uno dei pochi traduttori che hanno fatto una traduzione in terza rima della Commedia: ‘while English is rich in vowel sounds, it is poor in rhymes in

comparison with Italian’36. Utilizzare la terza rima in una traduzione significa quindi

complicare assai l’operazione traduttiva e compromettere almeno in parte il significato letterale del poema. In questo senso, il traduttore deve scegliere che cosa preferisce sacrificare: la forma metrica, una parte del significato, o un po’ dei due. Come dimostrano Susan Bassnett e Ronald de Rooy la forma metrica preferita per le traduzioni della Commedia varia comunque nel tempo e negli ultimi decenni si è visto il ritorno di varie forme di terza

rima.37 Il fatto che academici come Singleton, Hollander e Durling si occupino di traduzioni

influenza anche molto questa scelta, dal momento che in ambito accademico di solito vengono preferite la precisione e la giusta interpretazione alle qualità poetiche di una

traduzione.38

Le traduzioni in inglese della Divina Commedia si possono, secondo Robert

Hollander, storicamente dividere in cinque categorie39:

1. Prosa

36 Susan Bassnett, Translation, Abindon, Oxon, New York, Routledge, 2014, p. 99.

37 Ivi, pp. 98-101; Ronald de Rooy, The Poet Translated by American Poets. in Search of the Perfect

‘Trasmutazione Musaica’, in Divine Comedies, cit., pp. 58-59.

38 Paolo Cherchi, The translations of Dante's "Comedy" in America, in Divine Comedies, cit., p. 41. 39 Robert Hollander, Translating Dante into English again and again, in Divine Comedies, cit., p. 45.

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2. Verso libero 3. Blank verse 4. Terzine false 5. Terza rima

Tra i traduttori esaminati, solo gli Hollander hanno preferito una traduzione non prosaica: il verso libero. La traduzione di Singleton è strettamente prosaica, come quella di Durling anche se, grazie all’impostazione tipografica, quest’ultimo ha creato l’illusione visuale di versi.

Sarà un aspetto importante della mia analisi vedere come la forma scelta dai traduttori abbia influenzato la traduzione.

2.2. Gli approcci ermeneutico e strumentale

A prima vista, si potrebbe supporre che, siccome i tre traduttori sono tutti accademici, le loro traduzioni debbano essere assai simili l’una all’altra. Si possono comunque individuare delle strategie abbastanza diverse tra i tre traduttori.

Sulla traduzione di Singleton, Paolo Cherchi nota:

‘Charles Singleton, who imposed a new way of reading Dante, has also promoted a renovation of the critical approach to translating Dante. Singleton was a professor, and many new wave Dante translators have been professors. Singleton himself translated the Comedy in prose, which makes perfect sense with his view of Dante as a strong thinker, as thought comes through better in a prose translation. However, this is not accurate: Singleton wanted above all to write a commentary to Dante’s Comedy, and a prose translation was perfectly suitable for this plan, especially for a commentary which pays no attention whatsoever to “poetic” form’.40

L’approccio di Singleton può essere classificato, quindi, secondo Cherchi come un approccio

filologico.41 Il commento di Durling e Martinez, inoltre, mostra, secondo lo studioso, ‘a

hermeneutical attention to the text that was not present in Singleton’s commentary and translation: it is a sign that the professors are trying to understand the Muses as well as the philosophers’. La traduzione degli Hollander, invece, è classificata da Cherchi come ‘the fruit of wedding Philology with Poetry’. Si potrebbe supporre che queste differenze si manifestino molto chiaramente nel commento, ma forse meno evidentemente nelle traduzioni stesse. Mi voglio comunque concentrare su questa differenza di approccio tra i tre traduttori e vedere in che senso influenza non solo il commento ma anche la traduzione.

40 Paolo Cherchi, The translations, cit., pp. 34-5. 41 Ivi, p. 41.

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Nell’ambito dei Translation Studies, si è discusso molto sul contrasto tra l’approccio ermeneutico e l’approccio strumentale, i due modelli traduttivi predominanti nella storia della

traduzione.42 La fondamentale differenza tra i due modelli è che mentre il modello

strumentale ‘treats translation as the reproduction or transfer of an invariant which the source text contains or causes, typically described as its form, its meaning, or its effect’, l’approccio ermeneutico considera la traduzione invece ‘an interpretation of the source text whose form, meaning, and effect are seen as variable, subject to inevitable transformation during the translating process’. Nel modello strumentale, la traduzione deve riprodurre l’essenza invariabile presente nel testo d’origine, mentre nel modello ermeneutico la traduzione non è che una delle tante possibili interpretazioni del testo d’origine, tenendo conto della cultura e lingua di destinazione. Ciò influenza anche la corrispondenza tra testo di base e traduzione: nell’approccio strumentale l’invariabile testo di base forma il criterio per una traduzione precisa. Nell’approccio ermeneutico invece, la corrispondenza tra testo di base e traduzione è solo una delle tante possibilità, basata su circostanze storiche, sociali, culturali, linguistiche, ecc.43

Suppongo che, nella mia analisi, questi approcci diventeranno visibili in modo particolare nella traduzione di versi che, se tradotti letteralmente in inglese, non sarebbero chiari o diventerebbero addirittura agrammaticali. Inoltre, ci sono i casi in cui ci sono diverse possibili interpretazioni di un verso. Il grado in cui i traduttori scelgono di rimanere comunque fedeli alla lettera del testo di partenza o di interpretare e trasformare il testo di base determinerà se aderiscono più all’approccio strumentale o a quello ermeneutico.

Abbiamo visto l’importanza della scelta della forma per la traduzione della Commedia. La forma metrica originale, gli endecasillabi con terza rima, è molto difficile da riprodurre in inglese. Un traduttore dovrà, quindi, cercare un equilibrio tra il desiderio di conservare la musicalità e la poeticità del poema, e quello di portare il significato all’inglese in modo fedele. In generale, si possono individuare cinque scelte formali.

Abbiamo constatato, inoltre, che i traduttori esaminati, pur arrivando da un’esperienza accademica simile, non hanno optato tutti per la stessa forma: le traduzioni di Singleton e Durling sono in prosa, anche se l’ultimo traduttore, grazie alla disposizione grafica, crea l’illusione visuale di versi. Solo la traduzione degli Hollander è in versi liberi.

42 Lawrence Venuti, The Translation, cit., p. 483. 43 Ivi, p. 484.

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Si è discusso, infine, delle differenze tra l’approccio ermeneutico e l’approccio strumentale. Nell’approccio ermeneutico, la traduzione è considerata un’interpretazione di un originale sempre variabile, mentre nel modello strumentale si cerca di portare l’invariabile testo di base alla lingua di destinazione. Abbiamo visto che Paolo Cherchi individua nelle tre traduzioni esaminate un’attenzione ermeneutica differente.

Prenderò in considerazione questi modelli nella mia analisi nel terzo capitolo di questo lavoro, cercando di trovare una risposta alla domanda a quali dei due i traduttori aderiscono di più, e se le conclusioni di Cherchi trovano una chiara corrispondenza con le mie.

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3. Analisi del corpus

Questo capitolo contiene la mia analisi delle tre traduzioni dei sei passaggi selezionati. Ho dedicato un paragrafo a ogni passaggio (3.1-3.6). All’inizio di ogni paragrafo, ho prima riprodotto il passaggio in versione petrocchiana, con accanto le traduzioni di Singleton, Durling e degli Hollander. Di seguito, ho giustificato la mia scelta per questo passaggio.

Ho scelto di dedicare un capoverso a ogni terzina e cercato di concentrarmi soprattutto sul paragone tra le tre traduzioni e di segnalare le differenze più spiccate tra di esse, le occasioni in cui le traduzioni si differenziano assai dall’originale e le possibili ragioni per questo.

Nel caso in cui si citano più traduzioni senza citare esplicitamente i nomi dei traduttori, le traduzioni vengono sempre date nell’ordine cronologico seguito in tutta la tesi (Singleton-Durling-Hollander).

3.1. Inferno I, 1-18

Testo di partenza e traduzioni

Giustificazione della scelta del passaggio

Dante apre il suo poema in modo eloquente dichiarando le sue intenzioni per l’intero poema, facendo questo, però, in modo relativamente velato e allegorico attraverso la metafora della selva oscura, che invece si riferisce alla sua situazione spirituale. Si notino per esempio termini come ‘mi ritrovai’, ‘la diritta via’, gli aggettivi ‘selvaggia’, ‘aspra’ e ‘forte’ per descrivere la ‘selva’, e il ‘ben’ e le ‘altre cose’ della terza terzina. Credo che questo passaggio

Dante

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. 3 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! 6 Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. 9 Io non so ben ridir com’i’ v’intrai tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. 12 Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, 15 guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. 18

Charles Singleton

Midway in the journey of our life I found myself in a dark wood, for the straight way was lost. Ah, how hard it is to tell what that wood was, wild, rugged, harsh; the very thought of it renews the fear! It is so bitter that death is hardly more so. But, to treat of the good that I found in it, I will tell of the other things that I saw there.

I cannot rightly say how I entered it, I was so full of sleep at the moment I left the true way; but when I had reached the foot of a hill, there at the end of the valley that had pierced my heart with fear, I looked up and saw its shoulders already clad in the rays of the planet that leads men aright by every path.

Robert Durling

In the middle of the journey of our life, I came to 1 myself in a dark wood, for the straight way was lost. Ah, how hard a thing it is to say what that wood 4 was, so savage and harsh and strong that the thought of it renews my fear!

It is so bitter that death is little more so! But to 7 treat of the good that I found there, I will tell of the other things I saw.

I cannot really say how I entered there, so full of 10 sleep was I at the point when I abandoned the true way.

But when I had reached the foot of a hill, where 13 the valley ended that had pierced my heart with fear, I looked on high and saw its shoulders clothed 16 already with the rays of the planet that leads us straight on every path.

Robert e Jean Hollander

Midway in the journey of our life I came to myself in a dark wood,

for the straight way was lost 3

Ah, how hard it is to tell

the nature of that wood, savage, dense and harsh – the very thought of it renews my fear! 6 It is so bitter death is hardly more so.

But to set forth the good I found

I will recount the other things I saw. 9 How I came there I cannot really tell,

I was so full of sleep

when I forsook the one true way. 12

But when I reached the foot of a hill, there where the valley ended

that had pierced my heart with fear, 15 looking up, I saw its shoulders

arrayed in the first light of the planet

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si rivelerà particolarmente utile, quindi, per determinare la strategia seguita dai traduttori, se scelgono di rimanere più fedeli alla lettera del testo o di interpretare i versi.

Analisi del passaggio

La prima cosa che notiamo è la forte somiglianza tra le traduzioni, che hanno tutte una struttura molto simile e condividono anche gran parte del lessico. Comparando le differenze tra le tre versioni della prima terzina (1-3), si vede che solo Singleton preferisce tradurre ‘mi ritrovai’ (2) con ‘I found myself’, ossia un termine che indica il luogo dove si trovava Dante, mentre Durling e gli Hollander preferiscono ‘I came to myself’, interpretazione più psicologica del verbo, commentata ampiamente da tutti e due. Secondo Durling e Martinez, questa traduzione s’addice meglio alla natura interiore dell’evento, mentre secondo gli Hollander il verbo ‘to come to one’s self’ corrisponde meglio con ‘the sense of sudden shocked discovery’ di ritrovarsi lì in quella selva. Qui si rivela un approccio ermeneutico da parte di Durling e degli Hollander, mentre la traduzione di Singleton mostra un approccio più filologico e strumentale.

Analizzando la seconda terzina (4-6), diventa chiaro che solo Durling fa una traduzione parola per parola: è l’unico a tradurre ‘cosa’ (4) (‘a thing’), che (6) (‘that’) e ‘forte’ (5) (‘strong’) letteralmente.

Per quanto riguarda la terza terzina (7-9), si nota che le tre traduzioni del primo verso sono molto simili. Solo gli Hollander omettono ‘che’ (7) (‘that’), probabilmente perché ciò rende il verso molto più scorrevole. Inoltre, gli ultimi due versi degli Hollander sono molto più compatti di quelli degli altri due, perché mancano elementi come ‘vi’ (8/9) (‘there’/’in it’). Sia Singleton che Durling scelgono dei verbi intransitivi come ha fatto anche Dante (8/9) (‘trattar di’/’dirò de’; ‘treat of’/’tell of’), mentre gli Hollander in questi casi preferiscono uno spostamento strutturale, utilizzando verbi transitivi (‘set forth’/’recount’) che hanno, inoltre, un registro più alto.

La seguente terzina (10-12) rivela alcune differenze tra le traduzioni, soprattutto tra Singleton e Durling da un lato, e gli Hollander dall’altro. Per quanto riguarda il primo verso (10), notiamo che gli Hollander, riguardo a ‘intrai’, optano per una traduzione più generale (‘came’), mentre gli altri scelgono il più letterale ‘entered’. Gli Hollander ribaltano la struttura sintattica, mettendo la frase secondaria, che nel testo di Dante occupa la seconda parte del verso, all’inizio. Nessuno dei traduttori traduce la parte iniziale ‘ri’ del verbo ‘ridire’ (‘say’/’say’/’tell’), anche se la soluzione degli Hollander si avvicina di più al significato. Nel verso 11, Durling non solo traduce ‘punto’ e ‘abbandonai’ letteralmente con ‘point’ e

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‘abandoned’, ma, scegliendo parole inglesi molto simili, replica anche il suono dell’originale. Singleton decide per ‘moment’ e ‘left’, mentre gli Hollander preferiscono tradurre ‘a quel punto / che’ (11-12) con il molto più corto ‘when’, e ‘abbandonai’ con ‘forsook’. Anche nella traduzione di ‘la verace via’ si nota una differenza tra Singleton e Durling, e gli Hollander. Mentre i primi due preferiscono ‘the true way’, gli Hollander, invece, scelgono ‘the one true way’.

Le traduzioni della terzina 13-15 sono quasi identiche. È possibile segnalare comunque alcune differenze minori. Nel verso 13, solo gli Hollander traducono il trapassato remoto ‘fui ... giunto’ con un imperfetto (‘reached’) e non con il trapassato (‘had reached’), come gli altri due. Nel verso seguente soltanto gli Hollander rispettano completamente la struttura del verso dantesco, traducendolo parola per parola e ripetendo il ‘là dove’ di Dante nell’inglese ‘there where’, mentre gli altri scelgono delle soluzioni meno letterali.

L’ultima terzina (16-18) mostra di nuovo alcune importanti differenze tra le traduzioni. Gli Hollander traducono ‘guardai in alto’ (16) con il gerundio ‘looking up’, mentre gli altri mantengono la categoria grammaticale dell’originale. Singleton e Hollander traducono ‘in alto’ (16) con ‘up’, il che riporta letteralmente in inglese ciò che c’è scritto anche in italiano. Durling, invece, preferisce ‘on high’, e sembra qui essersi sforzato per rimanere ancora più vicino all’italiano, scegliendo un’espressione che rispetta l’esatta lunghezza e struttura sintattica dell’originale. Questo vale anche per la traduzione di Durling di ‘vestite già’ (17) (‘clothed / already’) che rispecchia l’ordine delle parole di Dante, mentre la soluzione di Singleton (‘already clad’), comunque abbastanza simile, lo cambia. Gli Hollander arrivano a una soluzione molto interessante (‘arrayed in the first light of the planet’) per il verso 17. La loro è una traduzione esplicativa ed ermeneutica, dato che ‘in the first light’ è molto più esplicito che il ‘già’ che troviamo in Dante. Una trovata molto interessante è il verbo ‘arrayed’, che vuol dire ‘to clothe with garments’, ‘dress up’, ‘adorn’, ma porta in sé anche la parola ‘ray’, traduzione di ‘raggi’, anche se i due termini, ‘arrayed’ e

‘ray’ non sono etimologicamente legati.44 ‘Per ogne calle’ (18) è tradotto dagli Hollander

abbastanza liberamente (‘no matter what their road’), mentre gli altri lo traducono parola per parola (‘by every path’/’on every path’). In questo verso si rivela un approccio ermeneutico da parte degli Hollander, mentre l’approccio di Singleton e Durling è piuttosto strumentale.

44 Online Etymology Dictionary, Array,

http://www.etymonline.com/index.php?term=array&allowed_in_frame=0 (consultato il 28 gennaio 2015) e Online Etymology Dictionary, Ray,

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3.2. Inferno XXI, 37-54

Testo di partenza e traduzioni

Giustificazione della scelta del passaggio

Il passaggio è uno dei più ironici e sarcastici dell’intera Commedia, per esempio a causa del modo in cui i diavoli usano termini come ‘Santa Zita’, ‘Santo Volto’ e ‘Serchio’. Inoltre, il linguaggio è molto colloquiale e a volte popolare. Il problema per un traduttore sarà come trasferire questa ironia e questo tono, soprattutto perché questi termini sono legati a un luogo e un’epoca specifici, la Lucca del Trecento. Anche il nome dei diavoli, ‘Malebranche’, un’invenzione di Dante, forma uno specifico problema traduttivo. Il modo in cui i traduttori scelgono di affrontare le espressioni e i termini intraducibili e gli scherzi ironici dei diavoli rivelerà molto sul loro approccio.

Analisi del passaggio

La prima parola notevole nelle traduzioni è ‘Malebranche’ (37), copiata in inglese da Singleton e dagli Hollander, ma tradotta da Durling con ‘Evil Claws’. Durling è dunque l’unico che opta per la procedura traduttiva del calco, mentre gli altri optano per il prestito. Nel prossimo verso, ‘li anzïan di Santa Zita’ (38) è tradotto da Singleton con ‘Saint Zita’s Elders’, da Durling con ‘elders of Santa Zita’ e dagli Hollander con ‘Santa Zita’s Elders’. Sono tutte e tre delle traduzioni relativamente letterali che richiedono una spiegazione ulteriore del commentatore. Singleton è l’unico a tradurre la parola ‘Santa’ con ‘Saint’. La traduzione di Durling di ‘anzïan’ con ‘elders’ con la minuscola è interessante. Anche nella versione petrocchiana della Commedia ‘anzïan’ è scritto con la minuscola, benché su

Dante

Del nostro ponte disse: “O Malebranche, ecco un de li anzïan di Santa Zita! Mettetel sotto, ch’i’torno per anche 39 a quella terra, che n’è ben fornita: ogn’ uom v’è barratier, fuor che Bonturo; del no, per li denar, vi si fa ita.” 42 Là giù ‘l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo. 45 Quel s’attuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, gridar: “Qui non ha loco il Santo Volto! 48 Qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però , se tu non vuo’ di nostro graffi, non far sopra la pegola soverchio.” 51 Poi l’addentar con più di cento raffi, disser: “Coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascosamente accaffi.” 54

Charles Singleton

He spoke from our bridge, “O Malebranche, here’s one of Saint Zita’s Elders! Thrust him under, while I go back for more, to that city where there’s a fine supply of them: every man there is a barrator, except Bonturo; there they make Ay of No, for cash.”

Down he hurled him, and turned back on the hard crag, and never was an unleashed mastiff so swift in pursuit of thief. The sinner sank under and rose again, rump up; but the devils, who were under cover of the bridge, cried, “Here’s no place for the Holy Face! Here you’ll swim otherwise than in the Serchio! And so, unless you want to feel our grapples, do not come out above the pitch.” Then they struck him with more than a hundred prongs, and said, “Here you’ll have to dance under cover, so grab on secretly, if you can.”

Robert Durling

From our bridge he said: “O Evil Claws, here is 37 one of the elders of Santa Zita! Put him under, I am going back for more

to that city, which is well supplied with them: 40 every one is a grafter there, except Bonturo; for money there they turn ‘no’ into ‘yes.’”

He threw him down and turned on the stony 43 ridge; and never was a mastiff loosed with more haste to pursue a thief.

The sinner plunged, and came back to the surface 46 bottom up: but the demons hidden beneath the bridge cried; “Here we don’t show the Holy Face! Here the swimming is different than in the 49 Serchio! So, if you don’t want to feel our grapples, don’t protrude above the pitch.”

After they made him feel the teeth of a hundred 52 prongs, they said: “Down here you have to dance covered up and, if you can, grab secretly.”

Robert e Jean Hollander

From our bridge he said: ‘O Malebranche here is one of Santa Zita’s Elders.

Thrust him under, while I head back for more 39 ‘to that city, where there’s such a fine supply. Every man there – except Bonturo – is a swindler. There money turns a No into a Yeah.’ 42 He flung him down and turned back up the stony ridge. Never did a mastiff

set loose to chase a thief make greater haste 45 The sinner sank, then rose again, his face all pitch. The demons, under cover of the bridge, cried out: ‘This is no place for the Holy Visage! 48 ‘Here you swim a different stroke than in the Serchio! Unless you’d like to feel our hooks,

don’t let yourself stick out above the pitch.’ 51 Then, with a hundred hooks and more,

they ripped him, crying: ‘Here you must do your dance in secret and pilfer – can you? - in the dark.’ 54

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internet45 ci si riferisca spesso ma non sempre con la maiuscola e si potrebbe dire che grazie alla maiuscola diventa più chiaro che si tratta non degli anziani in generale ma dei magistrati di Lucca. Nel verso seguente, ‘mettetel sotto’ (39) è tradotto da Singleton e dagli Hollander con ‘Thrust him under’, mentre Durling opta per ‘Put him under’. Si nota che il verbo ‘thrust’ esprime molta più forza dell’italiano ‘mettere’, mentre il verbo ‘put’ di Durling rispecchia più il verbo originale.

Nel verso 40, Durling, rendendo come l’unico ‘city’ soggetto della frase secondaria (‘which is well supplied with them’), rispetta la struttura sintattica dell’originale, mentre Singleton e gli Hollander la cambiano (‘where there’s’). Solamente gli Hollander non traducono ‘ne’, reso dagli altri con ‘of them/with them’. Si noti che i traduttori scelgono, tutti e tre, una traduzione diversa per ‘barrattier’ (41) (‘barrator’/‘grafter’/‘swindler’). La traduzione degli Hollander, ‘swindler’, è senz'altro poco comune per indicare questo peccato in inglese. Gli Hollander stessi nel loro commento usano anche la parola ‘grafter’. Nel verso 42, troviamo una traduzione diversa per la parola ‘ita’ in tutte e tre le versioni (‘Ay’/‘yes’/‘Yeah’). Nel commento di Chiavacci Leonardi leggiamo che ‘”ita”, voce latina, era la forma del sì negli atti pubblici (sentenze, contratti ecc.), redatti in latino’. Altri

commentatori, come Sapegno e Singleton, si riferiscono al Barbi46, che ha mostrato l’uso

popolare diffuso del termine ‘ita’ nel parlato di quell’epoca. Carlo Grabher scrive che ‘anche se di uso allora assai largo, ci riporta in particolare a quell’ambiente di curiali e di magistrati in cui prosperava la baratteria.’ La traduzione di Durling (‘yes’) è l’unica in cui viene adoperata la lingua standard, mentre quella di Singleton (‘aye’) è chiaramente in un registro più formale e si riferisce di solito alle votazioni. L’aggiunta della ‘h’ dagli Hollander a fine parola fa supporre che loro preferiscano una lettura di ‘ita’ come parola popolare più che formale, dal momento che il termine per il voto in inglese è ‘yea’, senza la ‘h’, mentre ‘yeah’ viene pronunciato anche in un altro modo e non si riferisce di solito alle votazioni ma ad un

contesto popolare.47 Singleton decide per uno spelling alternativo per il più frequente ‘aye’.

45 Per l’italiano si vedano per esempio queste fonti dove “Anzïan” si scrive con la maiuscola: Arcidiocesi di

Lucca, Parrocchie, zone e preti, http://www.diocesilucca.it/parrocchie.php?p=diocesi&s=parrocchie&id=31; Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, BERTINI Domenico,

http://www.treccani.it/enciclopedia/domenico-bertini_%28Dizionario_Biografico%29/ Per l’inglese:

Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Elders,

http://archivio.operaduomo.fi.it/cupola/ENG/RE/RElist12748S3.HTM (tutti consultati il 28 gennaio 2015).

46 Michele Barbi, Problemi di critica dantesca: Prima serie (1893-1918), Florence, p. 273. 47 Cambridge Dictionaries Online, yea, http://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/yea;

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Per ‘buttò’ (43) i traduttori scelgono ‘hurled’/‘threw’/‘flung’. I verbi ‘to hurl’ e ‘to fling’ sono più forti dell’originale ‘buttare’, mentre Durling con ‘to throw’ sceglie un verbo della stessa intensità di Dante, similmente a quello già detto in precedenza per la traduzione di ‘mettetel sotto’ (39). ‘Scoglio duro’ (43) è tradotto diversamente da Durling e dagli Hollander (‘the stony ridge’) e Singleton (‘hard crag’). La prima soluzione è più libera mentre Singleton opta per una traduzione letterale parola per parola, anche se secondo Domenico Consoli ‘scoglio’ indica qua ‘ponte’, significato che è andato perso in tutte e tre le traduzioni:.

Nelle altre occorrenze designa per lo più i ponti rocciosi di Malebolge: divenimmo / là ‛ v ' uno scoglio de la ripa uscia (If XVIII 69); Già eravamo, a la seguente tomba, / montati de lo scoglio in quella parte / ch'a punto sovra mezzo 'l fosso piomba (XIX 8); Su per lo scoglio prendemmo la via, / ch'era ronchioso, stretto e malagevole (XXIV 61); analogamente in XVIII 111, XIX 131, XX 26, XXI 30 e 43, XXVI 17, XXVII 134, XXVIII 43, XXIX 38.48

Nelle traduzioni dei versi 44-5, Durling interpreta la struttura grammaticale della frase in un altro modo rispetto a Singleton e agli Hollander. Mentre per gli ultimi ‘sciolto’ (44) è considerato un aggettivo collegato a ‘mastino’, Durling l’interpreta come un participio da collegare al ‘fu’. Nel primo caso, quindi, l’interpretazione sarebbe che non ci fu mai un mastino sciolto che inseguisse con tanta fretta un ladro; nel secondo caso non fu mai sciolto un mastino con tanta fretta a inseguire un ladro. Ci sono pochi commentatori che seguono l’ultima lettura, tra cui Benvenuto da Imola. Scartazzini è uno dei pochi che discutono dell’ambivalenza della questione dicendo che ‘Altri costruiscono: Non fu mai mastino sciolto con tanta fretta; ma non si tratta qui di frettoloso sciogliere, ma sì di frettoloso correre.’

Nel verso 46 vediamo tre traduzioni diverse per ‘convolto’. Si noti che ci sono due interpretazioni diverse di questa parola, che significherebbe secondo alcuni ‘con l’arco della schiena’ o ‘capovolto’, mentre secondo altri vorrebbe dire ‘lordato di pece’. Singleton (‘rump up’) e Durling (‘bottom up’) optano per la prima opzione, mentre gli Hollander preferiscono la seconda con una traduzione più libera e ermeneutica (‘his face all pitch’). Nel verso 47 Singleton è l’unico che traduce i ‘demon’ con ‘devils’, mentre gli altri traduttori scelgono una traduzione (‘demons’) che echeggia di più l’originale. Rimarchevole è, inoltre, la traduzione del verso 48. Nelle tre traduzioni, pur diverse, si è verificato uno spostamento strutturale (‘Here’s no place for the Holy Face!’, ‘Here we don’t show the Holy Face!’, ‘This is no place for the Holy Visage’). Il ‘Santo Volto’, soggetto nell’originale, diventa, nelle traduzioni, un sintagma preposizionale (Singleton/Hollander) o un oggetto (Durling). La versione più libera

48 Enciclopedia Dantesca, scoglio, http://www.treccani.it/enciclopedia/scoglio_%28Enciclopedia_Dantesca%29/

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è quella di Durling, che traduce ‘Qui non ha loco’ con ‘Here we don’t show’. Si rivela qui un approccio più ermeneutico da parte di Durling rispetto agli altri traduttori. Il ‘Santo Volto’ viene tradotto sia da Singleton che da Durling con ‘Holy Face’, mentre gli Hollander scelgono ‘Holy Visage’. Questa traduzione è sorprendente, dal momento che il crocifisso ligneo a cui si

riferisce in inglese si chiama ‘The Holy Face of Lucca’49. Si può solo supporre che gli

Hollander abbiano voluto evitare la rima con ‘place’, oppure il doppio uso della parola ‘face’, già utilizzata nel verso 46.

Riguardo al verso 49, la traduzione degli Hollander (‘Here you swim a different stroke’) è più libera e poetica delle altre due. Nella loro traduzione torna meglio che nelle altre il senso dell’originale ‘non credere di essere ancora a Lucca’, o ‘qui non è più Lucca’. Nel verso 50 Durling opta per una traduzione parola per parola, rendendo la frase negativa (‘se tu non vuo’’) con ‘if you don’t want’, mentre gli altri danno la preferenza a ‘unless you want/unless you’d like’.

Le traduzioni del verso 52 rivelano alcune cose notevoli. Gli Hollander traducono ‘raffi’ con ‘hooks’, la stessa traduzione utilizzata già per ‘graffi’ (50). Si crea così una ripetizione che nell’originale manca. Solo Durling tralascia la parola ‘più’ per il numero dei ‘raffi’ e traduce ‘addentar’ con ‘they made him feel the teeth’, facendo tornare in questo modo in inglese l’elemento del ‘dente’. Si noti, inoltre, la traduzione dei versi 53 e 54. Tutti i traduttori preferiscono una traduzione abbastanza forte (‘you have to’/’you have to’/’you must’) per ‘convien’, non traducendo così l’ironia sottile dei diavoli, che con ‘convien’ danno un suggerimento chiaro ma non molto diretto. Il vocabolo ‘accaffi’, parola volgare fiorentina, come leggiamo in Chiavacci Leonardi, è tradotto da Singleton con ‘grab on’, che sembra voler dire ‘continua a prendere quello che prendevi già in vita’, creando così un legame con il passato. Durling traduce solo con ‘grab’, mentre gli Hollander danno preferenza a ‘pilfer’, che vuol dire ‘rubare in piccole quantità’, che non è precisamente il significato del verbo ‘accaffi’. Soltanto gli Hollander traducono ‘nascosamente’ con ‘in the dark’, senz’altro più poetico ma anche meno letterale di ‘secretly’.

49 Su Google “Holy Visage of Lucca” dà solo un risultato mentre “Holy Face of Lucca” ne dà 6250 (il 21

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3.3. Purgatorio V, 88-108

Testo di partenza e traduzioni

Giustificazione della scelta del passaggio

Questo passaggio è uno dei più famosi e più simbolici del Purgatorio, grazie al contrasto della storia di Bonconte da Montefeltro con il padre Guido, e il dramma che si svolge quando il diavolo viene a prendere l’anima di Bonconte e alla fine l’angelo di Dio la porta via. Si trovano in questo passo molte espressioni difficili da tradurre, come ‘là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano’, ‘perché mi privi?’ e ‘fare dell’altro altro governo’. Il modo di tradurre queste espressioni darà molte indicazioni sulla strategia seguita dai traduttori. Inoltre, si potrebbero individuare alcuni problemi interpretativi, come ‘Io fui di Montefeltro’, che può essere nome geografico o nome di famiglia, e i versi 100-1, riguardo ai quali si è discusso sull’oggetto di ‘finì’.

Analisi del passaggio

Nel primo verso (88) vediamo già subito una notevole differenza nella traduzione di ‘di Montefeltro’, che viene tradotto da Singleton e dagli Hollander con ‘of Montefeltro’, come riferimento alla casata dei Montefeltro, mentre Durling scrive ‘from Montefeltro’, con cui si pare riferire più al luogo geografico in cui è nato Bonconte. Singleton scrive nel suo commento che ‘”Montefeltro” is here meant as part of a famous family name, not as a statement of geographical origin’. La maggior parte dei commentatori della Commedia sembra concordare con questa opinione. Nel verso seguente (89), Singleton è l’unico a non

Dante

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; Giovanna o altri non ha di me cura; per ch’io vo tra costor con bassa fronte.” 90 E io a lui: “Qual forza o qual ventura ti traviò sì fuor di Campaldino,

che non si seppe mai tua sepultura?” 93 “Oh!” rispuos’elli, “a piè del Casentino traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano, che sovra l’Ermo nasce in Apennino. 96 Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano, arriva’ io forato ne la gola,

fuggendo a piede e sanguinando il piano. 99 Quivi perdei la vista e la parola;

nel nome di Maria fini’, e quivi

caddi, e rimase la mia carne sola. 102 Io dirò vero, e tu ‘l ridì tra ‘ vivi:

l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?” 105 Tu te ne porti di costui l’etterno

per una lagrimetta che ‘l mi toglie; ma io farò de l’altro altro governo!’ 108

Charles Singleton

I was of Montefeltro, I am Buonconte. Giovanna, or any other, has no care for me, so that I go among these with downcast brow.”

And I to him, “What force or what chance so carried you astray from Campaldino that your burial-place was never known?”

“Oh!” he answered, “at the foot of the Casentino a stream crosses, named the Archiano, which rises in the Apennines above the Hermitage. To the place where its name is lost I came, wounded in the throat, flying on foot and bloodying the plain. There I lost my sight and speech. I ended on the name of Mary, and there I fell, and my flesh remained alone. I will tell the truth, and do you repeat it among the living. The Angel of God took me, and he from Hell cried, ‘O you from Heaven, why do you rob me? You carry off with you the eternal part of him for one little tear which takes him from me; but of the rest I will make other disposal!’

Robert Durling

I was from Montefeltro, I am Buonconte. 88 Neither Giovanna nor any other takes care for me, so I go with lowered brow among these people.” And I to him: “What force or chance carried you 91 away from Campaldino, so that your burial place was never known?”

“Oh!” he replied, “the foot of the Casentino is 94 crossed by a torrent that is called the Archiano, born above the Hermitage in the Appenines. There where its name becomes empty I arrived, 97 pierced in the throat, fleeing on foot, and

bloodying the plain.

There I lost sight, and speech in the name of 100 Mary I ended; and there I fell, and only my flesh remained.

I will tell the truth, and do you retell it among 103 the living: the angel of God took me, but the one from Hell cried: ‘O you from Heaven, why do you deprive me?

You carry off the eternal part of him because of a 106 little teardrop that takes him from me: but I will govern the other otherwise!’

Robert e Jean Hollander

‘I was of Montefeltro, I am Buonconte. Not Giovanna nor another has a care for me,

so that I move among the rest with downcast brow.’ 90 And I to him: ‘What force or chance

took you so far from Campaldino

that your burial-place was never found?’ 93 ‘Ah,’ he replied, ‘at Casentino’s border

runs a stream called Archiano

that springs above the Hermitage among the Apennines.96 ‘To where its name is lost I made my way,

wounded in throat, fleeing on foot,

and dripping blood across the plain. 99 ‘There I lost sight and speech.

I ended on the name of Mary – there I fell,

and only my flesh remained. 102

‘I will tell the truth – you tell it to the living. God’s angel took me, and he from hell cried out: “O you from Heaven, why do you rob me? 105 ‘”You carry off with you this man’s eternal part. For a little tear he’s taken from me,

(25)

mettere la negazione a inizio frase, mentre gli altri presentano una frase più scorrevole. Nell’ultimo verso di questa terzina (90), ci sono alcune notevoli differenze. Durling traduce ‘per che’ con ‘so’, mentre gli altri optano per la traduzione parola per parola ‘so that’. ‘Tra costor’ è tradotto con ‘among these’ (Singleton), ‘among these people’ (Durling) e ‘among the rest’ (gli Hollander). Singleton rimane molto fedele all’originale, mentre gli altri preferiscono una traduzione esplicativa, che rende più chiaro chi viene inteso con ‘costor’. Questa fedeltà di Singleton alla lettera dell’originale rivela quindi un approccio più strumentale, mentre la traduzione interpretativa di Durling e degli Hollander dimostra un approccio più ermeneutico.

La traduzione della seguente terzina mostra alcune differenze riguardo a ‘ti traviò sì fuor di Campaldino, che’ (92-93) (‘so carried you astray from Campaldino that’/’carried you away from Campaldino, so that’/’took you so far from Campaldino that’). Nella traduzione di Durling si nota lo spostamento strutturale dell’avverbio ‘so’ inserito immediatamente prima di ‘that’, mentre nell’originale si trova davanti a ‘fuor’, tradotto da Durling con ‘away’. In tal modo, si è perso nella traduzione il fatto che il corpo di Bonconte non solo è stato portato fuori Campaldino, ma anche molto lontano da lì. Lo spostamento dell’avverbio da parte di Durling causa, dunque, un cambiamento di significato abbastanza grande. La traduzione di Singleton mi pare leggermente poetizzante e antiquata, mentre gli Hollander traducono parola per parola, benché l’inglese ‘took’ sia più generico che l’italiano ‘traviare’.

Nella seguente terzina (94-6), gli Hollander sono gli unici a tradurre ‘a piè del Casentino’ (94) con ‘at Casentino’s border’, seguendo la più comune linea di interpretazione secondo cui ‘a piè’ significherebbe ‘nella parte inferiore, meridionale’, e non, come sostiene un gruppo minore di commentatori, ‘a piede dei monti del Casentino’. Singleton e Durling scrivono invece ‘the foot of the Casentino’. Soprattutto l’articolo ‘the’ davanti a ‘Casentino’ suggerirebbe che preferiscano l’interpretazione dei monti, anche se il Casentino in realtà non è un monte ma una regione che comprende una vallata e alcuni monti degli Appennini. L’approccio strumentale degli Hollander funziona meglio in questo verbo dell’approccio strumentale di Singleton e Durling, visto che la traduzioni degli ultimi è forse letterale ma non proprio corretta. Per quanto riguarda il verso 95, la traduzione di Durling si differenzia abbastanza dalle altre due. Prima di tutto va notato che cambia la struttura sintattica, rendendo ‘the foot of the Casentino’ il soggetto di un verbo passivo (‘is crossed’), mentre Singleton e gli Hollander danno preferenza a una traduzione parola per parola (‘at the foot of the Casentino a stream crosses/runs’). Inoltre, Durling preferisce la parola ‘a torrent’ come traduzione di ‘un’acqua’, benché questa parola, in inglese, come ‘torrente’ in italiano, indichi

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